Costituente un’iniziativa sui generis in Italia, il Patto Modenese per l’assistenza domiciliare agli anziani presentava indubbiamente un notevole sforzo progettuale, teso a ridisegnare l’intero modello di fruizione dei servizi di cura su scala locale.
Nell’intento di rispondere alla domanda di assistenza in costante crescita, il progetto partiva dalla non scontata consapevolezza che il mercato dei servizi alla persona dovesse essere assoggettato a regole differenti rispetto a quelle dei tradizionali mercati, anche in ragione della rapida e radicale evoluzione del mercato del lavoro che, in quegli anni, iniziava ad osservarsi91. Per tale ragione, si intendeva approdare al riconoscimento dell’importanza che lo stesso fosse asservito a logiche nuove, provando in particolar modo a valorizzare l’aspetto formativo, collegato all’esigenza di definire nuove figure professionali, in grado di fornire prestazioni a più ampio spettro e di più alto livello. Si sperava che, associando alla funzione di informazione e di accreditamento anche una maggiore qualità dei servizi offerti, gli utenti sarebbero stati incoraggiati a rivolgersi a soggetti accreditati anziché a figure prive di ogni professionalità, unicamente perché più facilmente accessibili in termini economici. Una valorizzazione delle competenze, quindi, che potesse fungere non solo da elemento determinante per
90Le linee di intervento adottate dal Patto Modenese per l’assistenza domiciliare agli anziani, oltre che all’interno del documento stesso, sottoscritto dalle parti coinvolte e in cui sono indicati gli obiettivi e i modelli che si intendevano adottare per favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, sono reperibili in particolare in M. Biagi, M. Tiraboschi, Servizi di cura alla persona, assistenza domiciliare agli anziani e politiche locali per l’occupazione e in G. Costa, op. cit. che, come si avrà modo di vedere di seguito, provvede anche alla ricostruzione dei risultati del progetto e dei punti deboli e di forza dell’iniziativa avviata nel modenese.
91 Rispetto al tema, si veda in particolare R. Rizza, Politiche del lavoro e nuove forme di precarizzazione lavorativa, in Sociologia del lavoro, nn. 78-79, 2000, che, a inizio secolo, osservava l’evoluzione del mercato del lavoro.
l’innalzamento del livello delle cure offerte, ma che potesse essere, parallelamente, anche strumento cardine per il contrasto al lavoro sommerso92, permettendo al progetto, da ultimo, di rappresentare «il cancello di ingresso alla fruizione dei servizi offerti a livello locale»93.
A ciò si aggiunga che i promotori del Patto erano altresì consapevoli dell’esigenza di ridefinire in toto il quadro delle regole contrattuali entro cui operavano i soggetti erogatori. Uno sforzo che, nel delineare un nuovo e più avanzato equilibrio tra operatore pubblico e privato, imponeva una attenta ricognizione delle prassi contrattuali all’epoca in vigore nel settore dei servizi domiciliari alla persona94. Nel merito, in un contesto legislativo che, come si è avuto modo di ricordare, non sempre si mostrava (e si mostra ancora oggi) in grado di stare al passo con le evoluzioni sociali ed economiche, era stata individuata la collaborazione coordinata e continuativa quale forma contrattuale da prediligere.
Nonostante le ambiziose mire dell’iniziativa, l’analisi dei dati a seguito del periodo di sperimentazione, nel dicembre del 2001, non aveva tuttavia lasciato emergere i risultati auspicati all’avvio del progetto. Al di là dell’effettiva regolarizzazione di dodici lavoratori, da valutare sicuramente in termini positivi, non era stato infatti attivato alcun contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
92 Di come la professionalità possa e debba essere utilizzata anche come leva per poter favorire l’incontro regolare tra domanda ed offerta di lavoro, con specifico riferimento al settore della cura, si è occupata parte della letteratura. In particolare, si rimanda qui a S. Pasquinelli, Qualificare il lavoro privato di cura, cit.
93 Del progetto in questi termini si parla in M. Baldini, P. Bosi, M. C. Guerra, G. Prampolini, P.
Silvestri, Problemi e prospettive di finanziamento del welfare locale. Il caso di Modena, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche (CAPP), Dipartimento di economia politica, Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Novembre 2006, reperibile al seguente link: http://www.mariodelmonte.it/assets/Uploads/Welfare-locale.pdf
94 M. Biagi, M. Tiraboschi, Servizi di cura alla persona, assistenza domiciliare agli anziani e politiche locali per l’occupazione, cit., p. 12.
Le ragioni dell’almeno parziale fallimento del progetto potrebbero essere ricercate in diversi fattori, non da ultimo quello di natura prettamente culturale, che anche vent’anni fa promuoveva ed incoraggiava una gestione prettamente familista della cura e dell’assistenza, rendendo particolarmente complesso lo sviluppo di modelli organizzativi differenti incentrati su una gestione della non autosufficienza al di fuori delle mura domestiche. Secondariamente, impossibile trascurare le problematiche legate alla promozione sul territorio del progetto. Le analisi effettuate all’epoca avevano infatti rilevato che molti degli utenti potenzialmente interessati ad usufruire dei servizi offerti non si erano rivolti agli organi competenti, in quanto non informati dell’esistenza di questa opportunità. Anche sotto il profilo più strettamente comunicativo, pertanto, si erano riscontrate delle significative difficoltà, probabilmente in parte rivelatrici della presenza di molteplici criticità su più fronti e non solo vincolate agli aspetti prettamente giuridici e giuslavoristici.
Da ultimo, innegabile l’ulteriore limite rappresentato dalla tipologia contrattuale messa a disposizione delle famiglie, la collaborazione coordinata e continuativa.
Nonostante, infatti, fosse una scelta obbligata, dettata dall’ordinamento giuridico, la stessa era stata ritenuta eccessivamente onerosa dagli interessati. Le indagini che avevano seguito il periodo “pilota” del progetto avevano infatti confermato che gli utenti avevano deciso di non usufruire delle misure a loro disposizione prevalentemente per aspetti di natura economica. La collaborazione coordinata e continuativa era risultata, in questi termini, una tipologia contrattuale eccessivamente onerosa per le famiglie in stato di difficoltà, che avevano pertanto preferito continuare a sfruttare strumenti alternativi, seppur spesso irregolari95.
95 I risultati del progetto, così come descritti, sono stati dettagliatamente analizzati in C. Serra, Un case study sull’esperienza delle intese locali per l’occupazione in Italia: il Patto Modenese sull’assistenza domiciliare agli anziani, in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 3, 2002, pp. 521 ss. In particolare, vengono ripercorsi i dati raccolti ed analizzati a conclusione del periodo pilota, proponendo un particolare focus su come la tipologia contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa fosse l’unica opzione effettivamente praticabile.