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Nuove regole e nuove tutele per le nuove professionalità

Nel documento ORGANIZZAZIONE E DISCIPLINA (pagine 155-197)

Nello svolgimento della ricerca si è ampiamente sottolineato la principale criticità del lavoro di cura che consiste in uno sforzo normativo e progettuale ancora insufficiente per trasferire il lavoro di cura dalla sfera degli affetti a una dimensione anche di mercato per quanto non necessariamente ed esclusivamente tale. Ciò attraverso la costruzione e valorizzazione di un possibile e forse anche auspicabile contenuto professionale che possa essere oggetto di scambio dentro un mercato del lavoro regolare e accompagnato da precise regole a tutela del lavoratore ma anche delle famiglie e delle persone assistite. Ciò ovviamente a condizione di intendere la professionalità non in termini “statici” ancorati ad un patrimonio professionale acquisito dal lavoratore e identificabile, come già si è avuto modo di vedere (supra, § 4), nel suo “saper fare”255.

Come è noto, infatti, la sola previsione normativa che, nel nostro ordinamento, si è formalmente proposta negli anni di tutelare la professionalità del lavoratore, è rinvenibile all’interno dell’art. 2103 cod. civ.256. A lungo, si è ritenuto che il sapere e l’esperienza acquisiti dai lavoratori nell’esercizio delle mansioni affidate loro non potesse essere disperso, al fine di evitare un danno alla loro professionalità, a seguito dell’assegnazione di nuovi e diversi compiti257. In quest’ottica, la tutela di quest’ultima è stata a lungo letta in termini ampiamente difensivi258, in quanto il disposto dell’art. 2103 cod. civ. è stato interpretato nel senso di privilegiare in ogni caso l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto, attraverso l’adempimento dell’obbligo di repechage e prevedendo l’assegnazione del lavoratore anche a mansioni inferiori, a condizione che venisse

255 A. Minervini, op. cit., pp. 31-32.

256 Sul ruolo dell’art. 2103 cod. civ. e del suo legame con la tutela della professionalità si veda, tra i molti, F. Scarpelli, Professionalità e nuovi modelli di organizzazione del lavoro: le mansioni, in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 2, 1994.

257 M. Brollo, Quali tutele per la professionalità in trasformazione, cit., p. 51.

258 M. Tiraboschi, Mercati, Regole, Valori, cit., p. 85.

salvaguardata una sorta di omogeneità delle nuove mansioni con le precedenti259. Una tutela di una professionalità, quindi, spesso valutata solo in termini oggettivi, calibrata sulle conoscenze tecniche e sulle capacità pratiche attinenti all’esperienza lavorativa maturata, a discapito di una maggiore valorizzazione della componente “soggettiva”, incentrata sul sapere posseduto in senso lato dal lavoratore260, nella sua dinamicità, generata dall’esigenza di adeguamento all’utilizzazione concreta dell’esperienza, oltre che delle conoscenze professionali261.

Il dibattito intorno a questo tema, recentemente rinvigorito in ragione della radicale riforma allo ius variandi apportata dal Jobs Act, ha fornito occasione di riflessione innanzitutto rispetto a quello che possa e debba essere l’effettivo oggetto del contratto di lavoro. Sul tema, che ha interessato la diatriba giuslavoristica nel corso degli anni, sono andate affermandosi principalmente due posizioni dottrinali, che vedono, da un lato, coloro che guardano al contratto di lavoro come ad uno scambio mercantile tra retribuzione e lavoro e, dall’altro, coloro che ritengono la professionalità il vero oggetto del contratto, proponendo di abbandonare le tradizionali impostazioni262, propense ad individuare il suo oggetto nelle sole mansioni convenute263.

259 Brollo, Quali tutele per la professionalità in trasformazione, cit., p. 51.

260 U. Carabelli, Organizzazione del lavoro e professionalità, cit., p. 23, descrive la differenza tra professionalità oggettiva e soggettiva, precisando come la prima sia una sintesi descrittiva delle mansioni da svolgere mentre la seconda è maggiormente riconducibile ad una attitudine professionale, talvolta anche certificata.

261 A. Minervini, op. cit., pp. 31-32 spiega, come hanno fatto anche altri autori interessati al tema, l’esigenza di riuscire a cogliere la dinamicità della professionalità, concentrandosi in particolar modo sui profili collegati agli aspetti tecnologici e di automazione del lavoro.

262 Della diatriba giuslavoristica intorno al tema si è interessato M. Falsone, op. cit., che ha evidenziato l’esistenza della polarizzazione descritta. Tuttavia, il tema del rapporto tra professionalità e contratto di lavoro è stato dettagliatamente ricostruito innanzitutto in C. Alessi, Professionalità e contratto di lavoro, Giuffrè Editore, Milano, 2004, oltre che in C. Alessi, Professionalità, contratto di lavoro e contrattazione collettiva, oggi, in Professionalità Studi n. 1,

Specularmente, in particolar modo in considerazione di quello che è il contenuto del rinnovato art. 2103 cod. civ., così come modificato dal D.Lgs. n. 81/2015, la presente analisi non può esimersi dall’interrogarsi oggi, ancora più in profondità, su quale debba essere il punto di equilibrio tra il grado e il tipo di soggezione del prestatore di lavoro all’organizzazione aziendale, oltre che al potere giuridico di direzione e conformazione della prestazione di lavoro in capo al datore di lavoro, rispetto alla salvaguardia della sua professionalità. Infatti, le trasformazioni del lavoro in atto e la più volte richiamata evoluzione dei moderni mercati del lavoro lasciano trasparire che la tutela e la promozione della professionalità non possano essere oggi affidate alle sole dinamiche dello scambio negoziale, nella complessa interazione tra previsione normativa e sviluppi del sistema di contrattazione collettiva264.

Una contrattazione collettiva che sembrerebbe mostrare, con specifico riferimento al tema in esame in senso ampio e non solo rispetto alle criticità rilevate nel rinnovo del CCNL del lavoro domestico (supra, § 3), sempre più evidenti difficoltà nel riuscire a valorizzare e tutelare in modo appropriato la professionalità dei lavoratori, al di fuori dei sistemi di classificazione ed inquadramento che hanno caratterizzato il Novecento industriale. Sembra ancora complicato, in altre parole, riuscire, ad approdare ad un sistema che sia basato

2018, pp. 23 ss., in cui viene proposto specularmente anche un focus sul ruolo che la contrattazione collettiva potrebbe giocare rispetto alla materia.

263 Tra coloro che, negli anni, sono stati propensi ad escludere la professionalità, nella sua dimensione più dinamica, dall’oggetto del contratto, si veda, su tutti, G. Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene, Napoli, 2004.

264 M. Tiraboschi, Mercati, Regole, Valori, cit., p. 85, pone in evidenza come la riforma all’art.

2103 cod. civ., introdotta dal Jobs Act, non abbia solo spinto ad una riflessione sull’oggetto del contratto di lavoro, diatriba che, come si è avuto modo di vedere, ha ampiamente interessato la letteratura in materia negli anni, ma, al contrario, ha portato anche a riflessioni di diversa natura.

Specularmente, a p. 86, pone in evidenza come la professionalità non possa essere più essere, infatti, demandata unicamente allo scambio negoziale.

sulle competenze, più che sulle mansioni265. Nonostante, infatti, la riforma dell’art. 2103 cod. civ. abbia offerto comunque alle parti sociali un’occasione per promuovere la professionalità come valore, in virtù dei nuovi ed espliciti rinvii alla contrattazione collettiva266, l’analisi dei più recenti interventi della contrattazione stessa nel merito, sembrerebbe confermare una propensione a continuare a valorizzare un sistema di classificazione ormai obsoleto, inadatto ed incapace di cogliere le trasformazioni in atto. Quest’ultimo, sebbene sia stato utile ai fini del superamento della distinzione tra operai e impiegati nel corso degli anni Settanta, continua ad essere fortemente ancorato ad una suddivisione tra lavoro esecutivo e non esecutivo267, messa in crisi dai nuovi modelli su cui oggi si basano i moderni mercati del lavoro e del tutto incapace di cogliere le sfumature e il valore che il concetto di professionalità ha finito con l’acquisire nel tempo (supra, § 4). Nonostante la presenza di alcuni sporadici esempi virtuosi in ambito nazionale268, le relazioni industriali, infatti, sembrano mostrare persistenti limiti nel superamento di quello che ad oggi appare come un vero e proprio disallineamento tra sistemi di classificazione e inquadramento del personale, progettati intorno all’astratta definizione delle declaratorie e dei profili

265 Il tema è oggetto di approfondimento della letteratura che si occupa dell’adeguatezza dei sistemi di classificazione rispetto a quelli che sono i mutamenti in atto. Nei termini sopra richiamati si esprime, in particolare, S. Tagliavini, Una proposta di riforma del sistema di inquadramento: verso un sistema fondato sulle competenze, in Professionalità Studi, n. 1, 2018, qui p. 159.

266 M. Falsone, op. cit., p. 33.

267 T. Treu, Nuova professionalità e futuro modello del sistema di relazioni industriali, cit., pp. 16-17 sostiene che i sistemi di classificazione previsti ancora oggi dalla contrattazione collettiva sono in gran parte obsoleti rispetto a quelli che sono i moderni mercati del lavoro, in quanto, nella specifica riflessione che affronta, incapaci di cogliere la portata dell’evoluzione tecnologica a cui si sta in particolare assistendo.

268 Si veda L. Citterio, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/14 – L’evoluzione dei sistemi di classificazione nei rapporti ADAPT sulla contrattazione collettiva: quali sfide attendono le relazioni industriali?, in Bollettino ADAPT 15 marzo 2021, n. 10, per una ricostruzione dettagliata del tema.

professionali, e contenuto contrattuale del lavoro che imporrebbe una lettura della professionalità in chiave di competenze, ruoli e comportamenti organizzativi269. Infatti, secondo quelle che sono le teorie ripercorse in particolare con specifico riferimento alla dimensione da riconoscere alla professionalità (supra, § 4), quest’ultima, chiamata a misurarsi con la complessità, tende a diventare essa stessa complessa e finisce inevitabilmente con il creare un problema significativo alle intenzioni classificatorie, che in genere continuano ancora oggi a identificare la professionalità in un saper fare concreto, operativo e materiale270. Un meccanismo, quello descritto, che rende particolarmente complesso fissare tipi professionali esaustivi e stabili271. Fondamentale, diviene allora chiedersi in che modo sarà possibile giungere a ridisegnare un sistema contrattuale che rispecchi le reali esigenze di mercato, necessarie per rendere il sistema più competitivo nel suo complesso272. Ciò che sembra essere richiesto, in questo frangente, alle relazioni industriali è di provare a governare le nuove dimensioni di una professionalità considerata come polivalente e di provare, parallelamente, ad incoraggiare un conseguente sviluppo delle carriere su percorsi sempre meno verticali rispetto al passato273, progettando regimi di tutela che siano adattabili e diversificati a presidio di una più piena esplicazione della persona nei multiformi contesti di lavoro in cui viene inserita274. In un mercato del lavoro in cui il lavoratore investe sulla propria professionalità, diventa infatti essenziale poter

269 Sul punto, P. Tomassetti, op. cit., p. 1153, si interroga proprio su quali siano gli interventi adottati dall’autonomia collettiva per provare a trovare delle risposte concrete al descritto problema del disallineamento.

270 T. Treu, ult. op. cit., p. 17.

271 M. Magnani, Organizzazione del lavoro e professionalità tra rapporti e mercato del lavoro, cit., p. 168 si esprime in questi termini, nell’ambito di una più ampia riflessione rispetto all’esigenza di trovare un modo efficace per misurare e comunicare la professionalità, senza tradire la complessità delle competenze che si vorrebbero stimare, riducendole alle dimensioni di uno standard che sia comunicabile.

272 S. Ciucciovino, L. Casano, P. Tomassetti, Professionalità e contrattazione collettiva: ragioni e contenuti di un fascicolo monografico sul tema, in Professionalità Studi n. 1/2018, p. 4

273 Sul punto, si veda sempre S. Ciucciovino, L. Casano, P. Tomassetti, op. cit., p. 4.

274 M. Tiraboschi, Persona e lavoro, cit., p. 213.

misurare e comunicare le capacità acquisite dallo stesso275, attraverso, non da ultimo, la contrattazione nazionale. Provando a sposare tale impostazione, si potrebbe, non da ultimo, approdare anche alla necessaria valorizzazione di assetti regolatori calibrati sulla persona e sulle doti del singolo che, considerate come caratteristiche delle nuove professioni, sono alquanto singolari e difficilmente adattabili alle usuali classificazioni contrattuali276. L’analisi fin qui condotta, infatti, evidenzia in modo inequivocabile come la tutela della professionalità, intesa unicamente in termini oggettivi, non sia più adeguata ai nuovi modelli di organizzazione del lavoro, i quali stanno modificando in modo radicale, se non addirittura irreversibile, tanto il contenuto del lavoro quanto il concetto di professionalità stesso277.

Per tali ragioni, a fronte di quella che sembra essere una sempre meno sostenibile inadeguatezza degli schemi ad oggi proposti, la ricostruzione dei limiti mostrati, in verità su più fronti e livelli, dalle relazioni industriali, non fa che ribadire quella necessità che già da tempo si è prospettata nel panorama nazionale di provare ad andare oltre le tradizionali classificazioni giuridiche fisse. Così come sarebbe specularmente altrettanto importante provare a proporre il definitivo superamento di inquadramenti contrattuali standardizzati che faticano oggi a valorizzare la possibile armonia tra professionalità e flessibilità funzionale (anche a seguito della riforma dell’art. 2103 cod. civ.)278. Gli stessi potrebbero tuttalpiù arrivare a

275 M. Magnani, Organizzazione del lavoro e professionalità tra rapporti e mercato del lavoro, p.

168 affronta il tema e sottolinea l’importanza di riuscire a misurare e comunicare le capacità che vengono acquisite mediante l’apprendimento professionale. Al tempo stesso, però, non manca di evidenziare come il riuscire a farlo, senza tradire la complessità delle competenze che si vorrebbero stimare, potrebbe essere particolarmente complicato.

276 T. Treu, ult. op. cit., p. 17.

277 U. Carabelli, Organizzazione del lavoro e professionalità, cit., p. 53.

278 M. Falsone, op. cit., nel ricostruire le novità introdotte dalla riforma dell’art. 2103 cod. civ.

sottolinea proprio come le relazioni industriali, nonostante la rinnovata centralità riconosciuta loro attraverso la summenzionata riforma, faticano ancora oggi a cogliere i mutamenti in atto e ad adottare strategie in grado di cogliere la portata e il valore della professionalità, garantendone specularmente nuove forme di tutela.

disegnare una sorta di «bussola di orientamento» dei modelli di competenze e di professionalità, che consenta di «navigare nei cambiamenti, mantenendo una rotta verso la realizzazione di un obiettivo», interagendo in tempo reale con le trasformazioni in atto279. In altri termini, recuperando quella che è un’idea di professionalità che coinvolge il lavoratore in senso lato, al di là del mero posto di lavoro che occupa, appare indispensabile quantomeno provare a valorizzare la persona nel suo complesso, in ragione di quella che, caso per caso, è l’essenza economica complessiva, attuale e potenziale, dello scambio e dell’affidamento reciproco tra le parti280. Un intervento, quello tratteggiato, che si rende quanto mai necessario all’interno di quegli ambiti produttivi e di lavoro in cui già oggi non si presuppone più l’inserimento del collaboratore in una organizzazione predefinita e preesistente, in cui è possibile stabilire ex ante lo specifico bisogno del datore di lavoro dentro una chiara divisione tecnica dei compiti e delle mansioni, nel rapporto tra le persone e tra la persona e le macchine281.

In ragione dei cambiamenti del lavoro, dei suoi contenuti e dei modelli di carriera che comportano che il rapporto di lavoro non debba più essere concepito esclusivamente entro uno schema fisso di orario di lavoro e che si esaurisce nel tempo della prestazione282, si richiede oggi di ricercare in una concezione ampia della professionalità la dimensione unificante su cui costruire strumenti di protezione per tutti i lavoratori, a prescindere dalle modalità con cui prestano la propria attività. In un tempo in cui la professionalità tende a svilupparsi in parallelo con l’ampliarsi degli spazi di autonomia e responsabilità del lavoratore

279 M. Brollo, Tecnologie e nuove professionalità, cit., p. 479.

280 Si veda in particolare la posizione nel merito di M. Tiraboschi, Persona e lavoro, cit., p. 213

281 Tale posizione è ribadita sempre in M. Tiraboschi, Persona e lavoro, cit., p. 213 che, sostiene questa tesi nell’ambito di una più articolata ricostruzione rispetto all’esigenza di ridisegnare nuove tutele per delle figure professionali in continua trasformazione, abbandonando, come del resto è prospettato anche nell’ambito della presente ricerca, i modelli e i sistemi di classificazione che potevano essere funzionali in epoca fordista ma che sono sempre meno adattabili ai mercati del lavoro emergenti, lontani dalla fabbrica.

282 A. Minervini, op. cit., pp. 25-26.

nell’esecuzione della prestazione, contestualmente, si assottigliano le barriere concettuali che, tradizionalmente, hanno caratterizzato (e in larga parte contraddistinguono ancora oggi) i moderni mercati del lavoro283, rendendo sempre più necessaria una riprogettazione delle regole e delle tutele a cui la professionalità, nella sua rinnovata accezione e interpretazione, debba essere sottoposta.

In tale ottica si mostra come sempre più impellente l’esigenza di perseguire quella che Butera ha definito una «nuova idea di lavoro», sposando un modello che sia concentrato su conoscenze e responsabilità e che renda possibile il superamento dei principi alla base del taylorismo e del fordismo284, puntando piuttosto ad una maggiore valorizzazione della cosiddetta “utilità” che viene prodotta dal lavoratore, a prescindere dall’orario di lavoro. L’utilità che il singolo è in grado di apportare arriverebbe così a rappresentare il fondamento del lavoro, prescindendo dal paradigma quantitativo del valore-tempo, calcolato con la nozione di orario di lavoro effettivo285. Si dovrebbe approdare piuttosto ad un mutamento di tipo innanzitutto culturale, che renda possibile l’abbandono dell’attuale sistema delle transizioni di lavoro, che si basa esclusivamente sul lavoro come merce di scambio e che genera un compenso nella maggior parte dei casi commisurato alla

283 Tale tesi è ripercorsa e ricostruita in S. Ciucciovino, L. Casano, P. Tomassetti, op. cit., in cui in particolare viene sottolineato come i mutamenti in atto stanno facendo sì che vada sempre più sfumando la contrapposizione tra laovoro subordinato e lavoro autonomo.

284 F. Butera, Lavoro e organizzazione nella quarta rivoluzione industriale, cit., p. 301.

285 V. Bavaro, Produttività, lavoro e disciplina giuridica. Un itinerario sui tempi di lavoro, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2009, Vol. LX, 2 sostiene l’esigenza di valorizzare un mercato del lavoro oltre le logiche del “tempo”, nei termini descritti. Per un approfondimento rispetto la posizione dell’A. riguardo il tema in oggetto si veda anche V. Bavaro, Il tempo nel contratto di lavoro subordinato. Critica sulla de-oggettivizzazione del tempo lavoro, Carucci, Bari, 2008. Si veda in particolare, per la ricostruzione in corso, la descrizione che l’A. fa, a pp. 36 ss. del mercato del lavoro tradizionalmente inteso, in termini giuridici, come un mercato del tempo di lavoro.

durata della prestazione lavorativa286. In considerazione della complessità del contesto in cui si colloca, pertanto, è necessario che l’organizzazione sindacale, perché possa sopravvivere, affronti un significativo rinnovamento interno287, attraverso una progressiva acquisizione di consapevolezza rispetto alla centralità che dovrebbe essere riconosciuta alla professionalità. Una simile operazione potrebbe permettere di andare oltre ad una idea di mercato del lavoro fortemente ancorata al tempo di lavoro che risulta difficilmente adattabile ad una prestazione, quella di cura, incentrata sulle relazioni intersoggettive, che rendono specificatamente complesse le attività, per le quali solo competenze peculiari possono produrre svolgimenti corretti ed esiti positivi288. Le relazioni industriali, provando allora a colmare quello che sembra ancora essere, oggi, un (almeno parziale) vuoto di rappresentanza sia riferito ai lavoratori che alle famiglie datrici289, è necessario che adottino strumenti in grado di valorizzare una professionalità che, da un lato, funga «da cerniera tra il tradizionale diritto del lavoro e il più moderno diritto per il lavoro», arrivando a cogliere la ricchezza del pluralismo di esperienze e di lavori, dentro e fuori il mercato290 e che, dall’altro, venga definitivamente riconosciuta come strumento per l’espressione della personalità del singolo soggetto291.

Per tali ragioni, perseguendo, non da ultimo, anche l’intento di riuscire a comprendere che la categoria del lavoro non può più essere pensata oggi solo ed

286 M. Crippa, Valorizzazione delle competenze e flessibilità contrattuale: verso il superamento dei sistemi di classificazione contrattuale dei lavoratori, in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 4, 2008, p. 1144.

287 Di come la sfida del sindacato dovrà giocarsi anche sulla sua capacità di rinnovamento nei termini sopra descritti parla A. Minervini, op. cit., p. 29.

288 Sul punto si veda A. Rinaldi, Verso un patto per il lavoro di cura, p. 23, in N. Caselgrandi, A.

Montebugnoli, A. Rinaldi (a cura di), Se due milioni vi sembran pochi. Colf e badanti nella società italiana oggi, Carocci Editore, Roma, 2013.

289 A. Rinaldi, op. cit., p. 22.

290 M. Tiraboschi, Mercati, Regole, Valori, cit., p. 91.

291 C. Alessi, Professionalità e contratto di lavoro, Giuffrè Editore, Milano, 2004, pp. 87 ss. si occupa del tema del riconoscimento della professionalità sotto una diversa prospettiva.

esclusivamente dentro l’orizzonte del lavoro produttivo292, l’analisi fin qui sviluppata sembrerebbe confermare che è proprio attorno al concetto di professionalità, come ambito di maturazione e sviluppo delle competenze e prima ancora delle identità socio-professionali (oltre che come metro per la valutazione della qualità dei percorsi di carriera) che può essere sviluppata tutta quella infrastruttura di un moderno diritto del mercato del lavoro che, per accompagnare (e non subire) le transizioni occupazionali, risponda alla fondamentale esigenza di

«misurare e comunicare le capacità che vengono acquisite mediante l’apprendimento, in vista di una carriera professionale a lungo termine»293. In questo modo sarà possibile provare a costruire un mercato del lavoro di cura che ruoti intorno a regole certe e in cui, prescindendo almeno in parte dalle dinamiche

«misurare e comunicare le capacità che vengono acquisite mediante l’apprendimento, in vista di una carriera professionale a lungo termine»293. In questo modo sarà possibile provare a costruire un mercato del lavoro di cura che ruoti intorno a regole certe e in cui, prescindendo almeno in parte dalle dinamiche

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