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Definizioni e ambito di applicazione della disciplina 99

III. L A DIRETTIVA SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI E LA SUA

3. C ARATTERI DELLA NORMATIVA SULLE PRATICHE COMMERCIAL

3.1 Definizioni e ambito di applicazione della disciplina 99

Gli artt. 18 e 19 cod. cons., i quali compongono il Capo I del Titolo III, denominato “Disposizioni generali” individuano i profili di applicazione della tutela contro e pratiche commerciali scorrette sotto il profilo soggettivo ed oggettivo.

                                                                                                               

259 Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 58 del 11 marzo 2014.

260 Cons. di Stato, sentt. 11, 12, 13, 15 e 16 del 15 maggio 2012, con nota di CAPONIGRO R., L’actio finium regundorum tra l’Autorità antitrust e le altre

Autorità indipendenti, in Relazione al Convegno Nazionale di Studi “Le Autorità amministrative indipendenti. Realtà attuali e prospettive future”,

disponibile al sito www.giustiziammonistrativa.it. Cfr. anche PASCALI

G., Le pratiche commerciali scorrette tornano ad AGCM… o forse no? Un

primo imprevisto effetto della pubblicazione del D.lgs. n.21/2014, in Diritto Mercato Tecnologia, 1, 2014, pp. 76-86.

Per quanto riguarda l’art. 18, la norma contiene le definizioni di una pluralità di nozioni261 utilizzate nel corso della disciplina: esse

assumono, naturalmente, funzione ausiliare e integrativa al fine di guidare l’interprete nella valutazione di rilevanza di una condotta in termini di pratica commerciale scorretta. Alcune di queste definizioni sono state già enunciate in precedenti fasi del presente lavoro;262 per ragioni di convenienza, invece, ci si soffermerà sulle

altre nel corso dell’analisi delle norme successive, in modo da evidenziarne i caratteri attraverso una lettura sistematica del loro ruolo nella disciplina.

Volendo operare solo qualche considerazione di tipo generale sulle caratteristiche dell’articolo, è possibile evidenziare innanzitutto come la scelta di dedicare un’apposita previsione alle definizioni rappresenta una tecnica usuale alla legislazione di stampo comunitario, funzionale alle esigenze di armonizzazione del mercato unico; essa si concretizza nel richiamo a locuzioni di carattere estremamente concreto, estranee ad un approccio rigorosamente giuridico e derivanti anche dalla dinamica degli affari.263

La dottrina più critica ha osservato come le definizioni in parola, pur rispondenti ad una auspicabile esigenza di coerenza tra le normative degli Stati membri, non appaiono necessariamente risolutive in questo senso: le nozioni appaiono tendenzialmente ampie, e non sempre tecnicamente ineccepibili. Ciò deriva principalmente dal fatto che le formule utilizzate rinviano comunque a parametri differenziati all’interno dei singoli ordinamenti e, conseguentemente, a diversi standard di valutazione: è questo, ad esempio, il caso del concetto di diligenza professionale, definita dall’art. 18 lett. h) come “il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista”. Appare evidente come, pur                                                                                                                

261 La norma definisce, infatti, le nozioni di: “consumatore”; “professionista”; “pratiche commerciali”; “microimprese”; “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”; “codice di condotta”; “responsabile del codice”; “diligenza professionale”; “invito all’acquisto”; “indebito condizionamento”; “decisione di natura commerciale” e “professione regolamentata”.

262 Ad esempio le nozioni di consumatore e professionista. V., supra, Capitolo I, par. 3.

263 GUERINONI E., Le pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, Giuffré, 2010, p. 98.

in presenza di una nozione unitaria, sorgano significativi problemi in vista dell’individuazione in concreto del contenuto di tale modello di comportamento, a seconda dell’approccio dei diversi legislatori dell’Unione.264

In questo senso l’opzione prescelta dal legislatore dell’Unione (e poi da quello nazionale), seppur utile sotto il profilo dell’interpretazione della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette, appare carente nell’ottica da egli perseguita, ossia garantire un’istanza di uniformità all’interno del mercato unico.

È possibile dunque muovere, all’esame dell’art. 19 cod. cons. il quale, come accennato, definisce l’ambito di applicazione della disciplina: esso chiarisce infatti che le norme successive si applicano alle “pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto, nonché alle pratiche commerciali tra professionisti ed imprese”. Il comma 2 evidenzia, poi, una serie di discipline che esulano dal campo di applicazione della normativa, tra le quali spiccano le disposizioni normative in materia contrattuale, ed in particolare quelle sulla formazione, validità o efficacia del contratto; su questo tema, tuttavia, si tornerà in maniera più approfondita al momento di esaminare la disciplina dei rimedi avverso le pratiche commerciali scorrette. Altre normative non pregiudicate dalla disciplina sulle pratiche commerciali scorrette sono poi quelle in materia di salute e sicurezza dei prodotti, quelle che determinano la competenza giurisdizionale, e i codici deontologici.

Si prevede, infine, che in caso di contrasto tra le disposizioni del Titolo I Parte III del codice del consumo e eventuali discipline specifiche, di origine comunitaria o nazionale, saranno queste ultime a trovare applicazione.

La disposizione prende dunque in considerazione l’ambito di applicazione della normativa in tema di pratiche commerciali scorrette sotto due punti di vista: quello soggettivo (operazioni tra professionisti e consumatori, nonché tra professionisti e microimprese) e quello oggettivo (pratiche commerciali scorrette poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto).

                                                                                                               

264 Cfr. ROSSI CARLEO L., Dalla comunicazione commerciale alle pratiche

commerciali sleali, in AA. VV., Le pratiche commerciali sleali. Direttiva

I due aspetti, a fini di maggiore chiarezza, possono essere esaminati separatamente.

3.1.1 – L’ambito di applicazione soggettivo

Avendo riguardo all’ambito di applicazione soggettivo, il primo elemento che emerge è che – al di là dell’ampliamento della disposizione alla tutela delle micro-imprese – la normativa trova il proprio ambito di applicazione dei soli rapporti business to consumer.

Le ragioni che lo stesso legislatore comunitario adduce a giustificazione della tutela del consumatore rispetto agli altri operatori di mercato sono state ampiamente esaminate, ed è ad essere si ritiene di poter rinviare.265

Si ricorda, tuttavia, che la scelta di restringere il divieto alle relazioni tra professionisti e consumatori non era necessitata per il legislatore interno e un’armonizzazione estesa anche ai professionisti, in particolare alle microimprese, era stata già in origine caldeggiata dal legislatore europeo e introdotta in alcuni Stati membri.266

La definizione di consumatore individuata dal legislatore, di cui all’art. 18 lett. a) si presenta in tutte e per tutto conforme (taluni hanno altresì parlato di una ripetizione) a quella generale accolta dall’art. 3 lett. a) del codice del consumo.267

La nozione di consumatore che si apprezza in materia di pratiche commerciali scorrette ha, tuttavia, un raggio di azione più ampio: le pratiche commerciali, infatti, comprendono anche condotte che prescindono da qualsiasi contatto tra le parti; di conseguenza, l’elemento dell’azione per fini estranei alla propria attività                                                                                                                

265 V. supra, Capitolo I, par. 2.

266 BARGELLI E., La nuova disciplina delle pratiche commerciali tra

professionisti e consumatori: ambito di applicazione (art. 18, lett A)-D) e art. 19, comma 1°, c. cons.), in AA.VV.,Pratiche commerciali scorrette e codice del

consumo. Il recepimento della direttiva 2005/29Ce nel diritto italiano (decreti legislative nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007), Giappichelli, 2008, p. 119-120.

267 Cfr. DONA M., Pubblicità, pratiche commerciali e contratti nel codice del

consumo, UTET, 2008, p. 20; BARGELLI E., L’ambito di applicazione della direttiva 2005/29/CE: la nozione di “pratica commerciale”, in AA. VV., Le

“pratiche commerciali sleali” tra imprese e consumatori. La direttiva 2005/29/Ce e il diritto italiano, Giappichelli, 2008, p. 78; DE CRISTOFARO G.,

professionale o imprenditoriale potrà essere inteso anche come semplice potenzialità di intavolare trattative, senza il necessario effettivo agire tramite un atto negoziale o l’instaurazione di un contatto proprio dell’art. 3.268

Inoltre, come si è detto, la definizione dei possibili soggetti danneggiati oggi abbraccia anche le cd. micro-imprese; l’innovazione ha imposto una revisione dei canoni ermeneutici tradizionali in materia di pratiche commerciali scorrette: non può dubitarsi, infatti, che la micro-impresa sia (a meno di voler attribuire alla disposizione un profilo applicativo estremamente ridotto) un professionista, e che dunque il suo agire vada tradizionalmente inquadrato al di fuori del perseguimento della finalità di consumo.269

Sebbene tale scelta sia, come si è già detto, condivisibile e assolutamente ragionevole nell’ottica di valorizzare non tanto il ruolo in termini puramente soggettivi, ma altresì la sostanziale condizione di carenza di informazione che caratterizza tanto i consumatori quanto le micro-imprese, l’opzione normativa rischia – a causa del mancato coordinamento con le altre disposizioni in materia di pratiche commerciali scorrette – di ingenerare problematiche significative.

In primo luogo, infatti – lo si vedrà meglio più avanti –270 la

nozione generale di pratica commerciale scorretta, e altresì quelle specifiche relative alle pratiche ingannevoli e aggressive, sono focalizzate sulla figura (non del semplice consumatore, ma) del consumatore medio, parametro di valutazione decisivo al fine di valutare l’idoneità di una pratica commerciale a trarre in inganno o a pregiudicare la platea dei consumatori.

Una siffatta nozione – oggetto di ampio dibattito presso gli studiosi – appare assolutamente assente con riferimento alla micro-impresa: certamente si potrà ipotizzare l’esistenza di un “imprenditore medio”, attraverso un’estensione dei canoni di valutazione impiegati per la valutazione avente ad oggetto il consumatore, ma certamente un espresso intervento normativo sarebbe stato auspicabile.

                                                                                                               

268 BARGELLI E., La nuova disciplina delle pratiche commerciali tra

professionisti e consumatori: ambito di applicazione (art. 18, lett A)-D) e art. 19, comma 1°, c. cons.), p. 122.

269 LABELLA E., Pratiche commerciali scorrette e rimedi civilistici, in Contr. e

imp., 3, 2013, pp. 692.

Ciò, in particolare, anche in ragione del carattere fortemente approssimativo del termine, il quale, pur in presenza di (indiretti) riferimenti quantitativi, non è ancorato a criteri di identificazione precisi, a differenza di quanto invece è avvenuto per le figure di piccola e media impresa attraverso la proposta comune di regolazione sul diritto europeo della vendita.271

Il medesimo problema di coordinamento si riscontra, inoltre, avendo riferimento alle black list di pratiche commerciali sempre considerate ingannevoli o aggressive, contenenti fattispecie pensate avendo a riferimento il consumatore quale individuo, e che spesso si presentano completamente inadeguate all’utilizzo nei confronti di imprenditori.272

Non si dimentichi, inoltre, che a meno di non prevedere un espresso obbligo di qualificazione (cosa che ancora non è), attualmente risulta complesso per un professionista, il quale si stia relazionando con un’impresa, ottenere sin dalle prime fasi di contatto con questa, momento di inizio della copertura offerta dalla normativa in esame, i dati necessari al fine di sapere se l’imprenditore con il quale sta ipotizzando di trattare sia o no un micro-imprenditore, e dunque se la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette sia suscettibile di applicazione nel caso concreto.

In ultimo luogo si osservi che il mancato coordinamento tra micro- imprese e consumatori si apprezza altresì sotto il profilo dei rimedi. Nonostante sulla specifica tematica dei rimedi si tornerà in                                                                                                                

271 Cfr. PAGLIANTINI S., Per una lettura dell’abuso contrattuale: contratti del

consumatore, dell’imprenditore debole e della microimpresa, in Riv. dir. comm.,

2010, p. 409; MORELLI G., Credito e imprese – credito e microimpresa: le

esperienze di tre province italiane, in Riv. banc., 2006, p. 30 ss.; BENVENUTO

L. La nozione di “microimpresa”, di “piccola” e di “media impresa” negli aiuti

alle attività produttive, in Corr. trib.,, 2005, p. 2213 ss.; STUMPO G.R., La

definizione di microimpresa e Pmi, in Riv. dir. prat. soc., 2003, p. 43.

272 DE CRISTOFARO G., Art. 19, in De Cristofaro e Zaccaria (a cura di),

Commentario breve al diritto dei consumatori (Codice del consumo e legislazione complementare), Cedam, 2014, p. 137; Id., Pratiche commerciali scorrette e « microimprese » (art. 7 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. dalla l. 24 marzo 2012, n. 27), in Le nuove leggi civ. comm., 1, 2014, p. 3; incidenter tantum, cfr. anche le conclusioni di PAGLIANTINI S., Il nuovo regime della

trasparenza nella direttiva sui servizi di pagamento, in Rispoli Farina (a cura

di) Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della

seguito, è infatti qui possibile evidenziare come il rimedio della class action ex art. 140-bis cod. cons. non sia esperibile dalle imprese, dato che la norma fa espressamente riferimento agli “utenti consumatori”.273

Questo, per quanto riguarda le figure di consumatore e micro- impresa. Ad essi si contrappone, nella dinamica delle pratiche commerciali scorrette, il professionista.

Anche costui è destinatario di una nozione – quella dell’art. 18 comma 1 lett. b) – conforme a quella prevista dal più generale art. 3 lett. c) del codice del consumo. È dunque possibile, in linea di massima, far riferimento a quanto è ormai pacifico in dottrina con riferimento a quest’ultima disposizione.

In particolare, vi è sostanziale consenso sul fatto che il professionista, a differenza del consumatore, possa essere indifferentemente una persona fisica o giuridica, e che egli possa agire indifferentemente per finalità di lucro ovvero ideali, purché queste si inseriscano nel contesto della propria attività professionale.274 Si osservi poi, che con riferimento agli enti

collettivi, questi si ritengono riconducibili alla qualifica di professionista indipendentemente dal possesso di personalità giuridica riconosciuta, nonché dalla loro qualità si soggetti pubblici ovvero privati, come confermato dall’art. 2 n. 2 della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.275

                                                                                                               

273 Sul tema v. PALMIERI A., La tutela collettiva dei consumatori. Profili

soggettivi, Giappichelli, 2011, pp. 82-87; RIZZO F., L’azione collettiva

risarcitoria ed interessi tutelati, ESI, 2008, p. 60. Contra LIBERTINI M., MAUGERI M., Il giudizio di ammissibilità dell'azione di classe, in Nuova giur.

civ. comm., 2010, I, p. 884, i quali propugnano una nozione

maggiormente duttile del termine “consumatori” utilizzato nell’art. 140-

bis, idonea a ricomprendere altresì le persone giuridiche.

274 Cfr. MINERVINI E., Dei contratti del consumatore in generale, Giappichelli, 2010, p. 27; D’ACUNTO V., L’ente non profit tra

“professionista” e “consumatore”, in Bocchini (a cura di), Diritto dei consumatori e nuove tecnologie, Giappichelli, 2003; AA.VV., I contratti dei

consumatori a cura di Gabrielli e Minervini, Torino, 2005, p. 39 ss. In

giurisprudenza v. Cass., sent. 2 gennaio 2006, n. 9, in Rep. Foro it., 2006, I, 453.

275 Il quale statuisce espressamente che per professionista dovrà intendersi “qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.”

La definizione, inoltre, ricomprende anche “chiunque agisca in nome o per conto di un professionista”: il concetto è dunque idoneo anche a ricomprendere eventuali operatori che, pur esterni all’attività professionale, consentano al professionista di pervenire ad un’utilità. Il concetto di “agire per conto” di un professionista deve, dunque, essere letto in senso estensivo, come confermato dalla principale giurisprudenza amministrativa, civile e dalle valutazioni della dottrina, e coerentemente con quanto già pacifico in materia di pubblicità ingannevole. 276 L’operatore intermedio

potrà, indifferentemente, essere o meno un professionista a sua volta, non potendosi in astratto escludere un concorso tra professionisti nel porre in essere una pratica commerciale sleale; sarà tuttavia necessario, in questo caso, che l’operatore intermedio abbia una cointeressenza diretta e immediata alla realizzazione della pratica commerciale, ovvero percepisca a seguito del fruttuoso esperimento di questa un vantaggio economico.277

 

3.1.2 – L’ambito di applicazione oggettivo

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina, l’art. 19 comma 1 del codice del consumo chiarisce che la normativa “concerne le pratiche commerciali poste in essere [… ]prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto.”

                                                                                                                                                                                                                                                                                Tale scelta è confermata a fortiori dal considerando n. 16 della medesima direttiva, laddove si afferma che questa dovrà applicarsi a tutti i professionisti, sia pubblici che privati.

276 Ex multis Cons. di Stato, sent. 17 febbraio 2012, n. 853, in Foro amm.

Cons. di Stato, 02, 2012, p. 410; Cons. di Stato, sent. 4 ottobre 2011, n.

5435, in ibidem., 10, 2011, p. 3154Tar Lazio, sent. 3 luglio 2009, n. 6446,

Elsacom, in Foro amm.; Tar Lazio, sent. 15 giugno 2009, n. 5629, in

www.giustizia-amministrativa.it; Tar Lazio, sent. 20 novembre 2008, n. 10469, Agos, in Riv. dir. ind., 2009, p. 87; Cass., sent. 23 febbraio 2007, n 4208 in Foro it., I, 2007, col. 2439; Cons. di Stato, parere 20 dicembre 2004, n. 11602, in www.giustizia-amministrativa.it; Cass., sent. 30 agosto 1991, n. 9277, in Foro it., I, 1992, p. 82. In dottrina v. ZORZI N., Il contratto di

consumo e la libertà del consumatore, in Galgano (a cura di), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economica, Cedam, 2012,

BARGELLI E.,La nuova disciplina delle pratiche commerciali tra professionisti e consumatori: ambito di applicazione (art. 18, lett A)-D) e art. 19, comma 1°, c. cons.), p. 123.

277 In questo senso Tar Lazio, sent. 14 marzo 2011, n. 2271 in Rep. Foro it., 2011, 1390.

Il primo elemento cui si deve fare riferimento è dunque la nozione di pratica commerciale scorretta, la quale viene definita ex art. 18 comma 1 lett. d) come “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da una professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.”

Emerge, già ad una prima lettura la significativa ampiezza della definizione che il legislatore ha deciso di adottare. La scelta di optare per una caratterizzazione ampia della fattispecie è stata, inoltre, valorizzata dal discostamento rispetto alle indicazioni comunitarie: nella direttiva 2005/29/CE era infatti previsto che, nella definizione ex art. 18, le azioni od omissioni dovessero essere “direttamente connesse” alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori. La sostituzione di tale termine con il più generico “in relazione” risponde, da una parte, alla volontà di superare le difficoltà interpretative ravvisabili nello stabilire quali comportamenti potessero considerarsi direttamente connessi alla promozione e vendita di prodotti e, dall’altra, all’intento di delineare una nozione duttile al fine di rispondere alle esigenze del caso concreto.

Sempre all’interno della definizione ex art. 18 comma 1 lett. d), sembra pacifico che la locuzione comunicazione commerciale andrà a individuare genericamente il complesso di strumenti dei quali un professionista si avvalga al fine di immettere un bene o un prodotto sul mercato finale, ivi ricomprendendosi sia la funzione propriamente commerciale (la vendita) sia in generale tutte le attività di marketing.278

Un secondo profilo da prendere in considerazione riguarda invece la nozione di operazione commerciale, necessaria a individuare l’elemento cui “ancorare” la pratica commerciale scorretta: la dottrina maggioritaria ha evidenziato, in questo senso, che il termine “operazione” dovrebbe ritenersi un sinonimo del termine “contratto”, in linea con quanto avvenuto in occasione della trasposizione della disciplina in altri ordinamenti.279 L’aggettivo

                                                                                                               

278 In questo senso MAGNO M.L., Ruolo e funzione della pubblicità

nell’ambito della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in AA. VV., Le

pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano,

Giuffré, 2007, p. 107.

279 La locuzione è stata infatti tradotta, in altri ordinamenti, con le formule commercial transaction, Handelsgeschäft, transacción comercial,

“commerciale” avrebbe esclusivamente valore di evidenziare l’inerenza del contratto all’attività imprenditoriale svolta dal professionista che lo stipula con il consumatore.280

Non può, tuttavia, sottacersi una nota di biasimo al legislatore nazionale per la scelta di non introdurre una definizione espressa all’interno dell’art. 18 cod. cons.

Le pratiche commerciali, per assumere rilievo ai fini della normativa, devono presentare il requisito della scorrettezza (o, più propriamente, della “slealtà”). Sebbene sulla natura e i connotati di tale requisito si tornerà ampiamente di seguito, possiamo qui dire che la scorrettezza ha un precipitato finalistico espressamente individuato dalla normativa: essa deve, infatti, falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori, consistendo l’illecito, ex art. 18 lett. e) nell’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che egli non avrebbe altrimenti preso”.

La scelta del legislatore è stata dunque nel senso di individuare l’ambito di applicazione della disciplina in modo assolutamente indipendente dalle caratteristiche della condotta (a patto, naturalmente, di poterla qualificare come pratica commerciale): in particolare, appaiono irrilevanti le caratteristiche concrete della stessa, che potrà essere attiva o passiva; il contenuto, la causa e l’oggetto del contratto eventualmente concluso tra professionista e consumatore e, finanche, il fatto che la condotta sia o meno strumentale alla stipulazione di un contratto.

Ciò che rileva, in sostanza, è soltanto la situazione di relazione instauratasi tra il professionista – o un suo intermediario – e il consumatore, la quale si concretizzi in una coercizione delle capacità decisionali di quest’ultimo.281

                                                                                                                                                                                                                                                                               

transaction commerciale, transacção comercial, i quali fanno unanimemente

riferimento al contratto.

280 DE CRISTOFARO G., Art. 19, in De Cristofaro e Zaccaria (a cura di),

Commentario breve al diritto dei consumatori (Codice del consumo e legislazione complementare), Cedam, 2014, p. 133; GUERINONI E., Le pratiche

commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, Giuffré, 2010, p. 103.

281 La dottrina è fondamentalmente unanime su questo punto. Si rinvia, a titolo esemplificativo, a GRANELLI C., Le “pratiche commerciali scorrette”

tra imprese e consumatori: l’attuazione della direttiva 2005/29/CE che modifica il codice del consumo, in Obb. e contratti, 10, 2007, p. 776; LUCCHESE F.,

È, ad avviso della dottrina, altresì ininfluente che la condotta sia intrattenuta verso la massa dei consumatori ovvero nei confronti di singoli contraenti.282

Tale relazione, può concretarsi, come chiarito dalla norma, prima, durante e dopo l’operazione commerciale cui il consumatore è sottoposto.

Quanto alle pratiche poste in essere durante un’operazione commerciale, la disposizione sembra far riferimento a tutte quelle