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CAPITOLO 2: NEET e furītā 35

2.2 Definizioni e caratteristiche 36


2.2.1 NEET (ニート)


Il termine non è stato coniato in Giappone, ma bensì nel Regno Unito. Viene utilizzato per la prima volta nel 1999 in un rapporto intitolato "Bridging the gap: new opportunities for 16–18 year olds not in education, employment or training" prodotto dall'ufficio del gabinetto del governo britannico. In esso, per NEET si intendevano i giovani in età compresa tra i 16-18 Nata il 27 gennaio 1975 a Takikawa, nell'Hokkaido, è una scrittrice e attivista per i diritti dei lavoratori. I suoi scritti l'hanno

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anni, i quali non intraprendevano nessuno dei tre possibili percorsi di vita: proseguire gli studi, praticare un internship professionale o ricercare un lavoro in maniera attiva. Negli UK i NEET sono il risultato di una struttura sociale e gerarchica molto forte, cosa che condivide con il paese nipponico, dove la famiglia e l'educazione ricevuta sono fattori molto importanti per l'identità sociale dell'individuo. In Giappone, tuttavia, il termine ha una connotazione differente, partendo dall'ampliamento della fascia d'età d'appartenenza, arrivando ad includere persone fino ai 34 anni. La principale ragione è che il termine ha incluso nel tempo concetti quali disoccupazione, lavoratori scoraggiati e marginalizzazione sociale. E' anche necessario tenere conto del progressivo invecchiamento della popolazione, che porta inevitabilmente all'innalzamento dell'età di appartenenza. Inoltre nello stato britannico si tende a includere anche i disoccupati alla ricerca di un impiego, mentre il Giappone li si esclude. Il non inserire questi ultimi, porta l'opinione pubblica ad etichettarli aspramente come persone pigre, viziate e indisciplinate. Altri, invece, prendono le loro difese focalizzando l'attenzione sulle difficoltà che sono costretti a incontrare per trovare un impiego. Nonostante si tratti di opinioni estremamente discordarti, hanno in comune il fatto che siano affermazioni fatte senza dei veri valori empirici o testimonianze. Persino gli studi accademici inizialmente sono spesso stati relegati a delle semplici interviste a un numero estremamente ristretto di giovani disoccupati, circa 100 soggetti. Questo non significa che non si sia riusciti ad arrivare a elaborare alcune importanti informazioni al loro riguardo:


• In proporzione è maggiore il numero di NEET come diplomati alle scuole medie e coloro che si sono ritirati dalle scuole superiori;

• Molti NEET non hanno amici e hanno diversi problemi di comunicazione perché socialmente emarginati;

• Il tasso di giovani disoccupati tende ad essere più alto nelle zone dove è maggiore la presenza di nuclei famigliari con basso reddito;

• Vi è una propensione maggiore nel divenire NEET nelle aree dove il tasso di disoccupazione è alto; 


Innanzitutto, quando si parla di giovani disoccupati è necessario fare adeguate distinzioni, che portano alla formazione di tre diverse categorie:

• Job seekers: Le persone appartenenti a questa categoria desiderano trovare un impiego e si impegnano in maniera attiva. Nel 2002 contava circa 1,285,000 di individui. Circa il 40% degli appartenenti ai Job seekers hanno ricevuto un'educazione più completa.

• Non seekers: Persone che desiderano trovare lavoro ma che, per qualche ragione, hanno smesso di ricercarlo. Data questa mancanza di volontà solitamente non sono inclusi nella categoria dei disoccupati, bensì in quella della non-forza lavoro. Anch'essi nel 2002 hanno visto un enorme aumento fino ad arrivare a 422,000. In questa categoria rientrano persone che non trovano lavoro a causa di ferite o malattie (24,4%), che non riescono a trovare nessun genere di impiego (12,6%), non hanno la fiducia nelle loro capacità lavorative (9,9%) e che non hanno prospettiva di trovare un buon lavoro (9,6%). Circa il 70% ha comunque lavorato almeno una volta nella propria vita.

• Discouraged: L'ultima categoria include persone che non solo non sono attive trovare un lavoro, ma che non hanno nemmeno alcun desiderio di farlo. il loro numero varia tra i 420,000 ai 450,000.

Prendendo in esame le categorie sovra descritte, si può evincere che i NEET giapponesi rientrino nella seconda e terza categoria, raggiungendo un numero di circa 847,000 individui solo nel 2002. Non solo si tratta di persone senza desiderio di lavorare ma che faticano molto a sposarsi. Ma, per come è strutturata la società giapponese, non è una sorpresa. Infatti spesso i matrimoni avvengono tra colleghi incontrati nella stessa azienda. Il mancato impiego porta a perdere la possibilità di incontrare un potenziale partner e ciò, per conseguenza, all'inevitabile aumento del crollo della natalità, uno dei problemi fondamentali che il paese sta affrontando. Un fattore che influenza molto la tendenza a divenire NEET è la provenienza della persona. Secondo la costruzione fatta dai media negli anni '90 e il primo decennio degli anni 2000 un NEET può permettersi di divenire tale perché mantenuto dalla propria famiglia. Ad alimentare questa convinzione è anche che, inizialmente, la maggior parte dei giovani senza impiego apparteneva a famiglie con un reddito alto. Gli appartenenti a nuclei famigliari con basso reddito non possono permettersi questo lusso. Ma si tratta di una situazione che è andata gradualmente cambiando. All'inizio degli anni 2000 la percentuale di disoccupati appartenenti a famiglie facoltose era diminuita dal 23,0% registrato nel 1993, al 14,4%. Nel 2002 ha avuto una rapida ascesa, raggiungendo quasi il 40%. Con la crescente richiesta di lavoratori sempre più qualificati, solo le famiglie più facoltose possono permettere ai figli l'accesso a studi superiori. In aggiunta, dai giovani nati da famiglie povere non ci si aspetterà mai di trovare un

impiego particolarmente redditizio, portandoli a perdere il desiderio di trovare lavoro. 


Nel mercato del lavoro giapponese, i posti di lavoro con alti e stabili stipendi solitamente sono dedicati a giovani uomini appena laureati o lavoratori più anziani che fanno parte dell'azienda già da molti anni. Nel caso però di persone che non solo mancano di esperienza, ma la cui disoccupazione dura da molto tempo, sono viste in modo negativo dai potenziali datori di lavoro. Potrebbero infatti essere portati a pensare che la situazione sia nata a causa di una mancanza di capacità dell'individuo, cosa che porterebbe i titolari ad essere restii ad assumerli. L'educazione gioca un ruolo altrettanto importante nella psicologia e nell'entusiasmo. Coloro che possiedono un qualche genere di titolo di studio, che sia universitario o anche solo di scuola superiore, saranno più tendenti a voler trovare un impiego, cadendo quindi nella prima categoria di disoccupazione, rendendoli esclusi dall'essere definiti NEET. Il 78% dei non seekers che possiede un titolo di laurea, afferma con ottimismo che prima o poi riuscirà a trovare un impiego. Il 32% dei semplici diplomati alle scuole superiori non sono certi di riuscirci. Per quel che riguarda ad esempio studenti del liceo rinunciatari, sarà più probabile vederli appartenere alla terza categoria, i discouraged.

Nonostante sia più alto il tasso di uomini rispetto alle donne, le ragioni per cui una buona fetta decida di non avere più desiderio di lavorare è evidente. Spinte dalla società stessa a divenire madri e casalinghe, hanno anche uno stipendio generalmente minore rispetto ai loro colleghi uomini. Questo genere di trattamento disuguale molto spesso scoraggia il sentimento di volersi impegnare da parte della categoria femminile. I NEET spendono il loro tempo in modi differenti, anche a seconda del genere. Nel caso delle donne, esse spendono circa 5 ore al giorno a occuparsi della casa e dei bambini. Gli uomini invece hanno circa otto ore al giorno di tempo libero, 2,5 ore in più rispetto alle donne NEET. Spendono circa anche 30 minuti in più per dormire, mangiare e per la cura della persona rispetto alla loro controparte femminile. Il problema della disoccupazione e dei NEET non è di esclusiva giapponese. Altre nazioni asiatiche ne soffrono, come ad esempio la Corea e la Cina. In Corea, nel 2006 la percentuale di occupazione giovanile era del 27,2%, estremamente basso se comparato con la media del 43% dell'OECD . In Cina, secondo il Ministero del Lavoro e Sicurezza Sociale, nel 2009, il 42 70% della forza lavoro disoccupata era composta da giovani laureati. Ma è un problema riscontrabile anche nei paesi europei, come ad esempio il Regno Unito, dove nel 2003 il 24,5% della popolazione tra i 16 e 18 anni non frequentava la scuola o lavorava. Persino negli USA, grande potenza mondiale, nel 2001 ha visto una proporzione di NEET del 9%. Nel 2002

il numero di disoccupati giovani ha raggiunto cifre che arrivano circa a 2,132,000, numero che si avvicina molto a quello dei furītā. Si tratta di un aumento estremamente vertiginoso rispetto ai 1,307,000 registrati nel 1992 subito dopo il collasso della bubble economy, destinato comunque ad aumentare. Nel 2017 l'OECD ha espresso preoccupazione per l'alto numero di NEET, arrivato alla cifra di 1,700,000 nel 2015, circa il 10% della popolazione. 2.2.2 Furītā (フリーター) 


Per quanto riguarda i furītā, ci si riferisce a giovani che non trovano impiego come seishain (正社員) ossia un lavoratore di ruolo a tempo pieno, ma sopravvivono con lavori part-time dopo aver completato o lasciato la scuola, che sia essa superiore ma anche l'università. A differenza del termine NEET, nato in Europa, questo termine ha origine autoctone, alla fine degli anni '80, usato per la prima volta dalla rivista From A . È formata dall'unione dei 43 termini inglesi "freelance" e "Albeiter" . Nel corso del tempo sono state elaborati due tipi di 44 definizioni correlati a questo termine, estremamente simili tra loro ma con una sostanziale differenza. Il primo è stato elaborato nella white paper on labour economy e li definisce come:

"Lavoratori part-time o disoccupati e che desiderano solo lavorare in modo saltuario. Sono esclusi studenti e casalinghe." 45

Prendendo come riferimento questa definizione, nel 2003 la categoria contava circa 2,090 milioni di individui. La seconda definizione è data dal white paper on national life, simile in tutto e per tutto, a parte l'includere persone che desideravano trovare ogni genere di lavoro, raddoppiando il numero a circa 4,170 milioni di giovani . Quest'ultima potrebbe essere quasi 46 considerata una sovrastima, ma in realtà riflette perfettamente la condizione dei giovani disoccupati. Il lato negativo di queste definizioni è che non tengono conto dell'invecchiamento della categoria, prendendo in considerazione solo persone dai 15 anni Giornale di annunci lavorativi gratuito che si può trovare comunemente nelle stazioni della metropolitane;

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Termine di origine tedesca, utilizzato poi nello slang studentesco per indicare i lavoratori part-time o a breve termine.

44

WPLE, 2004.

45

WPNL 2003.

fino a un massimo di 34 anni. Ma già dal 2004 più della metà della popolazione furītā era di un'età superiore ai 25 anni. 


Nel corso degli anni sono state riconosciute tre tipologie di furītā in base alle motivazioni che li ha portati a questa condizione:

• Moratorium type: vedono l'essere furītā come una condizione temporanea, poiché non desiderano ancora fare parte attiva del mondo del lavoro. Sperano anzi che quel momento arrivi il più tardi possibile. A dispetto dall'immaginario comune, fanno fa parte di questa categoria solo il 14,9% dei furītā;

• Dream-chaser type: Desiderano intraprendere una determinata carriera e non sono disposti a scendere a compromessi. Per questa ragione continuano a lavorare part-time fino a quando non saranno in grado di intraprendere il percorso da loro desiderato;

• No alternative type: Li appartenenti a questa categoria non avevano alcun desiderio di divenire furītā, ma le circostanze non hanno lasciato loro altra scelta. Questa è la sezione più ampia in assoluto, la quale conta il 72% dei giovani lavoratori;


Kosugi Reiko , nella sua ricerca condotta nel 2008, compara la tendenza dei giovani di 47 saltare da un lavoro part-time all'altro in Giappone con altre undici nazioni europee. È risultato evidente come essa sia molto più alta in Europa. Nonostante ciò, l'allarmismo dimostrato dal popolo giapponese è nettamente superiore. La teoria portata avanti dalla ricercatrice è che la causa sia dovuta a una differenza culturale. In Giappone, il mantenere la prolungata centralità dell'impiego a lungo termine, ha portato a una situazione dove coloro che falliscono nel suo ingresso sono considerati di livello nettamente inferiori. Come se si trattasse di una malattia contagiosa, era necessario tenerla lontana da un sistema considerato, per un lunghissimo periodo di tempo, puro e perfetto. Dopo circa un decennio, la situazione non è differente. Esaminando i dati emessi dall'OECD riguardanti il 2016, è evidente come il Giappone abbia ancora un tasso di disoccupazione giovanile molto basso, di circa il 4,7%, se comparato con il resto del mondo. (Fig.6) Allo stesso modo rimane però molto alto il numero dei quali è si impiegato, ma solo a livello irregolare o come part-time. (Fig.7)

Nata nel 1952, è la direttrice del Japan Institute for Labour Policy and Training;

Fig.6 


Tasso di disoccupazione nel 2016

Fig.7 


2.2.3 Lati positivi e non


Dall'esterno potrebbe sembrare che la vita dei NEET e dei furītā sia un sogno, un moderno stile da Peter Pan: nessuna responsabilità e moltissimo tempo libero per coltivare i propri hobby, eternamente giovani e senza pensieri. Tuttavia, si tratta di una visione datata e semplicistica. È indubbio che, nei momenti di massimo splendore della bubble economy, i media fossero pieni di storie sugli eccessi della vita del furītā. Giovani che lavorano part-time per diversi mesi, lasciando il lavoro di punto in bianco per viaggiare e divertirsi fino a quando, una volta esauriti i soldi, riprendere a lavorare, in un circolo continuo leggero e pieno di libertà. Molti in ciò hanno anche visto una forma di ribellione allo stile di vita dei salary man. Ma negli ultimi venti anni non è più così per la maggior parte dei giovani. Infatti, come riportato nella precedente sezione, sono per lo più quelli che finiscono per rimanere incastrati in questo stile di vita, grazie al quale riescono a malapena a sopravvivere. Infatti le aziende tendono ad assumere senza problemi solo chi ha lavorato come furītā al massimo per un anno, a differenza di chi lo è stato per un lungo periodo di tempo. Coloro che rimangono attaccati alla vecchia visione finiscono anche per non prendere quasi per nulla in considerazione gli aspetti psicologici dei diretti interessati, e falliscono nel considerare la visione a lungo termine. Ne sono un esempio la pesante pressione data dalle altissime aspettative, sia da parte della famiglia che della società stessa. Un altro aspetto negativo è dato appunto dalla soddisfazione lavorativa. Con l'avanzare dell'età, in particolare nella struttura gerarchica delle aziende giapponesi, è normale aspettarsi un avanzamento di carriera e un conseguente aumento dello stipendio. O perlomeno è così nel caso dei lavoratori a tempo pieno, non nel caso dei part-timer. L'UFJ sogo kenkyusho riporta che, nel 2004, il reddito medio annuo di un lavoratore a tempo pieno in età tra i 15 e 34 anni è di circa 3,847,000 di yen , mentre quello 48 di un lavoratore part-time nella stessa fascia d'età è di 1,058,000 yen annui . In sostanza si 49 parla di un reddito circa 3,7 volte più alto. All'inizio non si tende a non darci peso, ma quando si vede aumentare il divario di stipendi e posizione tra i vari coetanei, si inizia a provare un fortissimo senso di insoddisfazione. Questo porta, per conseguenza, a sentimenti negativi come depressione e instabilità emotiva. Ma l'influenza non è solo a livello interiore, si vede anche nelle interazioni sociali e nello stile di vita. Coloro che hanno avuto o stanno vivendo la situazione di furītā tendono a sposarsi sempre più tardi. Ciò non è solo dovuto all'instabilità All'incirca 29,400 euro;

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Circa 8,108 euro;

economica ma anche un fattore sociale. In Giappone infatti è ancora forte la visione secondo cui un uomo deve avere un buono stipendio e posizione lavorativa, altrimenti non verrà considerato un buon candidato da parte delle famiglie. Inoltre un furītā non ha diritto a benefici o ferie pagate, e a malapena la metà di loro possiede un'assicurazione sanitaria nazionale o contribuisce al fondo pensioni. La maggior parte non può nemmeno permettersi un appartamento nelle metropoli, dove un affitto mensile minimo è di 70,000 yen anche per un piccolo monolocale, con la conseguenza di dover rimanere dipendenti dai genitori.

Indubbiamente esistono ancora giovani che hanno scelto questo stile di vita per i motivi sopraelencati. Però i media e governo si sono concentrati quasi esclusivamente su di loro ed è con la loro immagine hanno diffuso il fenomeno, oscurando la situazione di disagio in cui molti sono costretti a vivere.