4 «Il secolo lungo dei giovani»: il passaggio tra Ottocento e Novecento
5. Degenerata generazione
L‟avvento del Novecento è caratterizzato innanzitutto da un‟endemica e trasversale preoccupazione per i presunti effetti collaterali di ciò che viene avvertito come un punto di non ritorno per la vecchia Europa. Generalizzando, si potrebbe affermare che, specie tra le borghesie, una delle idee più diffuse sia che una certa immagine del mondo si stia man mano consumando, sorpassata da rivoluzioni e mutamenti troppo incisivi e troppo rapidi per non avere conseguenze traumatiche e irreversibili sull‟umanità per come la si è conosciuta fino a quel preciso momento. In una simile atmosfera da apocalisse preannunciata (la stessa in cui si sviluppano e prendono sempre maggiore spazio, quasi all‟unisono, il positivismo e il decadentismo), fanno la loro comparsa i nuovi spettri e le nuove ossessioni della modernità, che potrebbero essere già tutti racchiusi nel titolo del celeberrimo e molto discusso testo del sociologo e poligrafo ungherese Max Nordau: Degenerazione (1892)79. Il terrore e la psicosi della degenerazione, dunque. Proprio mentre fanno l‟ingresso gli ultimi cento anni del millennio, prende corpo il timore che una sorta di patologia morale, fisica e intellettuale si stia abbattendo rapida e incontrastabile in tutto il continente. Il termine “patologia” va qui inteso in senso letterale e metaforico, poiché in
78 J. Savage, Teenage, cit., p. 15.
79 «Il libro ebbe un grande successo, nonostante contasse quasi seicento pagine, e fu
tradotto in molte lingue. L‟argomento dell‟opera era una diagnosi dei mali morali e psicologici che, secondo Nordau, affliggevano i popoli civili e ne corrompevano la sanità fisica e morale […]. Dedicato a Cesare Lombroso […], il libro di Nordau compendiava teorie scientifiche e pseudoscientifiche, elaborate nel corso della seconda metà dell‟Ottocento da medici e sociologi positivisti, sul pericolo della degenerazione umana a causa della modernità […]. Nell‟uomo moderno, secondo queste teorie, convivevano i residui di una barbarie atavica e i germi maligni di una nuova barbarie, annidati nel seno stesso della civiltà moderna». E. Gentile, L‟apocalisse della modernità. La Grande Guerra per l‟uomo nuovo, Mondadori, Milano, 2017 [2008], p. 58.
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questo stesso lasso temporale la malattia e il suo portato simbolico iniziano a non pertenere più soltanto all‟ambito medico. O meglio, tale ambito, anche sulla scia del positivismo fine-ottocentesco, sembra sconfinare in maniera significativa e drastica nella sfera d‟influenza di molti altri campi del sapere e del vivere quotidiano. Un difetto fisico si trasforma così in un sicuro e immediato sinonimo di stortura morale, pericolosa e dannosa per sé e per gli altri, e viceversa. Come ha messo in luce George Mosse nei suoi studi, i medici, «ratificando l‟equazione tra morale e salute-malattia», si affermano man mano quali «arbitri della normalità»80. Quest‟ultima viene percepita quasi fosse in costante pericolo, diventando la controparte di una ormai celebre ossessione per la degenerazione tipica della fin de siècle81. Insieme con essa viene a diffondersi una sorta di smania igienista, che, sempre secondo Mosse, risponde a questo bisogno della borghesia europea di proteggersi dall‟atmosfera destabilizzante di inizio Novecento.
Facendo affidamento sui suoi valori fondanti e connaturati, quelli del medio assoluto e della morigeratezza, tenendosi ancorata alla sua preziosa rispettabilità, alle sue buone maniere contrapposte ai comportamenti lascivi, decadenti e immorali di una parte della società che appare ormai pronta a sicuro declino, la borghesia tenta di tracciare confini ben definiti, limiti certi tra cosa è normale e cosa non lo è, tra cosa è patologico e cosa non lo è. Tra cosa è borghese e cosa non lo è. Tenta insomma di darsi un‟identità via
negationis, cercando di distinguersi da ciò che ritiene malsano e
compromettente, spinta dalla «necessità di mantenere il controllo in un‟età nervosa, di trovare strutture stabili in un mondo disorientante»82. La smania igienista, l‟attenzione quasi paranoica per una normalità ormai compromessa nel profondo anche dalla scoperta di una sessualità sempre più invadente e “presente” (si ricordi che di lì a pochi anni la psicanalisi di
80
G. L. Mosse, L‟immagine dell‟uomo, cit., p. 106 [corsivo del testo].
81 «L‟incubo della degenerazione aveva cominciato ad addensarsi nell‟Europa imperiale
verso gli ultimi anni dell‟Ottocento, il periodo denominato dagli stessi contemporanei, con un‟espressione di compiaciuta intonazione pessimista, la fin de siècle. […] Fin de siècle era anche il titolo della prima parte di […] Degenerazione, pubblicato nel 1892». E. Gentile, L‟apocalisse della modernità, cit., pp. 57-58.
82 G. L. Mosse, Sessualità e nazionalismo. Mentalità borghese e rispettabilità, Laterza,
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Freud conoscerà il suo pieno sviluppo), si traducono, nell‟effettivo, in nuove forme di controllo e di repressione sociale.
Come prevedibile, in un simile clima di ansia collettiva, anche i giovani divengono bersaglio e argomento di apprensione non secondario. Del resto, sappiamo bene che, a partire dalle teorie pedagogiche di Rousseau, essi vengono considerati alla stregua di soggetti ad alto rischio, date la loro suggestionabilità e la loro inclinazione a essere sovrastati da incontrollabili e irragionevoli passioni. Per tale motivo, già a partire dall‟Ottocento, viene pubblicato in materia un cospicuo numero di trattati e di manuali sull‟“educazione sentimentale” più adeguata da impartire ai ragazzi e alle ragazze che si trovano in una fase della vita così critica. Ragazzi e ragazze anche non necessariamente appartenenti alla borghesia. Scrive in proposito Carmela Covato:
L‟educazione sentimentale come adesione a modelli di abnegazione, pudore, obbedienza, per le fanciulle, coraggio, patriottismo e attaccamento al lavoro, per i ragazzi, è molto insistita nella trattatistica educativa e nei galatei dell‟epoca e sembra destinata soprattutto a svolgere il ruolo di addestramento ai destini individuali di […] uomini e donne di diversa condizione83.
In questo tipo di trattatistica, i giovani vengono rappresentati come facili vittime della loro inesperienza e dei loro sensi, i quali, con la comparsa della pubertà, paiono prendere il sopravvento su di loro, mettendo a rischio quanto propinato e auspicato dall‟ordine sociale e familiare, borghese o meno: un intero codice ben strutturato di comportamenti debiti e conformi a normalità. Ancora prima di Freud e dei suoi tre trattati sulla sessualità, in larga parte d‟Europa (e non solo) è assai diffusa la convinzione che i bambini e più ancora giovani in fase di sviluppo siano preda di pulsioni da tenere a bada: per tal motivo, essi debbono restare quanto più possibile sotto il rigido controllo degli adulti.
83 C. Covato, L‟educazione sentimentale. Teorie, norme, esperienze, in F. Borruso, L.
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In una simile prospettiva, non stupisce apprendere che la masturbazione venga presto reputata come una specie di pericolosa e autodistruttiva pratica antisociale, addirittura un gesto potenzialmente sovversivo. Spiega infatti Mosse: «la masturbazione fu considerata come la causa prima di ogni perdita di controllo; anzi, di ogni passione anormale in genere»84. Solipsistico per statuto e per necessità, compiuto molto spesso nell‟ombra e negli umori più immondi, nascosto alla vista dei tutori, l‟atto onanistico è quanto di più anormale e patologico possa darsi per la società borghese, e, di conseguenza, per il nascente nazionalismo. Non a caso, sulla scorta della generale tendenza medicalizzante di cui abbiamo detto, vizio e virtù vengono visti e studiati quasi fossero «argomenti di salute e malattia»85. Studiati, soprattutto: oltre alla fortuna editoriale della manualistica riguardante l‟educazione sentimentale da impartire, aumentano i trattati scientifici e medici su uno speciale passaggio della vita dell‟uomo scoperto da non molto: l‟adolescenza.
Il XX secolo è stato definito da studiosi come Ariès e Gillis proprio come il secolo dell‟adolescenza: patologia passeggera, stato di disequilibrio da tenere sotto osservazione, viene ora qualificata come un difetto psicofisico da curare e da rettificare attraverso la scuola, lo sport, la socializzazione. Ma l‟attenzione su questa specifica e destabilizzante fase di passaggio dei giovani aveva trovato sempre più ampia diffusione presso gli studiosi di medicina durante tutto l‟Ottocento.
Questa nozione di «momento critico» è ripresa per tutto il secolo XIX, specialmente dai medici che […] hanno assegnato decine di tesi sulla pubertà nei ragazzi e nelle ragazze, e sulle cure del caso. Pericolo per l‟individuo, l‟adolescenza è anche un pericolo per la società86
.
Dalle parole di Perrot capiamo bene come, tra i due secoli, i ragazzi e le ragazze in crescita rappresentino dei “casi clinici” da indagare quanto
84 G. L. Mosse, Sessualità e nazionalismo, cit., p. 12. 85 Ivi, p. 14.
86 M. Perrot, Figure e compiti, in P. Ariès, G. Dubuy (a cura di), La vita privata.
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più a fondo possibile, in ogni loro affetto e manifestazione. D‟altronde, nel 1904 viene data alle stampe un‟opera monumentale sull‟adolescenza che avrà larga fortuna in seguito, soprattutto nel mondo anglosassone, firmata dal pedagogista e psicologo statunitense Stanley Hall. Quest‟ultimo, attraverso una prospettiva multifocale e multidisciplinare, isola l‟adolescenza quale stadio intermedio e incompiuto della vita umana, offrendo un riscontro e una definitiva conferma ai timori concernenti la natura instabile e incontrollabile dei giovani. Nell‟opera di Hall si ritrovano raggrumate e spiegate secondo criteri scientifici tutte le credenze distorte sulla giovinezza diffusesi col romanticismo e ancora prima, come già detto, con le teorie rousseauiane. L‟adolescente, dunque, viene concepito e studiato come una creatura a mezzo, sballottata da sensazioni e impulsi che non è ancora in grado di controllare e incanalare in attività mature, responsabili e utili per la propria nazione. Viene considerato un soggetto a rischio, facilmente propenso alla delinquenza e all‟insubordinazione (non si dimentichi l‟incidenza degli studi di Lombroso e Spencer87
, in particolare in ambiti come quello psicologico).
D‟altronde, come illustra Valerio Marchi in una sua breve ma efficace storia del teppismo, il giovane ha da sempre rappresentato una figura sulla quale si sono “scaricate” le tensioni sociali, o per mezzo della quale hanno potuto trovar luogo quegli atti che non sarebbero convenuti agli adulti, ma che questi ultimi avrebbero desiderato compiere. Si pensi, come unico esempio, allo charivari, la punizione simbolica ai danni di un “trasgressore” delle regole di una comunità, demandata proprio ai giovani coscritti (maschi)88. Di seguito le parole di Marchi:
Il giovane, nella storia, ha sempre rappresentato uno dei Folks Devils più gettonati: la sua figura non del tutto definita, in qualche modo incompleta, facilmente strumentalizzabile, ha sempre funzionato da parafulmine per una società segnata da forti contraddizioni e
87 Cfr. J. Savage, Teenage, cit., p. 66.
88 Di questo rito si sono occupati studiosi molto importanti come Van Gennep, Lévi-
Strauss, Bachtin e Carlo Ginzburg. Sulla questione esiste una letteratura vastissima, qui impercorribile. Per una panoramica generale cfr. almeno le miscellanee: J. Le Goff, J. C. Schmitt (a cura di), Le charivari, Parigi, EHESS, 1981 e F. Castelli (a cura di), Charivari. Mascherate di vivi e di morti, Alessandria, Edizioni dell‟Orso, 2004.
50 distorsioni sociali, preda di sensi di colpa da tacitare con offerte sacrificali, appunto con capri espiatori. […] Vi svolge un indispensabile ruolo di catalizzatore delle ansie, delle nevrosi, delle insoddisfazioni collettive suscitate da un modello sociale che nella crisi trova il proprio più conveniente equilibrio89.
Dalle parole riportate, possiamo comprendere come gli studi compiuti da Hall sono in realtà frutto di un sentire comune ben più diffuso e ben più antico: diremmo quasi strutturale. Come afferma Savage, infatti, le ricerche di Hall risultano ancora utili agli studiosi perché mostrano in controluce come la giovinezza e, in questo caso specifico l‟adolescenza, si possano considerare a tutti gli effetti come dei costrutti culturali90. Dello stesso avviso sembra essere anche il critico letterario John Neubauer, il quale afferma, tra l‟altro, che «la differenza tra giovinezza e adolescenza sembra un fatto di terminologia»91. La tesi di fondo di Neubauer porta alle massime conseguenze la concezione culturologica dell‟adolescenza. Agli occhi del critico, infatti, questa è da considerarsi prevalentemente come una costruzione sociale. Come il risultato di un intersecarsi e di un continuo formularsi di discorsi, i quali non solo rispecchiano “di conseguenza” una determinata immagine della gioventù improntata su dati oggettivi e concreti, sulla realtà fattuale insomma, ma a loro volta la plasmano, offrendo nuovi modelli di comportamento e nuovi modi di concepirla. Proseguendo nella sua analisi, Neubauer tenta di dimostrare in quale modo «l‟adolescenza e il modernismo letterario si sono evoluti simbioticamente»92. Tralasciando di necessità il portato teorico che implica l‟uso di una cruciale categoria quale è quella di modernismo letterario - su cui, per il caso italiano, si vedano almeno i recenti studi di Massimiliano Tortora, Mimmo Cangiano e
89
V. Marchi, Teppa. Storie del conflitto giovanile dal Rinascimento ai giorni nostri, intro. di Wu Ming 5, Red Star Press, Roma, 2014 [1998], p. 19 [corsivi del testo]. L‟espressione “Folk devils” riprende chiaramente il titolo di una famosa opera riguardante la questione della violenza giovanile della working class inglese degli anni Sessanta del Novecento, ossia S. Cohen, Folk Devils and Moral Panics. The creation of the Mods and Rockers, Routledge, London-New York, 2002 [1972].
90 Cfr. J. Savage, Teenage, cit., pp. 66-67.
91 J. Neubauer, Adolescenza fin-de-siècle, Il Mulino, Bologna, 1997 [1992], p. 13. 92 Ivi, p. 20.
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Raffaele Donnarumma93 -, ciò che in questa sede più ci preme sottolineare e rimarcare nuovamente è lo stretto legame tra una temperie segnata dall‟ossessione bipolare e bifronte della giovinezza (concepita, a seconda dei casi e della convenienza, quale “paradiso o inferno”) e la letteratura. In particolare, nei romanzi dati alle stampe tra fine Ottocento e inizio Novecento, si raggrumano e addensano le teorie, le credenze e le paure proprie di quello specifico giro di anni. Estremizzate o addirittura involontarie, certo, portate all‟eccesso o ribaltate, ma comunque in perfetta osmosi e in costante compenetrazione. Del resto, come prima prova di questo meccanismo di vicendevole influenza, basti anticipare che gli stessi personaggi messi in scena da Federigo Tozzi vengono rappresentati e descritti sulla scorta degli studi di stampo fisiologico, psicologico e pragmatista di inizio Novecento, come dimostra l‟esplicita ripresa, da parte del senese, delle teorie dell‟americano William James e del francese Gabriel Compayré, quest‟ultimo influenzato in parte anche dalla lezione di Stanley Hall.
Mentre si attesta nell‟immaginario culturale e scientifico l‟adolescenza fin de siècle di cui parla Neubauer, fa la sua comparsa quello che Francesco Ghelli, sempre facendo riferimento a Neubauer, definisce come «romanzo dell‟adolescente»94. Quest‟ultimo è identificabile come uno
dei “sottogeneri” prototipici e più caratteristici del modernismo europeo. Facile immaginare quali siano i titoli delle opere che possono ascriversi a questo filone. Titoli in cui, molto spesso, campeggiano i nomi di giovani personaggi a noi ormai familiari, entrati di fatto nell‟immaginario culturale europeo moderno e contemporaneo: Tonio Kröger (1903), I turbamenti del
giovane Törless (1906), Jakob von Gunten (1909), I quaderni di Malte Laurids Brigge (1910), America (1911-1914), Dedalus (1916), solo per
93
Per una visione generale cfr. almeno M. Tortora (a cura di), Il modernismo italiano, Carocci, Roma, 2018; M. Cangiano, La nascita del modernismo italiano. Filosofie della crisi, storia e letteratura 1903-1922, Quodlibet, Macerata, 2018; R. Donnarumma, Tracciato del modernismo italiano, in R. Luperini, M. Tortora (a cura di), Sul modernismo italiano, Liguori, Napoli, 2012, pp. 13-38.
94 F. Ghelli, «Ma non era un uomo»: Bildung e iniziazione, in M. Polacco (a cura di), I
vecchi e i giovani. Atti della Scuola Europea di Studi Comparati (Pontignano, 24-30 settembre 2000), Le Monnier, Firenze, 2002, p. 123.
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riportarne alcuni, senza dimenticare che, ad esempio, anche autori più geograficamente “decentrati” (ma comunque capitali per la cultura europea di allora) come Cechov e Dostoevskij danno ampio spazio nella loro produzione alle storie di adolescenti problematici.
I titoli canonici che si sono appena elencati sono gli stessi che Franco Moretti prende in esame in qualità di ultime espressioni, o meglio come espressioni “tarde” del tutto cambiate di segno e di senso, del
Bildungsroman95. Quasi sue propaggini, attestazioni del dissolversi del genere per come si era andato formalizzando nel corso del XVIII e del XIX secolo. Secondo il critico letterario, in questi testi è possibile riscontrare uno scarto senza ritorno, ben più radicale rispetto a quello già occorso, come accennato più sopra, a metà dell‟Ottocento, con L‟educazione sentimentale di Flaubert.
I «ragazzi di carta»96 che popolano le pagine dei romanzi primonovecenteschi in questione sono generalmente più giovani rispetto ai loro predecessori97, e si caratterizzano ormai per essere personaggi scissi, smarriti, di continuo dispersi98, incapaci di percorrere quel cammino segnato e confortante che aveva presupposto la Bildung classica. Scrive al riguardo Luca Danti: «le vicende […] illuminano le contraddizioni e i passi indietro, più che l‟avanzamento verso un percorso lineare»99
. Se il problematico
95
In parziale disaccordo con questa visione è Francesca Molfino, la quale afferma che alcune strutture del romanzo di formazione sopravvivono nei nuovi tipi di scrittura affermantisi col Novecento, come ad esempio quelli riservati allo studio dei “casi clinici”. Cfr. F. Molfino, Alcune trasmigrazioni del “romanzo di formazione” nel Novecento, in P. Bono, L. Fortini (a cura di), Il romanzo del divenire. Un Bildungsroman delle donne?, Iacobelli, Roma, 2007, pp. 158-188.
96 E. Mondello, L‟età difficile, cit., p. 7.
97 «Il nuovo sottogenere presenta alcune fondamentali differenze rispetto alla forma
ottocentesca: il protagonista è decisamente più giovane (fra la pubertà e i venti anni). Il racconto […] copre un arco temporale più limitato (talvolta di pochi mesi), concentrandosi con maggiore unità di azione su una crisi o comunque su pochi episodi ravvicinati. Fa la sua comparsa l‟ambientazione scolastica o collegiale, praticamente assente nell‟Ottocento, mentre scompare quasi del tutto il tradizionale epilogo matrimoniale». F. Ghelli, «Ma non era un uomo», cit., p. 123.
98 Cfr. R. Ascarelli, Il personaggio smarrito, in F. Fiorentino (a cura di), Il personaggio
romanzesco. Teoria e storia di una categoria letteraria, Bulzoni, Roma, 1998, pp. 153-170; M. Freschi, Lo smarrimento di un innocente, in R. Ascarelli, U. Bavaj, R. Venuti (a cura di), L‟avventura della conoscenza. Momenti del „Bildungsroman‟ dal „Parzival‟ a Thomas Mann, Guida, Napoli, 1992, pp. 237-251.
99 L. Danti, Le migliori gioventù. I periferici e la sessualità nella narrativa italiana del
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dissidio tra individualità e socializzazione si era già manifestato durante la seconda metà del XIX secolo, ora, col sopraggiungere del Novecento, ciò che viene a corrompersi è lo stesso concetto di crescita individuale e di sviluppo. Non si dà più alcuna tensione verso un avvenire migliore e conciliante, ma solo stasi e circolarità. Non progresso ma regressione, quindi. Il terreno dell‟azione e l‟orizzonte in cui si innestano gli intrecci restano comunque quelli del quotidiano, come nella tradizione del romanzo di formazione classico. Tuttavia, ora si tratta di un quotidiano infettato o claustrofobico (diventa centrale la funzione totalizzante e totalitaria della scuola o del collegio), nel quale prendono forma nuovi timori e trappole. Come afferma ancora Moretti: non si procede più attraverso occasioni, attraverso eventi riletti e vissuti in funzione teleologica, di un futuro ricongiungimento con la collettività, ma attraverso shock ed epifanie. Non si verificano più svolte verso la crescita e la socializzazione ma traumi, incidenti casuali e destabilizzanti, che ostacolano o addirittura intercidono per sempre il raggiungimento di una qualche meta. Non più incontri salvifici ma contatti con uno spaventoso mondo esterno100. Un mondo esterno diventato ormai covo di pericolo e di sventura, terreno di una lotta per la quale i nuovi personaggi non saranno mai abbastanza tagliati e preparati. Mai abbastanza grandi per non averne paura.
Come si può intuire fin da ora e come avremo modo di appurare più oltre, gli spunti che il sottogenere del “romanzo dell‟adolescente” - o “romanzo di formazione tardo” secondo la terminologia morettiana101
- e la relativa letteratura critica sull‟argomento possono offrire per la nostra analisi della giovinezza come malattia, ossia come esatta controparte del mito moderno della gioventù, sono numerosi e decisivi. E questo non tanto perché in tali opere il soggetto adolescente - una sorta di «frattale»102 e di essere prismatico, come suggerisce Elisabetta Mondello - viene
100 Sull‟argomento cfr. anche la decisiva monografia di R. Luperini, L‟incontro e il caso.
Narrazioni moderne e destino dell‟uomo occidentale, Laterza, Roma-Bari, 2017 [2007].
101 Valentina Mascaretti preferisce usare l‟espressione “romanzo di formazione
contemporaneo”, per sottolineare l‟effettiva contiguità e l‟evoluzione rispetto al modello classico. Cfr. V. Mascaretti, La speranza violenta. Alberto Moravia e il romanzo di formazione, Gedit, Bologna, 2006, p. 34.
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rappresentato nei termini di una creatura bloccata nella sua fase intermedia di incertezza fisica e psicologica: alla stregua, appunto, di un malato inguaribile, incapace di dismettere la sua condizione di inetto e di eterno bambino. Non perché alcuni dei testi che prenderemo in esame sono in tutto assimilabili a questa categoria romanzesca. E nemmeno perché l‟età difficile e del malessere viene assurta dagli autori modernisti a metafora di una più vasta condizione storica ed esistenziale, quella riguardante il «destino dell‟uomo occidentale»103
alle soglie del secolo breve e degli anni «della modernità trionfante»104. Piuttosto, nella nostra piccola storia del mito moderno della giovinezza, può risultare necessario e ancora utile rendere conto di questa tipologia romanzesca poiché, da un lato, essa riflette alla perfezione una certa temperie storica e culturale (secondo l‟ipotesi avanzata