• Non ci sono risultati.

IL FOLLOW-UP DEL PRIMO GRADO: APPELLI E SENTENZE D’APPELLO

Nel documento INAUGURAZIONE DELL ANNO GIUDIZIARIO 2021 (pagine 87-92)

3.- L’ATTIVITA’ DELLA PROCURA

CONTRIBUTO PER COSTO DI COSTRUZIONE

3.2.13 IL FOLLOW-UP DEL PRIMO GRADO: APPELLI E SENTENZE D’APPELLO

Tra i vari appelli proposti da questa Procura avverso le sentenze di primo grado si segnalano le seguenti fattispecie.

Va menzionato, in primo luogo, l’atto di impugnazione avverso la sentenza della Sezione Giurisdizionale per l’Emilia-Romagna che ha respinto la domanda attorea di condanna al risarcimento del danno erariale per il pagamento, ritenuto indebito, da parte del Comune di appartenenza, delle spese legali sostenute dal Dirigente del Settore urbanistica/assetto e tutela del territorio nell’ambito di un procedimento penale in cui era rimasto coinvolto nello svolgimento dei compiti d’ufficio ed esitato, nei suoi confronti, con sentenza di assoluzione ex art.530 comma 2 c.p.p., per assenza di prova in ordine alla sua consapevolezza dell’accordo

corruttivo finalizzato all’adozione di atti amministrativi, invece accertato nei confronti di altri coimputati.

In particolare, nel primo motivo di impugnazione per violazione dell’art.12 del c.c.n.l. della dirigenza degli Enti Locali, è stato eccepito che, per potersi procedere al rimborso delle spese legali, non rileva tanto l’intervenuta assoluzione nel processo penale, quanto verificare l’insussistenza, anche solo potenziale, di conflitto d’interessi con l’Ente di appartenenza (cfr. in terminis Cass. n.2297/2014 per cui “…

il conflitto d’interessi è rilevante indipendentemente dalla formula di assoluzione; ne consegue che al dipendente comunale, assolto dall’imputazione, non compete il rimborso delle spese legali qualora il giudice penale abbia evidenziato che i fatti ascrittigli esulavano dalla funzione svolta e costituivano grave violazione dei doveri d’ufficio”).

Nel caso di specie sia la formula assolutoria, sia la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice penale, lasciavano impregiudicato un profilo di palese conflitto di interessi laddove veniva accertato, sotto il profilo oggettivo, che gli atti amministrativi causa d’imputazione erano comunque stati assunti in violazione delle regole del diritto amministrativo e dei doveri d’ufficio e, quindi, nella fattispecie ricorreva un interesse contrario alla loro adozione da parte dell’Amministrazione.

Per quanto riguarda poi, l’ulteriore motivo di impugnazione per omessa pronuncia / carente motivazione per i profili i) del mancato comune gradimento dell’Ente sul legale designato, ii) dell’assenza di valutazione di congruità della parcella di un primo legale poi dimissionario e della duplicazione del pagamento della fase di studio della controversia affrontata sia dal precedente che dal successivo difensore, iii) del pagamento diretto della parcella da parte dell’Amministrazione in difformità dal modello che prevede il rimborso in via successiva, è stato precisato che questi profili rispondono ad una ratio complessiva di verifica, da parte dell’Ente, sull’utilità e l’effettività dei costi, non trattandosi, pertanto, di meri vizi procedurali. In proposito basti pensare che la doverosità del

“comune gradimento” di cui all’art. 12 del c.c.n.l. dipende dal fatto che il legale dovrebbe farsi carico della tutela, nel processo, non solo dell’interesse del dipendente ma anche di quello dell’Ente (cfr. in terminis Cass. Civ. n. 25976/2017), così come non risponde all’interesse pubblico, e come tale è indebito, il duplice pagamento di due legali e per di più per una sovrapposta attività di studio della controversia, così come la mancata valutazione di congruità della parcella, posta a doveroso riscontro dell’attività svolta.

Di interesse è, poi, l’atto di impugnazione avverso una sentenza di primo grado nella parte in cui dichiara la nullità della domanda di risarcimento del danno all’immagine di un’Ausl per false attestazioni della presenza in servizio da parte del Direttore di Unità Operativa Complessa, ritenendosi condizione necessaria di procedibilità dell’azione una previa decisione penale irrevocabile di condanna, anche per il reato di assenteismo fraudolento di cui all’art.55-quinquies del d.lgs.

n.165/01.

In particolare, è stata richiamata la violazione/falsa applicazione degli artt.

55-quater e 55-quinquies del d.lgs. n.165/01 sia sotto il profilo letterale che teleologico. In effetti, per il primo aspetto depone un argomento testuale rappresentato dal secondo comma dell’art. 55-quinquies recante l’inciso “ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni” nel prevedere che il lavoratore è obbligato a risarcire il danno all’immagine di cui all’articolo 55-quater, inciso da cui si desume l’autonoma azionabilità del danno all’immagine in sede giuscontabile. Depone in tal senso anche la ratio della previsione introdotta, volta a

“prevedere un diverso e più rigoroso trattamento contro il fenomeno dell’assenteismo pubblico” (cfr. Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello n.662/2017).

Quanto sopra senza voler tralasciare che l’assunto è confermato dal principio di specialità e successione delle leggi nel tempo per cui “lex specialis posterior derogat priori generali”, in quanto la previsione di cui all’art. 17, comma 30-ter del d.l.

n.78/09 e s.m.i. è statuizione generale entrata in vigore in precedenza all’art.55-quinquies del d.lgs. n.165/2001.

Risultano, altresì, violati gli artt. 1 comma 1-sexies della legge n. 20 del 1994 e 51 c.g.c., commi 6 e 7. In effetti, il comma 6 dell’art.51 del c.g.c. per cui “La nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine è rilevabile anche d’ufficio” statuisce le conseguenze del mancato rispetto di eventuali condizioni di procedibilità ma non ne determina il contenuto, così come il comma 1-sexies dell’art. 1 della legge n. 20 del 1994 si riferisce all’entità del risarcimento. Pertanto, entrambe le disposizioni non sono invocabili per assumere la sentenza penale irrevocabile di condanna come condizione di procedibilità per promuovere l’azione di responsabilità erariale per danno all’immagine nella fattispecie di assenteismo fraudolento di cui al citato art. 55-quinquies.

Altro appello meritevole di menzione è quello relativo alla sentenza di primo grado che ha dichiarato la prescrizione, non ritenendo sussistere il doloso occultamento del danno, di parte del risarcimento del danno richiesto ad un docente universitario per lo svolgimento di incarichi extraistituzionali in assenza dell’autorizzazione dell’Ateneo.

Nell’impugnazione, questa Procura ha osservato che la mancata osservanza dell’obbligo giuridico strumentale teso a informare l’Università bolognese in ordine all’esercizio di un’attività professionale integra, con modalità omissive, un occultamento doloso del danno, come da orientamento consolidato della giurisprudenza contabile, ribadito in Corte dei conti, III Sez. Giur. Centrale di Appello, n. 55/2017.

Il silenzio intenzionale e preordinato a nascondere il danno, a cui fa riferimento la sentenza richiamata dalla Procura, opera anche nell’ipotesi in questione, trattandosi di violazione dell’obbligo di mancata informazione all’Ateneo di una complessa attività professionale vietata che andava formandosi nel tempo e che solo il docente era tenuto a comunicare dopo i primi incarichi.

L’incompatibilità assoluta contestata al docente per l’esercizio di un’attività connotata da abitualità e sistematicità nel tempo presenta una caratteristica del tutto peculiare che la differenzia dall’incompatibilità relativa: trattandosi di attività in sé non autorizzabile, le eventuali autorizzazioni concesse o le comunicazioni, rese per legittimare i singoli incarichi extralavorativi, non assumono alcun rilievo ai fini della conoscibilità, da parte dell’Ateneo, dell’illecito in fieri e del conseguente danno prodottosi.

Le sentenze di secondo grado

Tra le varie sentenze di appello emesse su appello di questa Procura, si ritiene di ricordare, in primo luogo, la sentenza n. 62/2020 della Terza Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello che ha accolto l’appello principale di questa Procura, respingendo l’impugnativa in via incidentale della parte privata. In particolare, è stata riformata la sentenza della Sezione Giurisdizionale per l’Emilia-Romagna nella parte in cui aveva accolto l’eccezione di prescrizione per gli emolumenti percepiti - nel periodo ante settembre 2012 - a titolo di indennità di esclusiva da parte di Direttore di struttura complessa di azienda ospedaliera che si trovava in situazione di potenziale conflitto di interessi ex art. 4, comma 7, della legge 412/1991, perché titolare di quota di poliambulatori. Sul motivo accolto di gravame, che contestava l’asserita prescrizione sottolineando il doloso occultamento della situazione di conflitto di interessi, il Collegio del secondo grado ha statuito che può occultarsi anche rimanendo semplicemente silenti, “nel senso di … serbare

‘maliziosamente’ il silenzio su talune circostanze, nella specie incidenti sul rapporto unico di lavoro con il S.S.N., nella vigenza dell’obbligo giuridico di farle conoscere”

all’Amministrazione di appartenenza.

E’ stato, altresì, respinto l’appello incidentale della parte privata che impugnava l’intervenuta condanna per indebita percezione dell’indennità di esclusiva post settembre 2012. In proposito è stato statuito che il legislatore ha riconosciuto rilievo alla potenziale situazione di conflitto di interessi che si configura per la sola titolarità di quote rilevanti di poliambulatori. In sostanza, “l’espressione usata dall’art.4, c.7 ‘possono configurare conflitto di interessi con il S.S.N.’, valeva a differenziare la tipologia delle partecipazioni societarie ‘ (…) restando evidentemente fuori dal divieto quelle che non configurino, sulla base di un giudizio prognostico ex ante da svolgersi anche e principalmente con riferimento all’oggetto sociale, alcun conflitto di interessi (…)’ (Cass. 31277/2019)”. In conclusione, è stata pronunciata condanna per un importo pari ad euro 352.303,63, in totale accoglimento dell’istanza pubblica.

Di rilevante interesse è, poi, la sentenza n. 238/2020 della Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello che ha respinto l’impugnazione della parte privata, con integrale conferma, in accoglimento delle richieste della Procura, della condanna del primo grado per un importo pari ad euro 175.741,31, pari a quanto percepito per incarichi esterni in relazione ad una fattispecie di mancata richiesta di

autorizzazione da parte di un pubblico dipendente allo svolgimento di attività extra-istituzionale ai sensi dell’art.53, comma 7 del d.lgs. n. 165/01. In via pregiudiziale è stato puntualizzato che, quantunque la percezione dei compensi sia avvenuta in precedenza all’introduzione del comma 7-bis dell’art. 53, nella fattispecie sussiste la giurisdizione della Corte dei conti in quanto l’aliunde perceptum deve

“considerarsi a tutti gli effetti ‘pecunia pubblica’, sicchè l’omesso riversamento dello stesso nelle casse dell’Amministrazione integra un ‘danno erariale da mancata entrata’, pari ex lege all’ammontare del compenso stesso” (cfr. altresì, in terminis Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza del 10 luglio 2019, n.26/QM). Circa, poi, la questione della prescrizione, ad avviso del Collegio un fatto omissivo può certamente integrare un doloso occultamento del danno nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo di richiedere l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi esterni, imposto ex lege ai fini della valutazione della loro compatibilità con l’attività propria del rapporto di impiego. Sotto il profilo del quantum del risarcimento è stato, quindi, ribadito il principio per cui questo sia commisurato al lordo dell’aliunde perceptum, con la “conseguenza che le ritenute fiscali, al pari di quelle previdenziali, oltre a quelle versate definitivamente dal contribuente, non possono formare oggetto di compensatio lucri cum damno”. In effetti, la compensatio non può verificarsi laddove si assista a due rapporti bilaterali basati su titoli differenti (fisco/contribuente da un lato e amministrazione d’appartenenza/dipendente dall’altro) potendosi aver luogo soltanto in presenza di unicità del titolo e del soggetto obbligato (cfr. ex multis C.S.U. del 22 maggio 2018, n.12565).

Con la sentenza n. 218/2020 della Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello è stato integralmente accolto l’appello di questa Procura, riconoscendo l’indebita percezione di contributi comunitari per euro 56.193,08 da parte di un’azienda cooperativa che aveva aderito al programma operativo “progetti di Filiera” del Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 con un progetto per la realizzazione di un laboratorio e la lavorazione, il confezionamento e la vendita di carni fresche biologiche fornite da altre aziende della filiera corta. In particolare, sono state accertate inadempienze per più profili. In primo luogo, l’obiettivo quantitativo di produzione annua è stato largamente disatteso, fatto per cui il contributo risultava inutiliter datum. A ciò si aggiunga che non è stato rispettato il limite temporale minimo del vincolo di destinazione del compendio finanziato, ai sensi del quale era prescritto un obbligo decennale relativamente agli immobili e quinquennale per le attrezzature oggetto di investimento. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, infine, l’illecito erariale si è caratterizzato per una gravissima “culpa in adimplendo”, sussistendo già al tempo della presentazione della domanda di contribuzione un difetto di previsione, dettato da inescusabile negligenza, della realizzabilità del progetto.

Con la sentenza n. 289/2020 della Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello è stata accolta l’impugnazione di questa Procura statuendo, in conformità ad un orientamento consolidato, che la fattispecie di danno all’immagine prevista

dall’art.55-quinquies presenta indiscutibili caratteri di autonomia rispetto a quella generale prevista dall’art.17, comma 30-ter, del d.l. n.78/09 convertito dalla l.n.102/09, atteso che in particolare la norma non richiede l’accertamento, con sentenza definitiva, della ricorrenza di talune indefettibili fattispecie delittuose, lesive dell’immagine.

3.2.14 LA C.D. “RIPARAZIONE SPONTANEA”

Va segnalato, infine, il sempre crescente fenomeno della cd. “riparazione spontanea”, cioè il recupero economico a seguito di istruttoria o di notifica di invito a dedurre o dell’atto di citazione.

Si tratta di somme importanti, che si aggiungono alle somme recuperate in sede di esecuzione delle sentenze di condanna e che testimoniano l’elevato livello di considerazione attribuito all’attività svolta da questa Procura.

Nel documento INAUGURAZIONE DELL ANNO GIUDIZIARIO 2021 (pagine 87-92)