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Ma non andiamo troppo oltre. Spieghiamo meglio per quali motivi, prima di scendere nello specifico della trattazione di Tozzi, Moravia e Brancati si sia scelto di partire da così lontano.

La ragione essenziale risiede nel fatto che uno degli scopi principali di questo lavoro è proprio quello di illustrare in che modo un determinato

54 Cfr. al riguardo le considerazioni di G. Mazzacurati, Stagioni dell‟apocalisse. Verga,

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mito della giovinezza si sia cristallizzato e mantenuto coerente, attivo e operativo durante un vastissimo arco temporale, che comprende, certo, anche il periodo storico nel quale gli autori qui esaminati sono nati e hanno vissuto. Una mappatura generale riguardo all‟avvento della gioventù come categoria sociale e, soprattutto, come posta simbolica continuamente contesa e rivendicata, rappresenta un passaggio necessario per intraprendere una specie di operazione “archeologica” sul suo mito, che trova massima espressione e strumentalizzazione nel fascismo italiano e, in maniera diversa, nel nazismo tedesco della prima metà del Novecento.

Per certi versi, l‟operazione qui proposta prende a modello quella messa a frutto da uno dei maggiori storici del Risorgimento italiano: Alberto Mario Banti. Quest‟ultimo, nei suoi studi ormai ritenuti dei classici sull‟argomento, rifacendosi soprattutto alla lezione di Foucault e di Mosse, ha concentrato la sua attenzione sulle modalità di costruzione dell‟immagine della nazione, o meglio, sulla modalità di formazione di «un tessuto discorsivo strutturalmente, morfologicamente comune»55 in quella parte d‟Europa del XIX secolo in cui si verificano i moti di indipendenza e di rivendicazione patriottica. Del resto, come vedremo meglio tra breve, la creazione del mito della nazione, e in special modo per l‟unificazione d‟Italia, ha sempre avuto a che fare con la giovinezza, trattandosi di:

un orizzonte ideale capace di scatenare tempeste emotive nella mente e nel cuore […] di giovani […]. È quando si è giovani che si “scopre” la nazione. È da giovani che si abbraccia l‟idea di battersi per essa. Chi ha lasciato memorie autobiografiche ha regolarmente accreditato questa immagine di sé, che, d‟altra parte, getta luce sull‟idea coltivata da Mazzini nel 1831 di proibire l‟affiliazione alla Giovane Italia ai maggiori di quarant‟anni. Il Risorgimento è un fenomeno generazionale.

Ed è anche, nessun dubbio su ciò, un fenomeno eversivo56.

55 A. M. Banti, L‟onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo

europeo dal XVIII secolo alla Grande Guerra, Einaudi, Torino, 2005, p. XI.

56 A. M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini

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Oltre che per iniziare a sottolineare il legame stretto tra il nazionalismo otto-novecentesco (a sua volta frutto della retorica romantica57) e il moderno culto della giovinezza, le riflessioni di Banti ci sembrano importanti e utili anche per un altro motivo, legato all‟individuazione e alla scelta di una precisa periodizzazione. Nel suo

L‟onore della nazione, infatti, lo storico traccia una linea rossa che parte dal

XVIII secolo - lo stesso secolo in cui, si ricordi, la giovinezza trova un suo spazio nell‟immaginario pubblico (e privato) come «categoria umana e sociale»58 - e che arriva, senza strappi particolari, fino alla Prima Guerra Mondiale. In buona sostanza, ciò che Banti intende e riesce a dimostrare è che le formazioni discorsive alla base di una certa idea di nazione, così in Italia come in una parte importante dell‟Europa, si protraggono compatte e pressoché immutate nel tempo e nello spazio. Una simile persistenza è dovuta e comprovata dalla ricorrenza di «miti e tropi condivisi»59, i quali, una volta rintracciati, paiono andare a costituire un sistema coerente: una sorta di determinata e ricorsiva «morfologia essenziale»60. Banti mette in luce il suo sviluppo, rintracciandone le “radici simboliche” anche nella filosofia di Giambattista Vico e nel retaggio semantico proprio del cristianesimo cattolico.

Ai fini del nostro lavoro, le affermazioni di Banti sono significative non solo perché dimostrano che un certo tipo di immaginario, o meglio, uno specifico orizzonte simbolico condiviso, resta intatto dalla Rivoluzione Francese fino al Novecento, non solo perché mettono in evidenza una stretta parentela tra il mito della nazione e quello della giovinezza (peraltro, già individuato in precedenza da Mosse), ma soprattutto perché riescono a illuminare in che modo lavori e resti attivo un mito nel corso degli anni, cioè attraverso la riproposizione, il rimescolamento e il riadattamento continuo di

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«The rhetoric of Romanticism provided a common language and tone for those who rebelled against subservience and conformity in the name of the new ideals of the century». A. Lyttelton, The Hero and the People, in S. Patriarca, L. Ryall (a cura di), The Risorgimento Revisited. Nationalism and Culture in Nineteenth-Century Italy, Palgrave Macmillan, London, 2012, p. 51.

58 G. Romano, Immagini di gioventù nell‟età moderna, in G. Levi, J. Schmitt (a cura di),

Storia dei giovani. L‟età contemporanea, cit., p. 3.

59 A. M. Banti, L‟onore della nazione, cit., p. XI. 60 Ibidem.

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alcuni suoi tratti costanti. Riproposizione, rimescolamento e riadattamento che, come vedremo e spiegheremo meglio, sono attuati non di rado in maniera consapevole da quei gruppi che aspirano al potere, o che pretendono, con la loro ribellione, di farsi portavoce di istanze di cambiamento.

Possiamo già immaginare quali siano le costanti di questa grammatica elementare che informa l‟immaginario patriottico-nazionale del Risorgimento. È evidente, infatti, che in quest‟ultimo la spinta palingenetica, l‟impulso al cambiamento e la capacità di agire con ostinazione e coraggio siano fondativi ed essenziali. Il patriota è il martire pronto a sacrificare la sua vita per i suoi compagni e per la sua terra occupata dallo straniero usurpatore. Egli è il combattente in grado di sovvertire l‟ordine sbagliato del presente in favore di un altro, più radioso avvenire. Egli è l‟avvenire incarnato. La sfera semantica principale e onnicomprensiva diventa così quella dell‟onore: la nazione italiana viene eletta metaforicamente a madre e donna da salvaguardare, da vendicare e da conquistare attraverso il proprio ardore di maschi irresoluti e privi di timore. Inoltre, è da sottolineare il fatto che quello concernente l‟onore sia già di per sé un codice in senso stretto, cioè un sistema ritualizzato, legato a precise regole di una parte precisa della società.

Una volta presa conoscenza delle sue caratteristiche principali, l‟ideale patriota risorgimentale pare somigliare di molto al giovane ribelle settecentesco e preromantico, la cui immagine, lo abbiamo già visto, si diffonde a seguito della Rivoluzione Francese e delle imprese napoleoniche. Anzi, pare proprio sovrapporsi a tale immagine, diventando sua nuova declinazione e sua più potente espressione. Declinazione ed espressione ancora caldeggiate, tra l‟altro, da un «clima culturale per tanta parte pervaso di spiriti romantici»61. Qui troviamo di nuovo confermate l‟importanza e la decisività della conformazione dell‟immaginario nei processi di cambiamento durante i secoli XVIII e XIX. Troviamo confermata la potenza multiforme del mito, capace di mobilitare singoli o intere generazioni, di

61 F. Della Peruta, I «giovani» del Risorgimento, in A. Varni (a cura di), Il mondo giovanile

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guidarli e di indirizzarli secondo una sua grammatica fluida e al contempo ben strutturata.

Ma va anche ricordato che la vicinanza tra il patriottismo risorgimentale e la giovinezza non è un semplice fatto di concetti o di immagini. Esso non si esplica soltanto nel campo del simbolico: come abbiamo già appreso dalle parole di Banti, infatti, il Risorgimento può dirsi a tutti gli effetti un fenomeno eversivo e in un certo senso estremista, oltre che generazionale. Scrive Eva Cecchinato al riguardo: nel contesto dei moti italiani di metà Ottocento «la giovinezza diventa anche sinonimo di disponibilità ad abbracciare […] un modello d‟azione ben altrimenti radicale»62. Essere giovani diviene così la caratteristica di tutti gli eroi e di tutti i modelli romantico-risorgimentali, ma anche la condizione necessaria per una scelta di vita (e di morte) che difficilmente potrebbe attecchire e persuadere i “temperati” adulti, ormai considerati nei termini di una categoria antropologica a sé, distante e inutile. I vecchi patrioti sono sprovvisti delle forze per ingaggiare la battaglia contro il nemico, non possiedono lo sprezzo della paura per una dipartita precoce ma piena di onori. A riprova di ciò, risulta utile riportare le magistrali considerazioni di Sergio Luzzatto sull‟idea mazziniana di giovinezza:

I movimenti politici creati e animati da Mazzini in quel giro di anni, la “Giovine Italia” e la “Giovine Europa”, ponevano i quarant‟anni come età massima per l‟ammissione dei membri. Lo storico interessato alle forme di rappresentazione politica della gioventù nell‟Ottocento, o al mito della gioventù stessa come forza rivoluzionaria, non potrebbe chiedere alle fonti testimonianza più indicativa di questa: riconoscere capaci dell‟opera politica progressiva soltanto i “giovani” sotto i quarant‟anni significava infatti ribellarsi con precisione quasi scolastica alla quarantena che il mondo restaurato aveva imposto alle nuove generazioni. Significava, inoltre, ribaltare tale quarantena, con il risultato di alienarsi molti patrioti ultraquarantenni63.

62 E. Cecchinato, Stagioni e svolte della “Giovane Italia”, in P. Dogliani (a cura di),

Giovani e generazioni nel mondo contemporaneo, cit., p. 74.

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Il concetto di quarantena è centrale, specialmente nella prospettiva di questo lavoro. Per la nuova generazione di patrioti l‟essere avanti con gli anni è considerato a tutti gli effetti come una debilitazione, come un ostacolo al raggiungimento di un vero cambiamento dello status quo. In altre parole, come una malattia. Per di più infettiva, se si vuole seguire alla lettera quanto affermato da Luzzatto, pur metaforicamente. E se l‟essere di un‟età maggiore ai quaranta è un difetto, ne deriva che, al contrario, la giovinezza è il simbolo della salute necessaria alla rivoluzione degli ordini e al progresso.

Però, si sa, è l‟eccezione che fa la regola. Giuseppe Garibaldi è l‟unico non-giovane a rappresentare il rivoluzionario idealtipico. Ma soltanto perché è lui l‟eroe per eccellenza, il profeta della religione della rivoluzione risorgimentale64: quasi un «personaggio da romanzo»65 - e, del resto, romanziere lui stesso - che, nonostante l‟età anagrafica avanzata, testimonia e sostanzia la giovinezza quale attributo assoluto, intrinseco ed esistenziale. Una giovinezza d‟animo, perfetta perché costante, incrollabile e compiuta66.

4. «Il secolo lungo dei giovani»: il passaggio tra