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2 «Come la coda della lucertola»

4. Saper stare al mondo: una differenza di genere

Esiste però una differenza che potremmo definire “di genere”: infatti, se è vero che la primavera della vita si manifesta con la stessa violenza e con la stessa portata venefica in entrambi i sessi, gli effetti che essa sprigiona su di loro sono, almeno in parte, diversi. Si legga a mo‟ di testimonianza il seguente passo della novella In campagna, in cui viene descritto di passaggio un gesto quasi inconsulto di Albertina, una ragazza poco più che venticinquenne ma ancora inesperta delle cose dell‟amore. Ella viene rappresentata in preda di sogni erotici a occhi aperti. Un gesto semplice come quello di gettarsi nuda nel letto apre a perturbanti squarci di rivelazione sugli smottamenti della sua coscienza:

Albertina aveva passato i venticinque anni.

Non aveva mai amato nessuno fino a quel tempo. Poi era stata vinta da una forza sensuale, e s‟era voltata con il suo sangue bollente al cugino, innamorandosene intensamente, con un‟ansia che faceva affrettare il matrimonio. Ella sognava blanda gli amplessi, con una dolcezza di cui rimaneva stupefatta. E s‟accorgeva ch‟era necessario sposasse, per non cadere in qualche errore accecata da quella benda fitta di sensualità. Toccava i suoi fianchi con un tremito ch‟ella supponeva

193 esser somigliante a quelli futuri. Tutta la sua vita di ragazza le appariva manchevole. E le veniva davanti agli occhi come una muraglia, che rovinasse. Onde ritrovava i suoi sentimenti di una volta meschini e fatti di un al di là disperso. La sua giovinezza sembrava come un ingombro. Quante volte le sue spalle nude erano state belle inutilmente!

Aveva una sensazione del futuro come di una cosa grande e calda. Ella ora andava a saziare la sua anima là dove aveva sognato stare. Il volto del marito le era prossimo […].

«Io sono tua. Sono tua!».

Tutta la sua carne si disfaceva in fiamme soavi. «Sarò tua, per sempre».

Ed ella si buttava nuda attraverso il letto, mentre le poppe grosse le toccavano gli omeri. (p. 102)

In campagna è la prima novella edita in vita dall‟autore e possiede

già al suo interno termini, immagini e temi che saranno poi ricorrenti e fondamentali nelle sue opere successive. Lo testimonia anche il fatto che, a fare da contraltare alla descrizione di Albertina appena riportata, subito dopo si apre un affondo introspettivo nell‟animo e nei pensieri della sorella Teresa, vera protagonista femminile del racconto. Al contrario di Albertina, ella è «di una bellezza verginale» (p. 102): è votata alla contemplazione e alla purezza; ha passato gli anni dell‟adolescenza in un collegio femminile gestito da suore. Un luogo con una precisa connotazione e niente affatto scontato. Sebbene nei testi di Tozzi non venga rappresentata quasi mai nel suo svolgersi effettivo, l‟esperienza di clausura (e più in generale quella scolastica), in seminario o in collegio, fin dai frammenti del primo romanzo

Adele, è spesso enunciata in maniera fugace, come un antefatto o un

intercorso temporale implicito in cui però i personaggi, e soprattutto i personaggi femminili, rimpiombano all‟improvviso, ricordandolo e rammemorando le sensazioni lì provate. Leggiamo ancora dal racconto In

campagna:

Teresa, quel giorno, ricordava quanto aveva amato in collegio. Aveva amato tanto senza sapere il perché.

Tutta la sua anima schietta palpitava.

Ed ora era risorta quella semplicità di affetto per un essere che le piaceva. Era risorta con le sfumature e con le penombre del passato. Ella ripensava alle malinconie infinite dell‟autunno. E poi che tutto ciò che passa in noi può risorgere ad un tratto, ella ricordò con un senso di pianto le vendemmie lente, e le donne che avevano cantato tra le viti.

194 Ella allora era sconvolta. (p. 103)

E poco più oltre:

Teresa aveva passato la sua giovinezza in un convento, dove l‟istinto sessuale viene serbato per una manifestazione improvvisa, affinché la vita tolga, ad uno ad uno, i veli che si stracciano da sé; quantunque, alle volte, qualche ragazza non riesca a liberarsi del segno accumulato in tanto tempo […]

Ma ella era dolente perché, in un sogno confuso, la voluttà bendata le aveva fatto visita. Si era destata in un gran respiro; e gli occhi le erano sembrati avvolti da un peccato immenso. Ma la sua bocca aveva avuto la foggia del desiderio. Il suo petto si era scosso sotto le coltri. Oh, ella non voleva che il suo amore per Guglielmo fosse così! Le era parso che Suor Agnese ridesse di lei, facendole comprare un cero grande per bruciare la sua anima. E si riaddormentò.

Ma, la mattina, la sensazione s‟indugiava ancora in fondo a lei. Ed ella vi pensò tutto il giorno. […]

Poi, per curiosità, si guardò allo specchio. Allora, per la prima volta, palpeggiò lungamente ambedue le sue poppe acerbe. (pp. 110-112)

Risalta a prima vista la contrapposizione speculare e congiuntiva tra i due momenti rivelatori riguardo alle due sorelle, che si concludono allo stesso modo perturbante con una focalizzazione quasi vouyeristica sul loro seno. Si assiste dunque a una specie di sdoppiamento, di dimezzamento tra un carattere tutto votato alla sensualità, proprio di Albertina (ma anche di Teresa, per quanto questa tenti in tutti i modi di scongiurarlo), e un altro incline alla spiritualità e al candore, appannaggio della sola Teresa. Nelle pagine successive, sarà quest‟ultima a essere scelta dal personaggio maschile principale del racconto, il ventenne Guglielmo, come sua sposa e come la madre di suo figlio.

È stato notato da più parti45 che le creature tozziane femminili appaiono sempre dimidiate tra le due “tendenze” esemplificate dalle due sorelle nella novella: l‟una prettamente sessualizzata, voluttuosa e luciferina - fino a diventare «ostacolo carnale […] che si frappone come legame e velo

45 Cfr. P. Getrevi, Nel prisma di Tozzi. La reazione, il sangue, il romanzo, Liguori, Napoli,

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fra l‟io e la realtà»46

-, e l‟altra estremamente idealizzata, perfino santificata, alle volte.

In altri casi ancora, specie quando tali creature non si trovano più nel fiore dei loro anni, esse possono divenire anche bersaglio della violenza espressionista e a tratti misogina di Tozzi, condividendo così il destino di sconfitta degli attanti maschili: lo dimostrano bene alcune prove della sua narrativa breve. Come spiega Siriana Sgavicchia in proposito, i risultati migliori di tale produzione vengono raggiunti proprio nelle novelle in cui si ritrova questa tipologia “mostruosa” di personaggi femminili:

Le novelle tozziane che si sviluppano narrativamente a partire da stranianti o grotteschi personaggi femminili sono tra le più riuscite e decisamente segnano la distanza dell‟autore dai moduli della narrazione della tradizione naturalistica. […] Le figure femminili accolgono per analogia o per contrasto la malattia dell‟anima dei personaggi, la debolezza, la disponibilità, la passività che la psicologia del tempo indaga non di rado proprio in una casistica femminile (la stessa psicoanalisi freudiana è inaugurata dal caso di un‟isterica). […] Vi è un vastissimo repertorio di donne nelle novelle tozziane. Diverse novelle hanno anche titoli al femminile e vi è una serie di mogli, adultere, madri, figlie, cognate, ecc. Nel complesso i personaggi femminili rappresentando il mistero inafferrabile, il desiderio frustrato e qualche volta danno adito a racconti visionari, a storie paradossali di gusto quasi surrealista […]47

.

Tuttavia, come si accennava pocanzi, nonostante questo impiego del personaggio femminile in funzione di collettore di istanze perturbanti o addirittura terrorifico-surrealiste, e nonostante la continua oscillazione tra carnalità e idealizzazione delle donne tozziane – forse, dovremmo dire provocatoriamente: nonostante Tozzi – bisogna pur puntualizzare che le protagoniste giovani dal punto di vista anagrafico, rispetto ai loro coetanei di sesso opposto, paiono conservare ancora e comunque una parvenza di risolutezza, o di dignità, nelle opere del toscano.

Sembra quasi che uno spiraglio di consapevolezza o di cosciente rassegnazione alla propria condizione le attraversi, anche quando il loro

46 P. Getrevi, Nel prisma di Tozzi, cit., p. 147.

47 S. Sgavicchia, Figure femminili nelle novelle di Federigo Tozzi, in M. Tortora (a cura di),

«La punta di diamante di tutta la sua opera». Sulla novellistica di Federigo Tozzi (Atti del convegno di Perugia, 14-15 novembre 2012), Morlacchi, Perugia, 2014, pp. 119-120.

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destino si profila come il più feroce e il più tragico. Come a dire che, sebbene esse siano comunque in balìa dei turbamenti e dei contorcimenti emotivi derivanti dalla giovinezza e dall‟adolescenza, molto spesso riescono a subirli in maniera meno scomposta e ridicola, cioè meno fuori luogo, rispetto ai personaggi maschili. I quali, invece, perseverano in maniera risibile nel tentativo di sfuggire e di superare la loro condizione di eterni bambini e di irredimibili falliti. Non comprendendo che è proprio questa loro ostinazione a farli sempre più deboli, sempre più esposti. Sempre più giovani, in altre parole.

Tra tutti i testi tozziani, se ne annoverano due che, se confrontati, potrebbero avvalorare meglio di altri quanto appena affermato. Il primo è uno dei racconti più famosi di Tozzi: si intitola Un‟osteria ed è contenuto nella raccolta Giovani. È una novella che Benzoni definisce «d‟ambiente» e che Baldacci afferma non sembrare nemmeno essere di Tozzi, tanto è intrisa di «realismo oggettivo»48. E in effetti, se da un lato il racconto è percorso da molte figure e dinamiche ricorrenti nella produzione del senese, resta uno scarto rispetto agli altri componimenti. Tale scarto è da ricercarsi proprio nella trattazione del personaggio femminile, esente da qualche stortura fisica o sproporzione, o da qualche attacco improvviso di lussuria. Sorprendentemente, infatti, ella «non era brutta» (p. 268). Come afferma Bertoncini, «non è senza significato che questo personaggio esuli dalla ritrattistica espressionista di Tozzi»49, anche se ci sono dei piccoli dettagli che potrebbero inquinare d‟un tratto la tenerezza e l‟armonia sommessa dell‟intera figura50

.

Di seguito qualche cenno sul pur scarnissimo plot: vi si racconta in prima persona dell‟arrivo del protagonista-narratore e di un suo amico in una bettola, dopo un lungo viaggio in bicicletta (dato autobiografico non secondario, che permette di accostare il narratore a Tozzi stesso). Si tratta di

48 Cfr. P. Benzoni, I silenzi di Tozzi, cit., p. 50 e L. Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 116. 49 G. Bertoncini, Narrazione breve e personaggio, cit., p. 49.

50 A tal proposito Debenedetti ha posto l‟accento sulla sproporzione delle «unghie,

lucentissime, [che] parevano pesare troppo rispetto alle dita» (p. 272). A questo dettaglio stridente si potrebbe aggiungere anche quello riferito ai suoi «denti che insanguinavano il pane» (p. 270). Cfr. G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, cit., pp. 443-444.

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una sosta forzata, quasi controvoglia, poiché è appena scoppiato un diluvio improvviso. In questa osteria, sudicia, piena di persone moleste e sospettose (compresa la proprietaria cieca), i due uomini fanno la conoscenza di una maestrina, avvertendo fin da subito la differenza che separa lei, Assunta, dal resto degli avventori. Questi ultimi sono gli abitanti del paese: si trovano a loro agio all‟interno del locale, scherzano e ammiccano, anche e soprattutto ai danni dell‟esitante e triste maestra. Come spiega ancora Bertoncini, tali individui stanno a rappresentare una sorta di «società arcaica, caratterizzata da ostilità pregiudiziale, non motivata, nei confronti dell‟estraneo, del forestiero»51. In questo caso specifico, i forestieri sono i due ciclisti, ma anche Assunta, la quale, come si scopre poco dopo la sua entrata nella bettola, è giunta da un‟altra città per il suo incarico da insegnante. Il narratore la incalza con domande a cui la giovane risponde a fatica, in maniera assai riluttante: è come irretita dal suo riserbo e dalla preoccupazione di essere il dileggio di tutti i presenti nel locale. Sembra quasi che voglia farsi piccola fino alla scomparsa: in tal senso, è forse sintomatico che questa maestra indossi «un grembiulino come hanno le alunne a scuola» (p. 269). Forse in maniera non così tanto paradossale, l‟insegnante va a confondersi con le sue allieve. È spaventata e spaesata come una bambina lasciata sola dai suoi genitori: si noti anche il ricorso al diminutivo per designare la sua veste, dettaglio non troppo secondario, in fondo. Dopo aver eluso le attenzioni e i quesiti anche invadenti dei ciclisti, la maestrina si ritira nella sua camera, dalla porta della quale, mal richiusa, i due la osservano piangere mentre sfoglia un libro, e mentre comincia a spogliarsi.

Luperini mette bene in evidenza come Assunta si trovi a rivestire suo malgrado il ruolo di capro espiatorio per la comunità paesana52: è appunto su di lei che si concentrano e si sfogano le frustrazioni di un consesso sociale gretto e provinciale: a tratti addirittura subumano, come dimostra lo stupore degli autoctoni di fronte alle bicilette, contemplate quasi fossero

51 G. Bertoncini, Narrazione breve e personaggio, cit., p. 50. 52 Cfr. R. Luperini, Federigo Tozzi, cit., p. 24.

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oggetti desueti e rari53. Su di lei ancor più che sui due avventori, i quali sono anche loro stranieri e, come se non bastasse, guardano a questo ambiente quasi con disgusto, dall‟alto della loro superiore condizione sociale e culturale. Ciò non dipende soltanto dal fatto che ella sia una donna, e quindi un soggetto più debole e più facilmente eleggibile a bersaglio di offesa e di scherno. La questione della violenza patriarcale e di genere, pur presente e fondamentale nell‟ossatura tematica di tutta la produzione tozziana, ristà qui come una sorta di sfondo naturale e inevitabile per la vicenda raccontata. Nel mondo messo a punto da Tozzi, la donna è uno dei tanti anelli di quella catena del male e della sopraffazione che vede il più forte trionfare

inevitabilmente sul più debole.

In buona sostanza, continua Luperini, si tratta della vessazione collettiva (e mimetica, direbbe Girard) del diverso e dell‟escluso: situazione assai ricorrente nelle opere di Tozzi. Ovviamente anche in quelle con al centro personaggi maschili, come nel caso di Remigio, protagonista de Il

podere, il quale, dopo essere stato bersaglio dell‟odio di tutti, muore

ammazzato da un suo dipendente54. Tuttavia, esiste a nostro avviso una distinzione netta tra l‟Assunta del racconto e i tanti giovani maschi tozziani sopraffatti e assurti a capri espiatori dalle comunità in cui vivono e di cui, a loro modo, si sentono parte. Per comprovare questa distanza, si prenda come esempio opposto e complementare a quello della novella appena descritta il caso di Leopoldo Gradi, protagonista del romanzo in forma di diario Ricordi

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«Chiamai Giulio, con un fischio; e portammo dentro le biciclette, appoggiandole ad una sfilata di sacchi pieni di farina. I ragazzi si chetarono e si misero subito a guardarle e a toccarle, come se non ne avessero mai viste né meno una. Gli uomini, senza dir niente a noi, fecero lo stesso» (p. 267). Cfr. anche G. Bertoncini, Narrazione breve e personaggio, cit., p. 50.

54 Alla luce di quanto detto, si tenga conto che ne La marchesa, una novella databile al

1916 e concepita dalla rielaborazione di alcuni fatti accaduti realmente a Siena, Matilde, la protagonista adultera, viene uccisa dalla sua vecchia suocera. Così recita l‟ultima parte del racconto: «Matilde, giacché l‟avevano educata fin da bambina con le persone più anziane si alzò. / La vecchia riprese: / - Io ti comando che tu dica tutto a tuo marito. / Matilde credette che l‟avrebbe obbedita anche di questo. / […] Ma allora le venne da piangere, facendo capire che avrebbe rifiutato. / La vecchia la prese per la gola. Matilde, benché avesse avuto più forza da allontanarle le mani, stette ferma. […] E si lasciò strozzare, per obbedienza» (p. 402). Risalta da subito la divergenza con Remigio de Il podere: quest‟ultimo si offre inutilmente per spacciarsi come un buono, mentre Matilde muore per consapevole obbedienza, e per aver scelto di non rinunciare al rapporto col suo amante.

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di un giovane impiegato (secondo il titolo originario e tematico ripristinato

da Luperini e Castellana55).

La vicenda di questo personaggio è sostanzialmente la stessa della maestrina di Un‟osteria. Leopoldo è infatti un giovane ventenne trasferitosi a Pontedera per il suo primo incarico lavorativo, in qualità di impiegato delle ferrovie. Al pari di Assunta, egli diviene ben presto bersaglio dei sollazzi dei suoi colleghi e dell‟odio da parte del piccolo microcosmo pontederese. Le pagine di questo romanzo-diario che mettono in luce simili dinamiche di ostilità e di diffidenza nei confronti dell‟impiegato sono proprio quelle ambientate in osteria. Come avremo modo di appurare anche fra breve, in tutta la produzione di Tozzi l‟osteria è un luogo rivelatore, dove le manchevolezze delle sue creature vengono messe in risalto in modo più evidente che altrove. In questa maniera, ancor più che sul luogo di lavoro, pur sempre centrale in quanto banco di prova per le abilità di competizione e di adattamento, è nel luogo pubblico deputato ai pasti e allo svago che Leopoldo manifesta clamorosamente e platealmente i sintomi della sua patologia. Della sua incapacità di comportarsi come i veri giovani e i veri uomini. Ad esempio, proprio durante la prima giornata di lavoro, mentre fa la conoscenza dei suoi colleghi, Leopoldo viene rimproverato dal gestore dell‟ufficio per aver sbagliato locanda dove dirigersi subito dopo il suo arrivo, avvenuto la sera precedente. Qui di seguito la scena, riportata nella pagina del diario in data 3 marzo, in cui risaltano, molto nitide, la continuità

55 Il titolo scelto da Borgese (con l‟avallo della moglie di Tozzi, Emma Palagi) fu Ricordi di

un impiegato. Un titolo caratterizzato dunque dall‟espunzione di quell‟aggettivo riabilitato poi da Luperini e da Castellana nella seconda metà degli anni ‟90 (cfr. R. Luperini, Federigo Tozzi, cit., pp. 192-193; R. Luperini, Conseguenze critiche di un lavoro filologico, in F. Tozzi, Ricordi di un giovane impiegato, cit., p. IX). Un aggettivo che risulta centrale perché, come ha spiegato più recentemente anche Samuel Ghelli, «la giovinezza (e il rischio del suo sacrificio) è il motore che determina l‟evolversi dell‟intera vicenda, ne è la chiave stessa di lettura. Tozzi, aggiungendo quell‟aggettivo, dimostra con eloquenza di volere costruire fin dall‟inizio un personaggio dall‟identità fortemente compromessa per la natura ossimorica degli elementi che lo definiscono. Leopoldo si presenta appunto come “un giovane impiegato”, e noi sappiamo bene quanto gioventù ed impiego facciano a cazzotti in quella che è la mappa emotiva dello scrittore senese (lo dimostra l‟intera sua produzione). È questa identità malferma che impone quindi di per sé un corso in qualche modo segnato alla rappresentazione, un cammino che proceda verso la risoluzione di quel disagio „verbale‟ che il personaggio porta sulle spalle e sente di soffrire sulla pelle» S. Ghelli, I fantasmi, le ragioni dell‟anima e la riscrittura dei Ricordi di un impiegato di Federigo Tozzi, «Italica», 88, 3, 2011, pp. 399-400.

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e la specularità tra ufficio e osteria, tra abilità di portare il pane a casa e poi di mangiarlo, tra la compostezza nel posto deputato all‟ordine e al decoro, e quello della trasgressione e dello sforamento permesso:

Mi vesto e vado all‟ufficio. I miei colleghi fanno colazione […]. Sono molto impacciato ed evito di parlare. Frattanto, entra il gestore. Se non avesse gli occhiali e il berretto nero con le righe d‟oro, lo prenderei per un contadino basso e tarchiato, che ha i baffi biondi e gli occhi di un celeste chiarissimo e freddo. Io mi tolgo il cappello, ed egli mi chiede con un‟aria tra indagatrice e maliziosa:

– Perché ieri sera non venne a cenare con noi? Le avevamo fatto preparare il posto.

– Non sapevo dove fossero.

Egli non mi crede, e mi rimprovera: – Eh, non ci vuole mica tanto! È lì; guardi.

E mi accenna una piccola osteria di fianco al piazzale della stazione. I miei colleghi stanno attenti a quel che gli rispondo.

– Verrò oggi. […]

Ed esce. Ma, mentre io sto per domandarmi se ho commesso qualcosa di male, i miei colleghi fanno una risata. Uno prende un seggiolone, e lo attraventa contro quello del bigliettaio; il quale comincia a bestemmiare. Quelle bestemmie m‟impacciano, e me ne sto ai vetri della porta esterna, guardando che gente càpita nel piazzale: pochi facchini; molti barrocci carichi, con sopra un impermeabile o una coperta rossa […].

Dopo mezz‟ora, posso lavorare. Ma i registri sono così pieni di correzioni e di scarabocchi che io non so quel che devo scrivere. (pp. 13-14)

Leggendo queste parole alla luce di quanto detto riguardo alla novella Un‟osteria, risalta subito quale possa essere la differenza che intercorre fra l‟impiegato ferroviario, impacciato e incapace di svolgere in