II. TURISMO E FAVELAS
II. 4 UNA CLASSIFICZIONE TIPOLOGICA
II. 4.4 Turismo alternativo
Stando alle definizioni di diversi dizionari si dice alternativo ciò “che intende proporsi, spesso polemicamente, come alternativa rispetto a modelli imposti, istituzionali o comunque dominanti” 68, oppure “di chi o di ciò che non appartiene alla cultura predominante e non è integrato in un'istituzione”69, o ancora “di espressione o attività culturale, artistica, politica, o di stile di vita che si contrappone polemicamente ai modelli ufficiali, condivisi e dominanti”70. In tutti gli esempi riportati è presente il termine “dominante” o “predominate”. Il turismo, dunque, per essere definito alternativo deve avere come imperativo essenziale il dissociarsi dal turismo di massa, il quale costituisce il modello dominante (Krippendorf, 1989). Agire in maniera diversa dalle altre persone, rimanere lontani dai percorsi già battuti, se possibile dirigersi verso luoghi ancora poco esplorati o fare qualcosa al di fuori del comune, dove si viva una vera avventura fuori dalla civilizzazione. Non esiste un modello unico di turismo alternativo, esso possiede diversi profili a seconda di dove lo si pratichi e dagli obiettivi che si perseguitano; ad ogni modo, qualsiasi sia il viaggio alternativo che si sceglie di intraprendere, il punto chiave consiste nella cesura con il turismo di massa.
Altre caratteristiche che le varie tipologie potrebbero condividere sono l’esistenza di piccole o medie compagnie nella gestione dell’attività turistica, spesso a livello familiare o comunque locale, la possibilità di entrare in contatto con le comunità autoctone e, nella maggioranza dei casi, il rispetto per l’ambiente.
68 Hoepli
69 Sabatini Coletti 70 Treccani
Tra le diverse tipologie di turismo alternativo si identificano in particolare il turismo sostenibile, il turismo responsabile, l’ecoturismo ed il turismo rurale. All’interno di questa tassonomia lo slum tourism nelle favelas carioca sembra avere poco a che vedere, poiché, tranne in rari casi, non rientra in nessuna delle suddette categorie; in tutte è predominante la componente ambientale, che sia valorizzazione o preoccupazione, ma in ogni caso è prevista una attitudine di rispetto nei confronti dell’ecosistema. Come detto ci sono degli esempi (pochi) in cui si sta implementando questa modalità di turismo: in fin dei conti Rio de Janeiro è una città che è andata espandendosi nel mezzo della foresta atlantica, e le favelas sono gli insediamenti più prossimi della natura di qualsiasi altro luogo della città (tralasciando il mare). Sarebbe dunque una prospettiva auspicabile quella di estendere il turismo alternativo, accostando ai vari tour nei morros, anche un passeio nella foresta, proprio per vedere dove effettivamente sono state costruite le favelas ed avere una lontana idea di come fosse la città prima dell’arrivo degli europei.
Fig. 9. Ricostruzione di Rio de Janeiro prima della colonizzazione (Reprodução/Iluminata Produtora)71.
Nonostante siano davvero pochi i tour che oggi combinano la conoscenza della favela con quella dell’ambiente che le circonda, posso dire di aver avuto la fortuna di partecipare a due esperienze di turismo alternativo che comprendono la valorizzazione della natureza. La prima è stata un tour nel Complexo do Alemão, il quale prevedeva una passeggiata nel mezzo della collina dove ancora non si è arrivati a edificare72, oltre che per le vie intricate ed inerpicate della
71 http://hitz.hunterfm.com/conteudo/curiosidade/como-era-o-rio-de-janeiro-antes-da-colonizacao/ 72 Questo tour è stato realizzato dalla Rede Brasilidade Solidária, un progetto di estensione
comunità. A mano a mano che si sale verso la foresta le abitazioni si fanno sempre più rade e più misere; non si seguono solamente le vie principali, ma si conosce anche la parte della favela più rurale e lontana dalla città.
Fig. 10. Turisti e guide nel passeio nel Complexo do Alemão.
L’altra esperienza, nel morro di Vidigal, è stata la visita ad una ex discarica trasformata in parco ecologico grazie all’iniziativa di alcuni moradores, il quale sta lentamente entrando a far parte delle rotte turistiche della favela73.
universitaria delle UERJ (Universidade do Estado di Rio de Janeiro), che ha come obiettivo lo sviluppo del turismo solidale e la formazione di reti che divulghino la proposta. Il progetto è stato promosso ed è tutt’ora gestito dal professor Rafaêl Angelo Fortunato. (http://www.brasilidadesolidaria.com/products/produto-1/).
73Tre moradores di Vidigal hanno reinventato una discarica trasformandola nel Parque ecologico Sitiê, il tutto senza l’appoggio delle pubbliche istituzioni. Dal 2005 il trio è responsabile di questa trasformazione, ed assieme alla popolazione locale continua tutt’oggi ad occuparsi del suo mantenimento, un’area di circa 40 mila m2 dove si ritrovano molti degli oggetti che prima facevano parte della discarica e che adesso creano un design particolare ed accattivante, numerosissime piante fruttifere, un orto botanico, il tutto a disposizione della comunità. Oggi diventa così un luogo accessibile agli abitanti, ma anche ai visitanti.
Fig. 11. Parque ecológico Sitiê, Vidigal.
Si può dire che sia una tendenza in aumento ma che non si è ancora affermata, quella del turismo alternativo nelle favelas carioca, infatti i tour sono monopolizzati da poche agenzie che polarizzano la grande maggioranza dei turisti e che non hanno interesse ad ampliare la propria offerta. Il fattore dell’esperienza condiziona molto le scelte del viaggiatore, in particolare quando si tratta di luoghi cui difficilmente potrebbe accedere se non accompagnato. Tornando all’accezione di “alternativo” come semplice scostarsi da ciò che riguarda la massificazione, si può, a ragione, considerare lo stesso slum tourism come turismo alternativo, dal momento che senza ombra di dubbio non rientra in quelle che sono le classiche destinazioni ricercate dai turisti di massa. In turismo alternativo diventa, secondo questo punto di vista, un “metaturismo alternativo”, dato che lo stesso atto di fare turismo nelle favelas diventa simbolo di anticonformismo.
Infine, per quanto riguarda l’aspetto economico, è difficile pensarlo come turismo sostenibile: le favelas sono ambienti troppo grandi ed il turismo non coinvolge abbastanza turisti per far sì che si creino condizioni di sostenibilità. Inoltre, la maggior parte delle grandi agenzie che organizzano i tour, pur segnalando che le guide sono autoctone, non hanno sede nel morro e, dunque, le entrate non vengono poi ridistribuite tra la popolazione, ma solo una piccola parte è destinata alle poche guide locali che lavorano per l’agenzia. Il resto dei soldi che il turista spende, va ai venditori di souvenir, i quali sono raggruppati in un unico punto che corrisponde a una delle fermate panoramiche che le gite programmano, oppure, nei rari casi in cui il tour sia svolto a piedi, ai piccoli
punti di ristoro, dove al massimo il turista compra una bottiglietta d’acqua e beve, forse, un caffè.