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II. TURISMO E FAVELAS

II. 4 UNA CLASSIFICZIONE TIPOLOGICA

II. 4.2 Dark tourism

Esiste un altro tipo di turismo che si è diffuso nell’ultimo decennio grazie al contributo della stampa e dei mass media, i quali rendono le persone sempre più abituate (se non indifferenti) alle notizie di omicidi, catastrofi e violenze, ed è quello che Foley e Lennon definiscono dark tourism64. Alla base di questa categoria c’è l’attrazione per la morte, le catastrofi, la sofferenza; divengono dunque destinazioni turistiche tutti quei luoghi in cui sono avvenuti accadimenti macabri o che hanno a che vedere con il pericolo.

Nonostante la sua teorizzazione sia recente, le radici del turismo nero sono da individuare in parecchi secoli addietro (Seaton, 2010), quando non addirittura millenni (Stone, 2005). Da quando le persone hanno avuto la possibilità di viaggiare, sono sempre state condotte, di proposito o meno, verso luoghi, attrazioni ed eventi connessi in una maniera o nell’altra con la morte, la sofferenza, la violenza e la catastrofe. Unodei primi esempi eclatanti che la storia fornisce, è quello dei giochi tra gladiatori, a cui non accorreva solo il popolo della capitale, ma anche benestanti dalle varie provincie dell’Impero Romano. Nel Medioevo, i pellegrinaggi consistevano in lunghi mesi di sofferenza prima di arrivare alla meta, la quale coincideva nel luogo simbolo

                                                                                                               

64 Nel 1996 Foley e Lennon pubblicano JFK and Dark Tourism: Heart of Darkness il primo articolo in cui viene teorizzata questa tipologia di turismo.

della passione65. Anche le esecuzioni pubbliche erano occasioni in cui si

radunavano folle di persone interessate ad assistere alla morte dal vivo.

Ricapitolando, quello che hanno in comune le esperienze del passato con quelle del presente, è la carica adrenalinica che ne risulta, che ci fa sentire vivi e che ci tiene, come dice Aristotele, sollevati:

Tragedia dunque è mimesi di un’azione seria […] la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni (Aristotele, Poetica).

Secondo l’intellettuale francese George Bataille, il male è la violazione deliberata di alcune proibizioni fondamentali (Panza, 2011): ciò fornisce un’altra dimostrazione sul perché l’uomo sia così interessato alle catastrofi. Il male, l’omicidio, i massacri, rientrano tutti nella sfera del proibito; quest’ultimo, a sua volta, è strettamente connesso con il tabù. Proprio per essere qualcosa di cui non si può parlare o non si può fare, il tabù inevitabilmente desta la curiosità di un essere intelligente come l’uomo, che viene così spesso attratto da ciò che gli è stato vietato dal proprio regime educativo. Ad ogni modo, trattandosi di tabù, sarà molto difficile che chi pratica dark tourism lo chiami in questo modo, perché non sarebbe altro che un modo per uscire allo scoperto, ed inoltre è un termine che toglie valore alle proprie intenzioni.

Il turismo nero viene definito come quel fenomeno che abbraccia “il consumo del reale e la mercificazione della morte e dei luoghi tragici” (Foley, Lennon, 1996, p. 198) 66. Secondo queste parole la favela rientra tra le attrazioni del “turismo nero”, ma in maniera quasi impercettibile, dal momento che i tour che adottano questa impostazione (ossia che prevedono il passaggio in luoghi dove sono avvenute sparatorie, mostrando i fori sui muri o il luogo preciso in cui sono state uccise o trovate morte delle persone, ed evidenziano le scritte che le fazioni lasciano sui muri) sono pochi.

                                                                                                               

65 Molti condannati venivano forzati dall’Inquisizione ad intraprendere questa epopea per espiare le proprie colpe. I viaggi erano duri e molti pellegrini, sia forzati che non, morivano ancor prima di giungere alla meta.

66The phenomenon which encompasses the presentation and consumption of real and commodified death and disaster sites”.  

La favela entra a far parte del dark tourism soprattutto secondo una diversa sfumatura e per capirlo è necessario conoscere la suddivisione ideata da Dann (1998), il quale divide il dark tourism in cinque tipologie:

- perilous tourism: destinazioni pericolose del passato e del presente; - houses of horror: edifici associati a delitti:

- fields of fatality67: aree che commemorano tragedie;

- tours of torment: tour ed attrazioni che riconducono a crimini;

- themed thanatos: musei con il tema della sofferenza (musei della tortura). Ecco allora che risulta chiaro che il motivo per cui si può inserire la favela nel “turismo dell’orrore” è per la prima classe, ovvero il perilous tourism, dunque in quanto destinazione che si presume essere intrinsecamente pericolosa: oltre all’autentico ed all’esotico, essa è percepita come se fosse contornata da un’aurea di rischio. Per alcuni turisti è una maniera per provare sensazioni forti: si ha la garanzia di essere “protetti” dalla guida turistica ed allo stesso tempo si prova l’adrenalina ti trovarsi in un luogo che, ripeto, si crede essere pericoloso. Sta poi alla guida confermare (e di conseguenza mentire) al turista le sue aspettative, mettendolo in guardia, oppure rassicurarlo facendogli conoscere, come dovrebbe essere fatto, gli aspetti positivi. Paradossalmente, per un turista una favela è più sicura di un qualsiasi altro quartiere: Copacabana, il bairro dove si riuniscono la maggior parte degli stranieri, è il luogo dove si concentra la maggior percentuale di scippi. Freire Medeiros (2009) porta la testimonianza di un fotografo americano che racconta di come si sente molto più sicuro a camminare per le favelas con una fotocamera da 5.000 dollari che in qualsiasi altro posto di Rio. La violenza che si consuma (perché effettivamente esiste) nei morros non viene neppure lontanamente percepita dal turista, perché viene portato nelle vie principali delle comunità pacificate, quindi il visitatore si sentirà più protetto che nel resto della città. Prima o dopo tutti, quando camminano per le ruas (vie) di Rio, avvertono una sensazione di forte disagio, insicurezza e vulnerabilità, cosa che più difficilmente si prova nelle favelas. Ecco perché le guide turistiche sono di estrema importanza: Philip Crang (1997) le chiama “lavoratori emozionali”, poiché sono persone che producono sentimenti, che hanno il potere di far sentire il turista a proprio agio oppure un                                                                                                                

67 Fatality inteso come flagello, calamità, disastro, il più delle volte causato da uomini (v. campi di concentramento).

estraneo, e di farlo recepire agli autoctoni come un proprio simile o, viceversa, come un invasore.