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La diffusione delle piattaforme digitali

Nel documento ORGANIZZAZIONE E DISCIPLINA (pagine 131-135)

2. I (non) mercati del lavoro di cura e il crescente ruolo degli

2.1 La diffusione delle piattaforme digitali

Accanto a quelli che potrebbero essere definiti degli intermediari “tradizionali”, con l’avvento delle nuove tecnologie, anche il web si è trasformato, poi, progressivamente in un intermediario professionale, sfruttando le sorprendenti capacità dei dispositivi informatici, quali, a titolo esemplificativo, le app. La normativa vigente in materia (art. 6, lett. f), del D.Lgs. n. 276/2003) ha infatti autorizzato all’intermediazione di lavoro anche «i gestori di siti internet a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e che rendano pubblici sul sito medesimo i dati identificativi del legale rappresentante». Nel caso di attività svolta con fini di lucro, specularmente, secondo quanto previsto dalla Circolare del Ministero del Lavoro 13 gennaio 2011, n. 3, i soggetti demandati all’attività di intermediazione saranno chiamati ad attenersi ai principi sanciti dall’art. 4 del già citato decreto.

170 L’art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. n 276/2003 definisce l’intermediazione quale «attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione all'inserimento lavorativo dei disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati, comprensiva tra l'altro: della raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori; della preselezione e costituzione di relativa banca dati; della promozione e gestione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro della effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della attività di intermediazione; dell'orientamento professionale; della progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all'inserimento lavorativo».

171 Il tema è affrontato da J. Fudge, C. Hobden, Conceptualizing the role of intermediaries in formalizing domestic work, ILO, Conditions of Work and Employment Series, n. 95, 2018.

Questa dinamica, rivelatasi più viva che mai in particolare nei nuovi mercati del lavoro emergenti, tra cui figura indubbiamente quello domestico e di cura della persona, richiede sempre più di abbandonare, almeno parzialmente, la convinzione per cui la cosiddetta on-demand economy172 sia questione connessa unicamente al fenomeno dei rider, unici, nell’immaginario collettivo, a svolgere prestazioni tramite piattaforma173. Anche in questa percezione, almeno in parte distorta, dell’utilizzo che viene fatto delle piattaforme digitali, sembra così essere recuperata la già più volte richiamata convinzione che le attività di cura e domestiche siano esclusivamente riconducibili alla sfera privata, un mero “affare di famiglia”, relegato alla sfera riproduttiva. Il lavoro di cura, in altri termini, in ragione delle sue caratteristiche, finisce con l’essere trascurato anche dalla dottrina giuridica e giuslavoristica impegnata ad analizzare gli impatti delle nuove tecnologie sui moderni mercati del lavoro, la quale preferisce concentrarsi su altri aspetti e settori, più facilmente riconducibili a quello che, storicamente, è percepito a tutti gli effetti come “un mercato del lavoro produttivo”. Tuttavia, una ricerca INAPP-PLUS del 2019 sembrerebbe evidenziare, al contrario, come il fenomeno della on-demand economy starebbe coinvolgendo, più che i rider, i

172 L’on-demand economy e i principi cui è assoggettata sono dettagliatamente descritti in E.

Dagnino, Il lavoro nella on-demand economy: esigenze di tutela e prospettive regolatorie, in Labour&Law Issues, Vol. 1, n. 2, 2015, pp. 87 ss. In particolare, a p. 88, viene precisato che in tale definizione vengono fatte rientrare tutte quelle attività economiche basate sull’utilizzo di piattaforme internet che consentono l’incontro immediato tra un utilizzatore, che richiede un bene o un servizio ed un altro che è in grado di fornirlo “condividendo” il patrimonio di beni, competenze, tempo di cui è in possesso. Nell’ambito della ricostruzione nel merito, viene inoltre messo in evidenza come il fenomeno presenti anche notevoli punti di contatto con le dinamiche del crowdsourcing, cioè di quelle forme di gestione della prestazione che sostituiscano all’assegnazione ad un lavoratore (dipendente o meno) individuato dall’azienda una open call su piattaforme. Gli aspetti giuslavorisci collegati al fenomeno sono stati poi ulteriormente approfonditi in E. Dagnino, Uber Law: prospettive giuslavoristiche sulla sharing/on demand economy, in Diritto delle relazioni industriali, n. 1, 2016.

173 Questo aspetto è descritto in F. Capponi, Servizi alla persona: il caso dei lavoratori domestici e dell’assistenza domiciliare via App, in Bollettino ADAPT, 26 ottobre 2020, n. 39.

servizi di cura della casa e di assistenza in senso lato. Secondo i dati raccolti, le piattaforme più utilizzate non sarebbero infatti quelle per le consegne a domicilio, sfruttate solo dal 15% degli intervistati, bensì proprio quelle per le pulizie e i servizi domestici, impiegate dal 28% delle persone interpellate nel corso dell’indagine174. In ragione di un simile dato, parlare di piattaforme digitali (e della regolamentazione delle stesse) solo con riferimento al food delivery, per quanto indubbiamente importante, rischierebbe di essere riduttivo e di escludere dal discorso giuridico e giuslavoristico un’ampia gamma di lavoratori che faticano ancora a guadagnare spazio all’interno delle discussioni dottrinali nel merito, in quanto prestatori di servizi il cui valore economico sembra essere, almeno a primo impatto, di difficile determinazione.

Nell’analizzare se ed in che modo le piattaforme digitali potrebbero, nel prossimo futuro, contribuire alla costruzione di un mercato del lavoro di cura, tuttavia, la presente analisi non può prescindere dal prendere in considerazione anche tutte quelle criticità, in vero non di lieve entità, che l’avvento del lavoro tramite piattaforma ha finito col generare. Gli studi in materia, infatti, sembrerebbero confermare in modo sempre più inequivocabile che il web sta favorendo, oggi, anche una progressiva disintermediazione nei confronti degli operatori istituzionali (pubblici e privati), attraverso la diffusione di circuiti informali o amicali, siti di social recruiting, ma anche di reti civiche, finalizzate ad intercettare occasioni lavorative, sia pure marginali o interstiziali, attraverso l’ingaggio di freelancer più o meno professionali175. Inoltre, in ragione dei perimetri che la normativa vigente pone nel merito, molto spesso le piattaforme coinvolte arrivano ad escludere tanto la propria natura di intermediari, quanto di

174 Dati relative al numero dei gig workers coinvolti nelle attività domestiche sono reperibili in P.

Nicastro, I mercati digitali del lavoro. Lavoratori delle piattaforme – Evidenze sui dati INAPP-PLUS, Presentazione presso l’XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) della Camera dei Deputati, 25 settembre 2019, consultabile al seguente link:

https://oa.inapp.org/bitstream/handle/123456789/508/Nicastro_Presentazione_Audizione_GW_25 _09_2019.pdf?sequence=1&isAllowed=y.

175 P. Tullini, C’è lavoro sul web?, in Labour&Law Issues, Vol. 1, n. 1, 2015, pp. 6-7.

datori di lavoro a tutti gli effetti, favorendo così la costruzione di canali informali e totalmente deregolamentati. Pur tenendo in considerazione alcuni esempi virtuosi reperibili nel settore, tra cui figurano, a titolo esemplificativo, il sito Vicker.org, in possesso di apposita autorizzazione ministeriale per svolgere intermediazione di prestazioni d’opera ai sensi dell’art. 2222 cod. civ., o l’App Yougenio, che dichiara di avvalersi di personale dipendente176, alla luce delle indagini condotte nel merito anche in tempi recenti, sembra non potersi più trascurare l’esigenza di provare a contenere il rischio che le piattaforme vadano ad amplificare e alimentare le disuguaglianze e le precarietà dei mercati del lavoro (di cura in particolare)177, favorendo una intermediazione non sempre operata in modo lecito178. Queste sembrerebbero avere, infatti, un grande potenziale, che si dovrebbe provare a valorizzare, nell’ambito della regolamentazione del mercato del lavoro179, potendo le stesse quantomeno provare a contribuire a regolamentare settori che ancora faticano a guadagnare spazio nell’attuale dibattito pubblico,

176 Una più approfondita analisi di questi aspetti, oltre che delle caratteristiche delle singole piattaforme digitali coinvolte nel settore di cura, è reperibile in F. Capponi, ult. op. cit.

177 N. Van Doorn, Platform labor: on the gendered and racialized exploitation of low-income service work in the “on-demand” economy, in Information, Community and Society, n. 20 (6), 2017, pp. 898-914, sostiene che le piattaforme dovrebbero essere intese come nuovi attori nel settore (anche di cura), facendo in modo che i software utilizzati possano contribuire a ridurre le già precarie condizioni dei lavoratori a basso reddito, tra cui figurano indubbiamente i servizi di cura e assistenza alla persona, nella consapevolezza estrema che gli stessi hanno, storicamente, avuto un ruolo poco determinante nell’influenzare le logiche dei moderni mercati del lavoro.

178 Dei potenziali rischi in questo senso, si occupa, nel contesto nazionale, tra gli altri, anche A.

Donini, Il lavoro digitale su piattaforma, in Labour&Law Issues, Vol. 1, n. 1, 2015, in particolare a pp. 59 ss.

179 Questo aspetto è approfondito in particolare in A. Hunt, F. Machingura, A good gig? The rise of demand domestic work, ODI Working Paper, n. 7/2016, p. 12, in cui viene evidenziato che, sebbene l’on demand economy sia stata studiata prevalentemente nei Paesi industrializzati, in cui le piattaforme sono ampiamente diffuse, gli impatti maggiormente significativi sono stati riscontrati all’interno dei Paesi in via di sviluppo. In questi ultimi, infatti, in cui la deregolamentazione del mercato del lavoro è ancora più viva di quanto non sia nei Paesi a più alto sviluppo economico e sociale, l’avvento della digitalizzazione, se correttamente sfruttato, potrebbe essere una occasione per provare a risolvere le odierne distorsioni.

oltre che scientifico180. In questo ambito, allora, le indagini sulla materia dovranno sempre più vertere verso l’analisi della valutazione di come sia possibile scongiurare il rischio che le piattaforme si trasformino in un nuovo strumento di mercificazione del lavoro, limitandosi ad offrire lavoro a basso costo e senza alcuna protezione sociale181. Allo stato attuale, infatti, il lavoro tramite piattaforma digitale, in particolar modo in un panorama giuridico come quello del nostro Paese, si espone ancora a troppe distorsioni ed abusi, che alimentano il rischio che le stesse vengano utilizzate in modo disfunzionale182 e che rendono complicato fare in modo che possano in qualche modo arrivare a contribuire alla costruzione di un mercato del lavoro di cura che rispetti gli standard e le caratteristiche descritte (supra, § 1).

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