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II. L A DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE COME

2. I L RAPPORTO TRA TUTELA DEL CONSUMATORE E TUTELA

DI INIZIATIVA ECONOMICA EX ART.41COST.

La tensione tra tutela del consumatore e tutela della concorrenza ci porta, nel tentativo di giungere ad una migliore comprensione, ad andare a osservare come questo rapporto si concretizzi all’interno del nostro ordinamento e ad esaminare come i diversi interessi coinvolti siano rinvenibili nella normativa nazionale.

2.1 – L’art. 41 Cost.: genesi e caratteri essenziali

Nell’ambito di tale analisi, referente privilegiato non può che essere l’art. 41 Cost.,157 disciplinante la libertà di iniziativa

economica privata e divenuto - con l’appoggio dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - “cuore” della tutela costituzionale della concorrenza nel nostro ordinamento.

                                                                                                                                                                                                                                                                                occasione di un suo discorso a Washington nel 2002, evidenziava: «there

is a close nexus between our competition and our consumer protection misson. Remember the supply curvers and demand curvers, which you studied in Economics. Competitive restraints (the antitrust violations) tend to rise the supply curve because they increase offering prices or restrain sellers in the market. False advertising tend to rise the demand curve because it creates the impression that products are worth more than they otherwise would if they were advertised honestly. So supply and demand will intersect at a higher price, to the detriment of consumers, and society’s resources will be misallocated. That is the nexus between our two missions and that is the fundamental justification for having both of these responsibilities in the same agency», in LEARY T.,

Efficiencies and Antitrust: A story of ongoing evolution, intervento alla ABA Section of Antitrust Law, 2002, Washington, 8 novembre 2002,

consultabile al sito www.ftc.gov.

157 Art. 41 cost.: “L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”

La norma rappresenta, è stato osservato,158 il nesso necessario di

collegamento fra le diverse disposizioni della cd. costituzione economica. Essa scaturisce, nelle sue direttrici fondamentali, da una situazione di compromesso intervenuta, in seno ai lavoro per la redazione della Carta Costituzionale, tra le tradizioni individualiste del costituzionalismo liberare e le istanze solidaristiche ed egalitarie del pensiero sociale cattolico e marxista:159 sebbene tale contrasto sia una costante nell’ambito dei

lavori della Commissione Costituzionale, la disciplina dei rapporti economici fu teatro di un dibattito particolarmente aspro, data la significativa rilevanza – politica e sostanziale – che il tema rivestiva nel dopoguerra.

Nel tentativo di mediare tra le diverse istanze, il risultato è stato una norma composta da un nucleo politico centrale «anfibologico»,160 dal contenuto essenzialmente indeterminato e

suscettibile di essere declinato nelle diverse tendenze che si sarebbero potute astrattamente imporre presso il tessuto sociale.161

Non a caso, del resto, la norma è stata definita un elemento intermedio tra il manifesto e la norma giuridica, idonea a rappresentare un punto di incontro della pluralità di interessi antagonisti che presero parte al dialogo in Costituente.162

                                                                                                               

158 GALGANO F., Commento all’art. 41 Cost., in G. Branca (a cura di),

Commentario alla Costituzione, tomo II, Rapporti economici Zanichelli, 1982,

p. 40.

159 V. RAMAJOLI M., La regolazione amministrativa dell’economia e la

pianificazione economica nell’interpretazione dell’art. 41 della Costituzione, in Dir. amm., fasc. 1, 2008, p. 121.

160 CHELI E., Libertà e limiti all’iniziativa economica privata nella

giurisprudenza della Corte Costituzionale e nella dottrina, in Rassegna di dir. pubbl., 1960, cit. p. 303.

161 Cfr. GIAMPIERETTI M., Il principio costituzionale di libera concorrenza:

fondamenti, interpretazioni, applicazioni, in Dir. societario., 2003, p. 439 ss;

DE VALLES A., Posizione di problemi sulla costituzionalità di attività

economiche dello Stato, in Dir. econ., 1959, p. 798 ss.; BALDASSARRE A.,

Iniziativa economica privata, in Enc. dir., vol. XXI, Giuffré, 1971, p. 582 ss.;

AMATO G., La nuova Costituzione economica, in G. della Canacea e G.

Napolitano (a cura di), Per una nuova Costituzione economica, Bologna, 1998, p. 11 ss.; SPAGNUOLO VIGORITA V., L’iniziativa economica privata nel

diritto pubblico, Napoli, 1959, p. 187 ss.; PALMA G., Economia pubblica e

programmazione, Napoli, 1980, p. 63 ss.

162 BIN R., L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi,

discontinuità della giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni, 2001, p. 1213

La diversità di anime che la norma ricomprende rende dunque complesso operarne una lettura unitaria: essa è stata talvolta letta in ottica liberale, privilegiando la libertà di iniziativa economica privata e leggendo la riserva di cui a comma 3 in chiave puramente garantista, talaltra nell’ottica di un’istanza di socializzazione della proprietà dei mezzi di produzione, ponendo l’attenzione sul sistema di governo pubblico dell’economia e ridefinendo la libertà economica quale funzione sociale.163

Nonostante tali tensioni un principio, appare pacifico: gli interessi imprenditoriali, diversificati nelle diverse precipitazioni che essi possono assumere nelle dinamiche di mercato, non potranno mai oltrepassare la soglia di determinati “modelli di lealtà”, espressione di interessi primari dell’ordinamento e costituenti limiti esterni espressione del potere imperativo e di istanze sociali ai quali i privati non possono venir meno.164

Nell’ambito di questi limiti fondamentale è, appunto, “l’utilità sociale” di cui al comma 2.

2.2 – I Limiti all’iniziativa economica

Leggendo l’art. 41 Cost. come fonte giuridica della libertà in concorrenza, in quanto risvolto naturale della libertà di iniziativa economica privata (si è infatti osservato come la libertà di iniziativa del singolo rappresenti, in rapporto all’iniziativa economica altrui, come libertà di concorrenza),165 si impone

un’indicazione funzionale di coerenza dell’esercizio dell’iniziativa economica con interessi sociali confliggenti e sovraordinati,166 al

fine di evitare una deriva del suddetto principio nell’anarchia imprenditoriale.

Si è in presenza, dunque, della tradizionale relazione- contrapposizione tra libertà e autorità, nell’ambito della quale la                                                                                                                

163 ROMAGNOLI U., La costituzione economica, in Tratt. dir. comm., I, p. 140. 164 GHIDINI G., Slealtà della concorrenza e costituzione economica, vol. I, Cedam, 1957, p. 276; SANTAGATA V., Concorrenza sleale e interessi protetti,

Napoli, 1974, p. 65 ss.; FERRI G., Manuale di diritto commerciale, Torino, 1988.

165 MINERVINI G., Concorrenza e consorzi, Vallardi, 1965; LIBERTINI M.,

Trattato di diritto commerciale, III, p. 469 ss.

166 CACCIATORE A., Concorrenza sleale e tutela del consumatore, in Riv. di

libertà di concorrenza – quale aspetto della libertà economica – esiste solo nei limiti stabiliti entro i pubblici poteri.

Tali limiti, essendo espressione della sensibilità sociale, sono per ciò solo estremamente mutevoli: storicamente hanno oscillato, a partire da un indirizzo dirigistico perseguito negli anni ’50, volto a distinguere il regime operativo delle imprese pubbliche da quello delle imprese private, ad una fase di quasi totale liberazione successiva, favorita anche dalle contingenze economiche del Paese. In questa fase si è imposta una lettura dell’art. 41 come semplice riserva di legge, rinvenendosene il principio sotteso nella cd. tutela del profitto.167

Tale aleatorietà interpretativa porta ad interrogarsi sul significato che la formula dell’utilità sociale rivesta oggi: ciò ha portato a significativi problemi interpretativi, posto che la compenetrazione tra il principio e la realtà ad esso sottesa è un fenomeno naturalmente precario, di cui è difficile fornire un quadro soddisfacente.

La dottrina ha tuttavia ritenuto, nell’ambito dell’incerta nozione di utilità sociale e, più in generale, in quello dei limiti apponibili all’iniziativa economica, di poter individuare due presupposti concettuali certi.

Il primo sarebbe rinvenibile nel riconoscimento dell’incapacità del mercato di autoregolarsi, e della conseguente attribuzione alla legge del compito di correggere i fallimenti del mercato;168 il

secondo, susseguente, sarebbe la necessità di delineare una riserva di legge che si atteggi in modo relativo, andando a bilanciare ab externo l’attività economica individuando criteri e direttive idonee a «circoscrivere in ambito ben determinato sia l’attività di normazione secondaria, che il margine d’intervento del potere esecutivo».169

                                                                                                               

167 PERCHIUNNO G., La «vera storia» del privato sociale (riflessioni sparse a

margine di un convegno), in Studi in onore di Niccolò Lipari, Giuffré, 2008 p.

2222.

168 GUARINO G., Pubblico e privato nell’economia. La sovranità tra

Costituzione ed istituzione comunitaria, in Quad. cost., 1992, p. 21 ss.

169 NIRO R., Art. 41, in Bifulco, Celotto e Olivetti (a cura di), Commentario

Tali basi sono, tuttavia, esclusivamente procedurali: bisogna invece interrogarsi su quali elementi possano essere d’aiuto al fine di dare un contenuto sostanziale alla nozione di utilità sociale.

2.3 – L’utilità sociale

In questo senso, e per ciò che interessa ai fini del presente lavoro, può ritenersi di dare oggi per assodata un’interpretazione della norma che includa tra i fini sociali la tutela del consumatore contro gli eccessi del mercato, in una dimensione che operi in modo armonico con gli altri principi che improntano l’attività economica individuati dalla Costituzione e, in particolar modo quelli di carattere solidaristico di cui all’art. 2 Cost. e lavoristico di cui all’art. 4 Cost.170 L’intervento pubblico, in tal senso, deve

assumere carattere fondamentalmente conservativo e cautelativo, al fine di valorizzare il ruolo dei consumatori quali rappresentanti della collettività e portatori di interessi contrapposti a quelli dell’impresa.

Tale scelta, che emerge chiaramente dalle decisioni della corte costituzionale dei primi anni ’60 in tema di equa determinazione dei prezzi,171 trova oggi sicuro appiglio normativo anche nell’art.

10 bis della Convenzione di Unione nella Conferenza di Lisbona del 1958, la quale introduce tra i requisiti dell’attività imprenditoriale quello di non indurre il pubblico in errore.

Al di là delle affermazioni di principio, la tutela dei consumatori si lega e deve confrontarsi con il presupposto della relatività della riserva di legge precedentemente menzionato: ciò determina che l’istanza di protezione del consumatore non potrà assumere carattere programmatico, astratto, e dovrà essere riempita di contenuto facendo riferimento in concreto ad altre fonti secondarie. A fini di ausilio per tale operazione entrano in gioco i limiti della “sicurezza”, della “libertà” e della “dignità umana” menzionati all’art. 41, suscettibili di un’oggettivazione assai più semplice rispetto alla nozione di utilità sociale ed idonei a fondare                                                                                                                

170 D’ALESSANDRO D., Sussidiarietà, solidarietà e azione amministrativa, Milano, 2004, passim; MAZZIOTTI M., Il diritto al lavoro, 1956, Milano, p.

161 ss.

171 Corte cost., 8 luglio 1957, n. 103, in Giur. cost., 1957, p. 976; in Dir.

econ., 1958, 3, con nota di PIERANDREI F., Le decisioni della Corte

costizionale in materia economica, p. 419 ss.; Corte cost., 13 aprile 1957, n.

50, in Giur. cost., 1957, p. 621; Corte cost., 10 giugno 1969, p. 97, in Giur.

un quadro di regolamentazione concreto. Non è ammissibile, infatti, nel nostro sistema, che sulla base dell’art. 41 cost. si fondi un apparato di tutela astratto per il consumatore, privilegiandone il ruolo rispetto ad altri operatori di mercato: occorre che siano disposte regole e strumenti per mediare concretamente i diversi interessi in gioco.172 In questo senso devono interpretarsi le

normative di settore volte alla tutela dei consumatori nel nostro ordinamento, i nuovi strumenti di protezione quali la class action, nonché quelle volte a delineare il quadro di riferimento per l’attività delle Authority di tutela.173

Accanto all’intervento legislativo, altro mezzo a disposizione per concretizzare la nozione di utilità sociale è ovviamente l’integrazione giudiziale, che attualizza la norma e ne controlla la corrispondenza con gli interessi della vita. Anche con riferimento a questo argomento vi è stato ampio dibattito, in dottrina, in relazione ai margini di discrezionalità a disposizione del giudice nella valutazione di corrispondenza alle esigenze di tutela del consumatore delle pratiche commerciali: è evidente che operare una scelta in senso più o meno restrittivo incide in modo significativo sulla libertà interpretativa che il giudice ha e sul carattere deontologico del giudizio.174

Lasciando da parte il problema della discrezionalità giudiziale nell’ambito della tutela dei consumatori, il quale sarà oggetto – nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette – di successiva analisi nel presente lavoro,175 possiamo dire che dal quadro

costituzionale emerge in modo indiscutibile quella tensione tra tutela della concorrenza e tutela del consumatore, di cui si aveva avuto modo di parlare in precedenza: il dettato costituzionale impone limiti alla disciplina dell’attività di impresa,                                                                                                                

172 GAMBINO A., La tutela del consumatore nel diritto della concorrenza:

evoluzioni ed involuzioni legislative, anche alla luce del d. lgs. 25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole, in Contr. e imp., Cedam, 1992, pp. 411-

437; BONELLI E., Libera concorrenza e tutela del consumatore: un

bilanciamento problematico nell’ordinamento comunitario e nel diritto moderno, in riv., it. dir. pubbl. comunit., 1, 2010, p. 37.

173 BONELLI E., ibidem; BIFULCO L.,DE LEONARDIS O., Integrazione tra le

politiche come opportunità politica, in C. Donolo (a cura di), Il futuro delle politiche pubbliche, Milano, 2006, p. 32.

174 GAMBINO A., Il ruolo della giurisprudenza – Potere tecnologico e diritto

dell’impresa, in Riv. dir. comm., I, 1967, p. 257; ASCARELLI T., Teoria della

concorrenza e interesse del consumatore, in Saggi di Diritto commerciale,

Milano, 1955, p. 253.

costringendola ad un dialogo evolutivo costante con l’interesse del consumatore. Negli ultimi anni, in particolare, tale tensione si è manifestata ad esempio sul piano della legittimazione ad agire per concorrenza sleale alle associazioni di consumatori,176 nonché nel

rapporto tra la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette in riferimento alle nuove tecniche di marketing engineering.177

3. IL PRINCIPIO DI TRASPARENZA NEI RAPPORTI TRA