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Definizione e costruzione dei profili professionali

Nel documento ORGANIZZAZIONE E DISCIPLINA (pagine 148-155)

Nuove figure che, anche in ragione della richiamata mutazione delle culture professionali e delle caratteristiche intrinseche della professionalità224, è necessario vengano costruite e definite assecondando delle rinnovate logiche, ancora spesso estranee ai moderni mercati del lavoro e, in particolare, a quei sistemi di relazioni industriali che, come non si è mancato di sottolineare anche in precedenza, sono ancora ampiamente e spesso ingiustificatamente ancorati ad una visione industrialista del lavoro.

In ragione di tale considerazione, la ricostruzione non solo del generale contesto nazionale, ma anche e soprattutto dei persistenti limiti riscontrati nelle modifiche introdotte dal rinnovo del CCNL del lavoro domestico, sembra confermare l’esigenza di ridisegnare l’offerta formativa nei confronti di operatori ai quali, in ragione dell’esigenza di adeguamento a nuovi tipi di mansione225, verranno richieste sempre maggiori competenze per soddisfare tanto esigenze più strettamente sanitarie, quanto bisogni relazionali e di accudimento in senso lato.

Sarà necessario, in altri termini, acquisire una ulteriore e determinante consapevolezza che la qualificazione del settore potrebbe contribuire alla risoluzione delle criticità presenti e di quelle che si stanno affacciando nel prossimo futuro226. Tale necessità appare in modo ancora più lampante se si considera che, nonostante si stia assistendo ad una sempre maggiore proliferazione di figure professionali nel settore della cura, con un progressivo

224 Di questo aspetto si occupa M. Marzulli, M. Moscatelli, Dalla crisi alla capacitazione: le forme innovative di welfare locale come risposta emergente. Una lettura trasversale, in V. Cesareo (a cura di), Welfare responsabile, Vita e Pensiero, Milano, 2017, pp. 293 ss.

225 Di come i cambiamenti in atto stiano contribuendo alla determinazione di nuove professionalità, a cui sono specularmente richieste diverse e rinnovate mansioni si occupa anche A. Minervini, op. cit., p. 3.

226 N. Caselgrandi, I servizi di collaborazione domestica e familiare, cit., p. 109.

declino della storica dominanza della classe medica227, i soggetti più qualificati risultano essere ancora oggi proprio i medici e gli infermieri. Al contrario, i lavoratori domestici e più in generale i soggetti demandati alla cura e all’assistenza, pur rappresentando circa i tre quarti della totalità degli operatori coinvolti nella gestione della non autosufficienza e della disabilità, sono i soggetti più scarsamente qualificati228 e, per tale ragione, spesso incapaci di rispondere in modo adeguato alle sempre più complesse esigenze degli assistiti.

La presente analisi e, in particolare, la ricostruzione di come lo sviluppo della professionalità venga ancora oggi percepito nell’ambito della contrattazione collettiva di riferimento, infatti, non ha fatto altro che confermare come sia quanto mai lontano il riconoscimento del lavoro di cura come una vera e propria professione. Un passaggio che potrebbe, tuttavia, rappresentare un punto di svolta sotto diversi profili. In primo luogo, infatti, potrebbe fungere da leva per attrarre manodopera qualificata nel settore229 e, secondariamente, potrebbe contribuire a favorirne una conseguente valorizzazione da parte della società230, permettendo così la fuoriuscita del lavoro di cura dal “cono d’ombra” in cui è stato a lungo relegato in funzione del suo storico collegamento alla riproduzione sociale. Sotto un’altra prospettiva, poi, come evidenziato anche nel Parere del Comitato economico e sociale europeo del 2010 in materia di lavoro domestico, giungere alla professionalizzazione dei lavoratori del settore potrebbe offrir loro diritti e tutele equivalenti rispetto a coloro che lavorano in ufficio e in fabbrica, permettendo specularmente di trasformare il lavoro domestico «in un lavoro a tutti

227 R. Lusardi, E. M. Piras, Collaborazione e coordinamento nelle pratiche di cura. Forme emergenti di relazione tra pressioni istituzionali e accordi informali, in Studi di sociologia, 4, 2018, p. 386

228 F. Piperno, op. cit., p. 339, fornisce questo dato.

229 Sul punto si esprime F. Piperno, op. cit., p. 362, che si concentra su come la società, in particolare nel nostro Paese, sia ancora ben lontana dal riconoscere il lavoro di cura come una vera e propria professione, causando poi le difficoltà e generando i limiti che sono stati ripercorsi nella presente analisi.

230 S. Borelli, Who Cares? Il lavoro nell’ambito dei servizi di cura alla persona, cit. p. 179.

gli effetti». Sposando questa impostazione di pensiero, sarebbe infatti possibile approdare allo sviluppo di nuove dinamiche, all’interno del mercato del lavoro, in grado di superare, almeno in parte, il persistente pregiudizio secondo cui queste attività siano riservate esclusivamente alle famiglie, ed in particolare alle donne231. Si contribuirebbe così al riconoscimento del valore di tutte quelle attività che, proprio perché considerate attinenti esclusivamente alla sfera riproduttiva e relegate all’interno delle mura domestiche, sono state a lungo considerate scarsamente “professionalizzate” e “professionalizzabili” e per tale ragione, come si è avuto modo di vedere (supra, Cap. I), gestite dalla famiglia o, in alternativa, da assistenti familiari scarsamente preparati232.

In un settore quale quello domestico e di cura, assoggettato a logiche profondamente differenti a quelle che hanno caratterizzato il Novecento industriale, la ricostruzione dei risultati fino ad oggi ottenuti, sembrerebbe evidenziare che la definizione e costruzione delle relative figure professionali non dovrebbe passare solo ed esclusivamente attraverso corsi di formazione analoghi a quelli attualmente offerti, in considerazione del fatto che gli stessi, seppur già diffusi da anni, hanno riscontrato non poche difficoltà233. Ciò in considerazione

231 Di come la professionalizzazione possa contribuire al riconoscimento del lavoro domestico e di cura come «lavoro a tutti gli effetti» parla il Comitato economico e sociale europeo, La professionalizzazione del lavoro domestico, 25.05.2010, reperibile al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2011:021:0039:0043:IT:PDF in particolare qui citati artt. 2.2.3 e 2.2.4, in cui viene evidenziato in particolare che, storicamente, il lavoro di cura è riconosciuto come un onere e una responsabilità esclusiva delle donne e non si sia sentito, pertanto, il bisogno di procedere alla sua conseguente professionalizzazione.

232 Come è stato meglio approfondito nel Cap III, è ancora oggi evidente, nonostante si siano operati sforzi in questo senso, la scarsa professionalizzazione degli operatori demandati alla cura.

233 Di come la professionalizzazione dei lavori nel settore socio sanitario e socio assistenziale non possa passare unicamente attraverso dei corsi di formazione, in quanto gli stessi hanno già presentato evidenti limiti e lacune si occupa S. Pasquinelli, Qualificare il lavoro privato di cura, cit. p. 314. In particolare, l’A. sottolinea come tali corsi abbiano riscontrato spesso uno scarso interesse da parte dei partecipanti, che percepiscono la formazione come un onere e non come una occasione. Ancora, N. Caselgrandi, I servizi di collaborazione domestica e familiare, cit.,

principalmente del fatto che le prestazioni lavorative risultano essere oggi sempre meno manipolative e più cognitive e prevedono compiti meno esecutivi e più cooperativi, in particolare in quei settori che richiedono di realizzare attività che coinvolgono un soggetto da assistere e che riguardano, più in generale, la persona nel suo complesso. L’evoluzione delle prestazioni lavorative in epoca post-fordista, in altre parole, non fa che confermare che, ad oggi, le attitudini richieste sono più polivalenti e meno specializzate234 e richiedono, per questo, una preparazione che sia in grado di permettere la valorizzazione e lo sviluppo di aspetti maggiormente connessi alla dimensione della qualità del lavoro e all’orientamento soggettivo verso il lavoro stesso235. Questi ultimi sono difficilmente acquisibili attraverso i corsi oggi a disposizione dei collaboratori, considerando che, fatta salva qualche rara eccezione, non esiste ad in Italia una formazione adeguata per tutto il settore della collaborazione domestica e familiare, ovvero per l’intero arco delle diverse mansioni che racchiude236. L’assistente familiare, la cui figura non può essere più attualmente “appiattita” su quella del lavoratore domestico, in quanto sempre più coinvolto in attività di cura e di assistenza in senso ampio, è infatti chiamato in causa come soggetto attivo nella realizzazione di attività di svariata natura e, per tale ragione, deve essere in grado di costruire il contesto e l’architettura della propria prestazione lavorativa,

nell’ambito della ricostruzione dell’attuale contesto del lavoro domestico e di cura sottolinea che i lavoratori di cura sono scarsamente professionalizzati.

234 M. Magnani, Organizzazione del lavoro e professionalità tra rapporti e mercato del lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 101, 1, 2004, pp. 167 affronta il tema di come i contenuti della prestazione lavorativa siano oggi in continuo mutamento e, di conseguenza, anche le attitudini stesse dei lavoratori si stanno modificando, parlando, in particolare dell’evoluzione dei compiti da meramente esecutivi e manipolativi a cognitivi, che richiedono quindi un maggior coinvolgimento del lavoratore nella prestazione.

235 Dei diversi attributi che possono essere associati al concetto di professionalità si occupa A.

Baldissera, Professionalità: un solo termine per molti significati, in Studi organizzativi, nn. 3-4, 1982, pp. 175-195.

236 N. Caselgrandi, I servizi di collaborazione domestica e familiare, cit. p. 110.

mettendo a punto il suo significato e gli scambi di conoscenza e di attività che di volta in volta si rendono necessari237.

La professionalità così intesa, sebbene sia riconosciuta da gran parte della letteratura come una nozione a tratti sfuggente238, in ragione principalmente delle sue diverse componenti, che possono assumere valore e sfumature differenti239, mostra tutta la propria ambivalenza. La stessa arriva ad essere non più solo un attributo del lavoro, bensì anche del lavoratore240, coinvolgendo la persona nel suo complesso, le sue capacità e attitudini, oltre che le sue naturali inclinazioni e racchiude, così, sia il lavoro della conoscenza teorica e pratica in tutte le sue accezioni, sia quello di relazione con il cliente (o con l’assistito, nel caso delle attività di cura), così come la responsabilità di fornire un risultato241. La professionalità, da lineare, solida e prevedibile diviene, in altri termini, fluttuante, ibrida, liquida e adattativa; potrebbe arrivare ad essere definita “plastica”242, proprio perché intesa in termini dinamici, come competenza in evoluzione e non

237 Sul punto, sempre M. Magnani, Organizzazione del lavoro e professionalità tra rapporti e mercato del lavoro, cit., p. 168, che a sua volta, nell’esprimere il lavoratore come soggetto attivo, richiama E. Rullani, Indagine nazionale sui fabbisogni formativi nell’artigianato 2000-2002, in Ebna, 2003.

238 P. Tomassetti, op. cit., p. 1151, afferma che la definizione di professionalità è a tratti sfuggente e di difficile inquadramento. Tuttavia, diversi sono stati gli autori che si sono occupati di questo aspetto. Su tutti, si consideri R. Nacamulli, Professionalità e organizzazione, in M. Napoli (a cura di), La professionalità, Vita e pensiero, Milano, 2004, pp. 61 ss., che apre la propria riflessione proprio con la considerazione secondo cui dare una definizione del termine professionalità non è semplice, poiché attraversa, sotto diverse prospettive, i temi organizzativi del diritto del lavoro ed economici.

239 A. Minervini, La professionalità del lavoratore nell’impresa, Cedam, Padova, 1986, p. 31.

240 P. Causarano, Dimensioni e trasformazioni della professionalità, in A. Cipriani, A. Gramolati, G. Mari (a cura di), Il lavoro 4.0. La Quarta Rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze University Press, 2018, p. 160.

241 F. Butera, Lavoro e organizzazione nella quarta rivoluzione industriale: la nuova progettazione socio-tecnica, in L’industria, n. 3, 2017, p. 301.

242 M. Brollo, Tecnologie digitali e nuove professionalità, in Diritto delle Relazioni Industriali 2/2019, pp. 478-479.

più percepita, come avveniva in passato, esclusivamente come un bene da acquisire243.

Tale impostazione sembrerebbe allora richiedere una professionalità che non rappresenta più tanto un prerequisito di cui il lavoratore deve disporre, quanto più un obiettivo da perseguire244, arrivando innanzitutto ad investire un valore simbolico, che attiene alla qualità e al senso intrinseco che soggettivamente viene assegnato da chi svolge una prestazione rispetto all’attività in sé, oltre che un valore di status estrinseco, collegato alla valutazione sociale dell’attività stessa245. Così come alla professionalità, in quest’ottica, viene allora specularmente riconosciuto anche un valore di tipo culturale, in quanto capace di rappresentare un deposito di sapere, il cosiddetto know how del lavoratore246, che non può più essere oggi ricondotto esclusivamente alla dimensione oggettiva del saper fare, quanto piuttosto richiede una valorizzazione anche delle dimensioni più strettamente soggettive del saper come fare, del saper essere, fino ad arrivare, in ultima analisi, al saper divenire247.

L’esigenza appena descritta, che si articola principalmente intorno alla necessità di giungere al riconoscimento di una nuova dimensione della professionalità che sia maggiormente ancorata alla persona, sembra andare nella direzione del riconoscimento di una progressiva e ormai sempre più evidente mutazione del paradigma fondamentale su cui si sono basate, nel tempo, le professioni stesse.

Sono posti così in primo piano codici inediti, credenze e valori professionali248,

243 I. Scanni, Le trasformazioni dell’organizzazione d’impresa e la professionalità del lavoratore, in Sociologia del diritto, n. 3, 2011, p. 157.

244 Sul punto si esprime P. Tomassetti, op. cit., p. 1170.

245 P. Causarano, Dimensioni e trasformazioni della professionalità, cit., pp. 159-160 che, nel ripercorrere questa suddivisione. richiama A. Baldissera, op. cit.

246 A. Accornero, Il mondo della produzione, cit., p. 273.

247 Sul punto, M. Brollo, Quali tutele per la professionalità in trasformazione?, in Argomenti di Diritto del Lavoro, n. 3, 2019, pp. 499 ss.

248 In questi termini, ancora, S. Tomelleri, Quali professionalità per il nuovo welfare?, in V.

Cesareo (a cura di), Welfare responsabile, Vita e Pensiero, Milano, 2017, p. 471.

attraverso una valorizzazione e considerazione innanzitutto della dimensione della dignità della persona nel suo complesso249. In altri termini, in funzione delle rinnovate consapevolezze intorno alla materia, che ha guadagnato sempre più centralità nel corso degli ultimi anni, la professionalità, oggi, piuttosto che costituire un concetto unanimemente accettato e riconosciuto, parrebbe più che altro esprimere valori, ideologie e desiderata del lavoratore250 in quanto considerata come “bene privato” di cui il lavoratore dispone e che prescinde dal singolo rapporto di lavoro251. I richiamati cambiamenti stanno favorendo, in questo senso, una progressiva e sempre più evidente esaltazione dei profili formativi, collaborativi e di capability252, che stanno specularmente portando al riconoscimento di una professionalità più “individuale”, attraverso la valorizzazione delle capacità e delle competenze di lavoro del prestatore253. Una professionalità, dunque, che appare sempre più legata alla conoscenza del singolo lavoratore e che propone di far guadagnare rinnovata centralità, all’interno dello scambio, all’identità umana della persona, che è rappresentata da una serie di fattori che non sono riconducibili alla semplice energia lavorativa del soggetto254.

249 M. Brollo, Tecnologie digitali e nuove professionalità, cit., p. 477.

250 M. Tiraboschi, Mercati, Regole, Valori, cit., p. 91, che a sua volta richiama diversi autori che si sono espressi sul tema, con l’obiettivo di dimostrare l’esigenza di ripensare la professionalità e gli attributi che alla stessa dovrebbero essere ricondotti.

251 M. Falsone, La professionalità e la modifica delle mansioni: rischi e opportunità dopo il Jobs Act, in Professionalità Studi, n. 1, 2018, p. 49, nell’affermare questa caratteristica della professionalità sostiene che la professionalità, così intesa, segue il lavoratore nell’ambito di tutta la sua carriera, che raramente, alla luce di quelli che sono gli attuali mercati del lavoro, difficilmente si svolerà nel medesimo luogo.

252 M. Falsone, op. cit., p. 34.

253 A. Minervini, op. cit., p. 34.

254 R. Del Punta, Un diritto per il lavoro 4.0, in A. Cipriani, A. Gramolati, G. Mari (a cura di), La quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze University Press, 2018, pp. 225 ss.

Nel documento ORGANIZZAZIONE E DISCIPLINA (pagine 148-155)