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III. CASI DI STUDIO

IV. 1 INCONTRO E SPAZI TURISTICI

IV. 1.3 Turista, un male necessario

Il turista è visto dagli autoctoni come una persona oziosa e che, oltretutto, viaggia (Nash, 1981). Involontariamente, porta con sé valori del nuovo colonialismo. Turner ed Ash (1975) chiamano i turisti “i barbari della nostra età dell’oro”, Mitford scrive che

Il Barbaro di ieri è il Turista di oggi, che ancora preda le antiche e ricche città dove la nostra civiltà è cominciata (1959, p. 3)118.

Secondo Minca (1996), il turismo legittima, in ogni angolo del mondo, l’invasione delle armate turistiche.

                                                                                                               

117 Come già accennato in precedenza, nelle favelas molti piccoli artigiani e commercianti sfruttano l’immagine internazionale della favela come luogo in cui il riciclaggio fa parte della vita quotidiana. È vero che i favelados riusano e riciclano molti oggetti, ma l’artigianato che si basa sull’idea del riciclaggio non è mai esistito in precedenza, è solo dopo l’arrivo dei turisti che alcuni abitanti hanno deciso di sviluppare questa iniziativa, traendo oggi profitti consistenti ed allargando il loro mercato anche al di fuori della comunità.

118 “The Barbarian of yesterday is the Tourist of today and he still preys on the rich old cities where our civilization began”.

L’associazione turismo-invasione è un’immagine ricorrente in ambito degli studi sull’argomento turistico. Anche nei contesti più miseri, il turista sfrutta, volgarizza la povertà, si dimostra arrogante ed egoista. Ma allora perché gli autoctoni, coloro che ricevono il turista, continuano ad accoglierlo, a creare nuove idee e strategie per far espandere il settore? Perché subire la sua presenza e la sua prepotenza anche negli ambienti meno consoni ad ospitarlo? Perché gli abitanti dei luoghi turistici non sono interessati esattamente nel riceverlo, ma nel suo denaro. I turisti diventano una specie di “male necessario”. Male, perché la loro presenza è scomoda; necessario, perché i loro soldi servono (Barretto, 2007). Dall’altro lato i turisti vedono nel locale un semplice strumento per raggiungere i propri fini: il nativo danza per il turista, vende souvenir che fungono da prova, a lui si chiedono informazioni, lui fa da guida turistica, lui offre il pernottamento.

Il grande paradosso del turismo è che questa attività mette in contatto persone che non si vedono come persone, ma come portatori di una funzione ben precisa e determinata. Richard Rorthy lo spiega in questo modo (2007, p. 42):

[…] quella persona strana, che si può presumere mi pensi strano in ugual maniera, sarà occupata a formare una teoria sul mio comportamento, come io faccio con lei119.

I turisti guardano “l’altro” come un’incognita esotica o come un oggetto il cui uso è limitato ad un contesto preciso, ma in ogni caso come un qualcosa privo di identità, spersonalizzato. Allo stesso modo i locali vedono il turista come un essere generico e non si relazionano a lui come se fosse un “turista-persona” ma come un “turista-cosa”. Valene Smith è stata tra le prime ad allontanarsi dal classico sguardo del “turista-predatore” e della “popolazione-vittima” adottando la visione contraria, ossia preoccupandosi di come egli venga spesso maltrattato dalla popolazione locale che lo considera come un mero portatore di soldi. A lui, infatti, si vendono souvenirs, si prestano servizi, si chiede l’elemosina e si ruba. Si può parlare di cosificazione del turista (Barretto, 2007, p. 41)120. Anche se non si riferiva al turista bensì allo straniero, Simmel scrive nel 1950, nell’articolo                                                                                                                

119 “[…] essa pessoa estranha, que podemos presumir que me ache igualmente estranho, estará simultaneamente ocupada em formar uma teoria sobre o meu comportamento”.  

intitolato proprio The stranger (in Wolff, 1950), che “gli stranieri non sono visti realmente come individui”. Infatti il forestiero si tiene ad una prudente distanza sia fisica che comportamentale.

Doxey nel 1976 ha teorizzato un modello evolutivo, il “Doxey irritation index”, che rappresenta il cambiamento di attitudine della popolazione locale nei confronti dei turisti. La prima fase è quella dell’euforia, in cui non c’è ancora un’attività turistica consolidata, per cui i visitanti sono i benvenuti; quando il numero di turisti incrementa, si passa all’apatia, fase in cui essi sono considerati come una presenza scontata, che non suscita più alcuna curiosità, dunque il rapporto tra le due categorie si fa più formale; segue il fastidio e l’irritazione nei loro confronti, che si raggiunge quando la presenza di turisti arriva a saturazione, i prezzi aumentano, vengono costruite sempre più infrastrutture ed il comportamento maleducato dei turisti disturba i residenti; infine l’antagonismo, in cui i locali si dimostrano ostili e intolleranti alla presenza di stranieri e visitatori. Un ottimo esempio del raggiungimento del quarto stadio lo si può osservare quotidianamente nei cittadini veneziani.

Fig. 22. Doxey irritation index

(http://tl2121yukho.blog.co.uk/2013/05/02/host -community-15818713/).

Gran parte dei turisti pratica incursioni nella vita della società che visitano (MacCannel, 1976). Persone percepite come abbienti si incontrano con persone che possiedono un tenore di vita a loro molto inferiore, e l’impotenza di questi ultimi nel riuscire a ricavare alcun beneficio si traduce in comportamenti di indifferenza ed astio, fino a sfociare nella violenza.

i turisti sono i nemici più pericolosi che esistono, perché loro non sono indispensabili. Per diverse ragioni, non possiamo riservargli la stessa sorte dei nemici di un tempo, che semplicemente ammazzavamo, ma possiamo rimanere in silenzio (in Ouriques, 2005, p. 21)121.

Dopo aver letto questo frammento mi è tornata alla mente una scena che ho personalmente vissuto a Rocinha. Una delle fermate fatte dal veicolo su cui il mio gruppo viaggiava consisteva nell’entrare nel terrazzo di un residente, che appositamente si faceva pagare dell’agenzia per metterlo a disposizione dei turisti durante i tour. Lui era un meccanico, e per arrivare a vedere la visuale, si doveva passare attraverso la sua officina, dove stava lavorando. La sosta è durata quindici minuti, minuti nei quali nessun turista si è degnato di salutare l’anfitrione e viceversa. Lui era lì, stava verniciando dei pezzi a un passo da australiani, norvegesi ed inglesi, che fotografavano la bella vista, guardavano l’oceano ed ascoltavano le parole della guida; solo una bambina (anche lei membro del tour), troppo piccola per arrivare a guardare al di là del terrazzo, era incuriosita dal trafficare senza sosta del meccanico. Ma lui non parlava, nonostante delle persone, o meglio, dei forestieri, fossero dentro a casa sua. Era percepibile una freddezza ed una tristezza che metteva a disagio.

Fig. 23. Morador al lavoro sulla terrazza e turisti in contemplazione del panorama.

                                                                                                               

121 “Os turistas são os inimigos mais perigosos que existem, porque eles nos são indispensáveis. Por diversas razoes, não podemos lhes reservar a mesma sorte dos inimigos de antigamente, que simplesmente matávamos, mas podemos nos calar”.

La differenza di stati d’animo e di ruolo che autoctoni e turisti possiedono accentua l’impossibilità di un avvicinamento. Le incursioni dei turisti, come nel caso delle favelas, avvengono nella vita quotidiana delle persone, non in un villaggio turistico dove tutti vivono la stessa situazione di vacanzieri. I turisti sono un intralcio che però lascia soldi, per questo, come dice il testo greco, non viene riservata loro la stessa sorte che anticamente toccava ai nemici. I turisti sono una fonte di rendita ed è per questo che sono accettati. Questo vale in modo particolare per il poverty tourism, ma ad ogni modo, lo stabilirsi di relazioni di dipendenza economica tra turisti e nativi, è una caratteristica del turismo indipendentemente da dove esso sia praticato, non è un’esclusività del turismo nelle favelas o nei Paesi in via di sviluppo.