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Autodidatta e periferico, Federigo Tozzi (Siena 1883 – Roma 1920) è stato uno dei più grandi narratori del nostro Novecento. Di statura pari alle altre due personalità che hanno rivoluzionato il romanzo nostrano (e in parte anche il genere novellistico) degli inizi del XX secolo, Pirandello e Svevo, questo autore, con la sua parabola, incarna e rappresenta uno snodo fondamentale nella storia della letteratura italiana moderna e contemporanea. Snodo fondamentale soprattutto perché Tozzi e la sua opera costituiscono a tutti gli effetti un “caso” nella nostra storiografia letteraria1. Infatti, nonostante egli si sia conquistato in vita una buona visibilità - fu anche amico dello stesso Pirandello e di Borgese, quest‟ultimo curatore di alcune sue opere postume -, per molto tempo la critica si è come dimenticata della sua produzione, relegandola in secondo piano, in contesti regionalistici o minori, o all‟interno di una più generale tendenza di ritorno all‟ordine dopo la stagione espressionista e vociana.

1. Lo scrittore crudele

Negli anni Sessanta del secolo scorso, è stato Giacomo Debenedetti a riaprire ufficialmente il discorso su Tozzi e a inserirlo per la prima volta in una prospettiva europea, affiancando così il suo nome a quello di scrittori di stampo internazionale come Kafka, Joyce e Musil, in un articolo ormai ritenuto un classico della critica letteraria e poi nei suoi corsi universitari, i

1 Cfr. E. Esposito, Un caso critico, in Id., Studi di critica militante, Marcos y Marcos,

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cui quaderni sono stati pubblicati postumi2. E se da un lato, oggi, alcune delle considerazioni debenedettiane appaiono datate e troppo influenzate dalla prospettiva psicanalitica, dall‟altro lato è pur vero che esse rappresentano un punto di partenza ineludibile per chiunque voglia misurarsi con le opere di Tozzi. E con la sua biografia travagliata, essenziale per comprendere l‟autore, seppur per molto tempo troppo ingombrante per una sua lettura scevra da fraintendimenti e da semplificazioni3.

L‟altro critico che ha rivestito un ruolo pionieristico e fondamentale per gli studi tozziani è stato senza dubbio Luigi Baldacci. Il quale a partire dagli anni Settanta ha definitivamente elevato l‟autore toscano a titolo di uno dei grandi padri della modernità novecentesca4. E, potremmo aggiungere a questo punto, anche del modernismo italiano, come hanno dimostrato i contributi di Romano Luperini, di Massimiliano Tortora e di Riccardo Castellana5, senza poi ribadire la decisività delle ricerche di Marco Marchi per quanto concerne la cultura psicologica (tutta europea) di Tozzi6. A Castellana si deve inoltre una rassegna bibliografica del 2008 in cui viene dato conto della vastità della produzione critica e accademica intorno alle opere tozziane7. Vastità che, come prevedibile, ha conosciuto un ulteriore

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Cfr. G. Debenedetti, Il personaggio-uomo, Garzanti, Milano, 1970, pp. 83-103; G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento: quaderni inediti, presentazione di E. Montale, Garzanti, Milano, 1971.

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Nato e cresciuto nella Siena provinciale di fine Ottocento, figlio di una madre malata e remissiva e di un padre dispotico e violento; riluttante a gestire i beni familiari, di primo acchito l‟autore sembra condividere molte delle caratteristiche dei suoi personaggi, sebbene la sua vicenda personale non rappresenti altro che uno spunto per la successiva invenzione letteraria. Per la biografia di Tozzi cfr. almeno la “canonica” P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, Editori del Grifo, Montepulciano, 1982 e la recente, sintetica ed efficace M. Marchi, Un classico del Novecento, in Id. (a cura di), Stagioni di Tozzi, Le Lettere, Firenze, 2010, pp. 15-50.

4 Cfr. L. Baldacci, Tozzi moderno, Einaudi, Torino, 1993. Si tratta di una raccolta di saggi

scritti da Baldacci nell‟arco di un ventennio, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. A tal proposito cfr. anche M. A. Grignani, Luigi Baldacci lettore di Tozzi, in Ead. (a cura di), Tozzi: la scrittura crudele, Atti del Convegno internazionale (Siena, Santa Maria della Scala, Palazzo Pubblico, 24-26 ottobre 2002), num. monografico di «Moderna», IV, 2, 2002, pp. 23-30.

5 Cfr. almeno R. Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, Laterza, Roma-

Bari, 1995, imprescindibile per le riflessioni di questo lavoro; R. Castellana, Parole cose persone. Il realismo modernista di Tozzi, Fabrizio Serra, Pisa-Roma, 2009.

6 Alcuni dei numerosi contributi tozziani di Marchi sono stati raccolti e ristampati in M.

Marchi, Federigo Tozzi. Ipotesi e documenti, Le Lettere, Firenze, 2015 [1993].

7 Cfr. R. Castellana (a cura di), Bibliografia delle opere e della critica 1901-2007, con la

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allargamento negli oltre dieci anni intercorsi da quella pubblicazione: ciò a dimostrazione di come Tozzi venga ormai ritenuto un classico della nostra tradizione, su cui non si smette di indagare e di discettare.

Moltissime sono state e sono tuttora le prospettive impiegate per analizzare i testi del senese, da quella antropologico-tematica, fino a quella dei gender studies, così come altrettanto numerose sono state anche le questioni già sviscerate e le piste battute. Inoltre, a definitiva testimonianza della centralità ormai riconosciuta di Tozzi, si tenga presente che attualmente è in corso di stampa l‟edizione nazionale della sua opera omnia. La prima pubblicazione di questa serie è stata la raccolta di novelle Giovani, curata da Paola Salatto8. Non stupisce che si sia scelto proprio tale volume per inaugurare l‟impresa di riedizione. Come avremo modo di appurare fra non molto, in questo titolo così incisivo si trova condensata e riassunta gran parte della produzione tozziana, dal momento che la giovinezza viene rappresentata dallo scrittore toscano come una malattia. Questa deve essere intesa sia nel senso della patologia del non poter crescere ben individuata da Kozma9 per i personaggi maschili di Deledda, sia come un concetto più ampio, ossia come un‟immagine che si delinea per contrasto e in negativo. A partire da un capovolgimento a centottanta gradi di un mito già cristallizzato e diffuso.

Andiamo ora a vedere in che modo Federigo Tozzi, lo scrittore crudele, il “palombaro” delle profondità emozionali dell‟uomo novecentesco10, come l‟ebbe a definire il suo amico ed estimatore Borgese, abbia fatto della malattia della giovinezza uno dei tratti più peculiari della sua narrativa. La sua spina dorsale, nei temi e così nelle forme. Come abbia infettato per sempre la più dolce stagione della vita. «Una primavera che in

8 Cfr. F. Tozzi, Giovani, edizione critica a cura di P. Salatto, prefazione di R. Luperini,

Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2018 [1920].

9 Cfr. J. M. Kozma, Grazia Deledda‟s Eternal Adolescents, cit. 10 Cfr. G. A. Borgese, Tempo di edificare, Treves, Milano, 1925.

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vece dei fiori ha veleni di cose lontane e veleni, anche più potenti, di cose attuali» (Un ragazzo, p. 439)11.