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COSTITUTIVO DELLO STATO: EVOLUZIONE DEL CONCETTO

2.3 IL DEMANIO MARITTIMO

Come gli altri beni del demanio pubblico, sono considerati costituenti il demanio marittimo tutti e i beni i mezzi che la Pubblica Amministrazione utilizza per raggiungere i propri scopi in tutta la variegata molteplicità di attività nell’ambito che si può sinteticamente definire della navigazione.

Per quanto concerne i beni, i fini pubblici sono realizzati direttamente tramite l’uso degli stessi, o indirettamente tramite il godimento che da quelli può trarre la collettività, mentre i mezzi contemplano le potestà e i diritti spettanti alla Pubblica Amministrazione, sempre per il raggiungimento di finalità pubbliche concernenti la navigazione, su beni la cui titolarità appartiene a soggetti privati.

Si è visto precedentemente che la prima elencazione dei beni costituenti il demanio marittimo è fatta dall’art. 157 del Codice della Marina Mercantile entrato in vigore il 1°

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gennaio 1865 che inseriva nel “ pubblico demanio il lido del mare, i porti i seni, le spiagge”.

La classificazione ancor oggi in vigore è quella del Codice Civile entrato in vigore il 21 aprile 1942 il quale all’art. 822, c.1, recita: “Appartengono allo Stato e fanno

parte del demanio pubblico il lido del mare, le spiagge, le rade e i porti ( 28 ss, 692 ss, c.n.) …..”.

Nello stesso anno, con R.D. 327/1942, entrava in vigore il codice della navigazione, che, pur rifacendosi alla classificazione dei beni del demanio marittimo dell’art. 157 del codice del 1865, ripresa in toto con la sola sostituzione delle rade al posto dei seni, elencava “ il lido, la spiaggia, i porti le rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno una parte dell’anno comunicano col mare, i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”. Essendo questo elenco più specifico di quello riportato dall’art. 822 c.c., viene considerato una integrazione di quello.

I beni costituenti il demanio marittimo appartengono alla categoria del demanio necessario, la loro demanialità è infatti in re ipsa. Da tempo la dottrina prevalente nonché un’ univoca corrente giurisprudenziale, considera degno di maggior rilievo, ai fini dell’attribuzione della demanialità, la metodologia naturalistica attuata attraverso l’osservazione

degli aspetti morfologici dei siti.73

Tuttavia la giurisprudenza ha ritenuto che, al fine della classificazione di contesti che presentino particolari difficoltà ambientali di osservazione, sia opportuno avvalersi

73M.C. Capponi, Il demanio marittimo, in Nuova Giur. civ. comm , 1991, II, 218 ss;

F.A. Querci, Demanio marittimo, voce, Enciclopedia del Diritto, Milano, 1964; A. M. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1984; Cass. Pen., 8.3.1976, in Giust. Pen. 1977, II, 404; Cass. 5.11.1981, 5817.

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di altri metodi in grado di avvalorare, completare se non addirittura surrogare il criterio naturalista, e pertanto ha stabilito che si ricorra alle mappe catastali, le quali

avrebbero “ valore di mezzo sussidiario di prova”74.

Per sostenere l’utilizzo delle mappe catastali nei casi delle predette situazioni , la giurisprudenza ha richiamato l’art. 950, u. c., c.c., sul regolamento di confini: “ in mancanza di altri elementi il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali essendo al riguardo principio ampiamente condiviso dalla giurisprudenza che la menzionata regola di giudizio trova piena applicazione anche nella determinazione dei confini tra proprietà pubblica

e proprietà privata”.75

Un altro criterio di identificazione della demanialità dei detti beni, è quello della loro, attuale o potenziale, attitudine alla fruibilità pubblica del mare, e quindi balneazione, turismo, pesca, diporto, navigazione etc. Tale criterio è confermato dall’art. 35 c. n. che si riferisce chiaramente all’uso pubblico del mare, confortato anche da una corrente giurisprudenziale secondo la quale, “l’idoneità al soddisfacimento dei pubblici usi del mare si desume

implicitamente anche nella stessa destinazione o

utilizzazione che i privati ne fanno”.

Come si è già visto, i beni appartenenti al demanio, e in particolare a quello marittimo, non possono essere oggetto di diritti di terzi a meno che ciò non avvenga secondo le

modalità ed entro i limiti dettati da leggi specifiche.76.

74Cass., Sez II, civ. 11 luglio 2002, n.10121; Cass. Sez. II, civ. 6 settembre 2002,

n.12976

75Cass. Sez.III pen, 1 febbraio 1985, n. 18; Trib. Palermo, 24 ottobre 1997, n.6364

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E’ possibile, infatti, conferire dei diritti di godimento a scopo di lucro sui beni del demanio marittimo a soggetti privati per mezzo provvedimenti di polizia amministrativa, detti provvedimenti di concessione, non a titolo gratuito. L’approfondimento della materia costituirà argomento del terzo capitolo.

Poiché l’elencazione dei singoli beni costituenti il demanio marittimo è estremamente essenziale, dottrina e giurisprudenza hanno provveduto a render più esaustivi i singoli concetti.

S’intende per “lido del mare” quell’area che risulta bagnata dall’acqua, estesa fino al punto raggiunto dalle mareggiate, tanto invernali quanto estive, fatta esclusione per le tempeste. Rientrano nel concetto anche gli scogli e le scogliere, i macigni irti di scogli, argini naturali, le penisole e i capi che si inoltrano nel mare.

L’appartenenza delle zone litoranee al demanio marittimo dipende da tre caratteristiche: 1) occorre che l’area normalmente sia coperta dalle normali mareggiate; 2) la stessa dev’essere attualmente fruibile per usi marittimi; 3) è necessario che la zona sia, in pratica o in potenza, usata per

scopi collegati alla navigazione.77

E’ definita spiaggia la zona che, a partire dal margine interno del lido del mare, si protende verso terra. A causa dell’erosione delle onde, il suo profilo è soggetto a cambiamenti, da ciò deriva che la disciplina giuridica che la

riguarda può cambiare senza che la Pubblica

amministrazione debba emanare provvedimenti ad hoc.

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Le rade, che normalmente sono antistanti ai porti, sono zone riparate dalle mareggiate, dove le navi possono attraccare e sostare al riparo da eventuali mareggiate; in particolare le rade, che permettono delle soste piuttosto brevi, possono essere naturali, se il riparo dal mare aperto è dato da lembi di terra, isole, banchinamenti, oppure artificiali, dette anche foranee, se il riparo è costituito da dighe foranee.

Le lagune si distinguono in <<morte>> e <<vive>>: le prime sono zone coperte da acque ferme che non hanno nessuna comunicazione col mare, invece le seconde comunicano con le acque marine costiere. I varchi che consentono il passaggio del mare sono chiamate “bocche di porto”.

L’art. 28 c. n. include le foci dei fiumi, tanto estuari quanto delta, al fine di evitare uno iato nella linearità e coerenza costiera utilizzabile per usi marittimi pubblici. Secondo l’art. 31 c. n. i limiti demaniali delle aree in cui l’acqua dolce e l’acqua salmastra si mescolano, sono fissati dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti insieme con le amministrazioni interessate, in base all’utilizzabilità .

Sui bacini di acqua salmastra le opinioni sono discordi: taluni li identificano con le lagune vive, altri li considerano “invasi distinti dal mare la cui acqua mantiene

un sensibile grado di salinità”78

Tali bacini si trovano sulla terraferma in posizioni le cui caratteristiche morfologiche consentono la penetrazione dell’acqua marina, sia pure per un solo periodo dell’anno. Sono poco profondi e la loro origine può essere dovuta al mare o a un fiume, così come è possibile che la

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comunicazione con il mare avvenga per mezzo di canalizzazioni costruite dall’uomo.

Sono poi da ricordare i canali navigabili, dove i natanti possono trovare riparo e svolgere le operazioni dei carico e scarico delle merci come di imbarco e sbarco dei passeggeri: la loro demanialità deriva dalla funzionalità agli usi pubblici marini.

Sebbene il codice non citi gli arenili, tuttavia giurisprudenza e dottrina concordano nel considerarli beni del demanio marittimo. La Suprema Corte così definisce gli arenili: “ gli arenili costituivano un ampliamento dello stesso concetto di spiaggia, inteso come tratto di terra che si stende oltre il lido verso la terra ferma, senza certi confini in modo che, secondo che il mare si avanzi o si ritiri, la sua estensione diminuisce o cresce: in quest’ultimo caso si

determina la formazione di un relitto del mare o arenile”79,

pertanto mantengono, almeno potenzialmente, la possibilità di tornare ad essere idonei ad utilizzazioni pubbliche del mare.

Gli arenili fanno parte del demanio marittimo e, per la loro sdemanializzazione, ai sensi dell’art. 35 c. n., occorre un apposito decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in accordo col Ministro delle Finanze su proposta del Capo del Compartimento marittimo.

Si definiscono porti i tratti rivieraschi che per la loro costituzione morfologica o per l’opera dell’uomo, si prestano all’approdo di navi e altri natanti, in acque protette dalle mareggiate e dal vento. Tale enunciato, non includendo alcun richiamo ai fini commerciali, innova il Codice del 1865, (cfr. T.U. n. 3095, del 1885) che classificava i porti

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come appartenenti a due categorie: porti dedicati alla salvaguardia della navigazione nonché alla difesa militare del territorio dello Stato, e porti dedicati ai commerci.

La L.84/1994 ha recepito tale innovazione

ampliandola, infatti cataloga i porti in considerazione delle specifiche peculiarità e finalità di ciascuno, quindi elenca porti industriali, commerciali, petroliferi, pescherecci, turistici, da diporto, militari.

Ai sensi dell’art. 29. c. n., fanno parte del demanio marittimo anche quelle che vengono chiamate pertinenze demaniali, vale a dire tutte le opere e le costruzioni che si trovano all’interno della linea di confine che separa il demanio marittimo dalle altre aree, ed anche quelle interne al mare territoriale.

Quanto al mare, la prevalente corrente dottrinaria ritiene che il mare territoriale possa essere considerato un bene demaniale statale in considerazione del fatto che il Codice della navigazione, in particolare l’art. 524 del Regolamento della navigazione marittima, dispone che l’esercizio della polizia sul mare territoriale, l’uso e l’occupazione di zone del mare territoriale siano disciplinati dalle norme che regolamentano il demanio marittimo.

L’estensione del mare territoriale è stata fissata in 12 miglia marine dalla L. n. 359/1974, calcolate a partire dalla così detta <<linea verde>> cioè la linea che, sulla carta ufficiale 330 L.B., congiunge le estremità esterne di baie, porti, insenature cha non distino fra loro più di 24 miglia.

La linea di base dei litorali italiani è stata fissata con D.P.R. n. 816/1977. Nei casi in cui le coste non siano particolarmente discontinue, la linea di base, ai sensi dell’art. 2 c. n., collima con quella della bassa marea. Le acque che

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si trovano fra la linea verde e la zona costiera sono dette acque interne.

Così come sullo spazio aereo e sul territorio, anche sul mare territoriale e le acque interne, fino al sottofondo compreso, si estende la sovranità dello Stato che si esplica nell’attività della polizia della navigazione, nel diritto di escludere dalla navigazione nelle acque statali le navi da guerra di altri Paesi. Le navi che transitano nelle acque territoriali sono anche sottoposte alla giurisdizione civile e penale , eccettuate le fattispecie che si verifichino su navi appartenenti a Paesi stranieri, e che non interessino in alcun modo il territorio italiano.

I mercantili forestieri hanno il permesso di attraversare pacificamente le acque territoriali, ma in casi particolari può accadere che sia interdetto il traffico nelle acque interne.

Le navi da guerra straniere che necessitino di attraversare in modo pacifico le acque territoriali possono farlo dopo averne richiesta l’autorizzazione alle autorità centrali.

Prima dell’entrata in vigore della L. n. 359/1974 il limite delle acque territoriali del nostro Paese era di sole 6 miglia, mentre le acque che si estendevano per ulteriori 6 miglia erano definite <<zona contigua>>.

L’UNCLOS, United Nations Convention on the Law of the Sea, è il documento, formulato da più di 150 Paesi, che vi hanno lavorato per quattordici anni, e siglato in occasione della Conferenza della Nazioni Unite tenutasi in Giamaica a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata in Italia con la L. n. 689 del 2 dicembre 1994. La Convenzione è definita UNCLOS III, perché è la terza revisione di UNCLOS I, sottoscritta a Ginevra nel 1958 e la successiva

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UNCLOS II, del 1960, i cui lavori si tennero ancora a Ginevra ma senza raggiungere alcun risultato.

I paesi sottoscrittori della Convenzione ad oggi sono 164, la Comunità Europea ha sottoscritto e ratificato, mentre gli Stati Uniti hanno sottoscritto ma il Senato Americano non ha ancora dato la ratifica al documento. La Convenzione rappresenta un importante punto di svolta non solo nella definizione delle acque territoriali, ma soprattutto nel modo di concepire la navigazione. Fino a quel momento, infatti, il mare era considerato libero, quindi <<di nessuno>>, mentre dopo Montego Bay il mare è di tutti. La teoria della libertà dei mari fu formulata nel XVII secolo dal giureconsulto Cornelius van Bynkershoek nell’opera De

Dominio maris nella quale affermava che il dominio sul

mare deve arrivare alla distanza pari alla gittata di un cannone. Palesemente tale principio non poteva essere più seguito ai giorni nostri, in cui si sono moltiplicate le tematiche afferenti l’utilizzo dei mari, dal diritto di pesca alle piattaforme per lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini di idrocarburi, senza dimenticare l’obbligo si soccorso in mare che, in particolare per l’Italia, è diventato tragicamente attuale a causa dell’immigrazione. S’imponeva quindi una nuova regolamentazione giuridica di tutta la materia.

L’UNCLOS III ha stabilito dei punti fermi con una precisa differenziazione: le acque interne, sulle quali vige l’ordinamento giuridico dello Stato di appartenenza; le acque territoriali entro il limite delle 12 miglia nautiche nelle quali è sempre vigente la legge dello Stato, ma è previsto il diritto di transito; gli arcipelaghi; la zona contigua pari ad un’estensione di 24 miglia marine, entro la quale lo Stato costiero può eseguire dei controlli al fine di prevenire e, se necessario, punire comportamenti contrari alle proprie leggi. La Convenzione ha anche fissato due nuove zone: la ZEE -

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zona economica esclusiva – estesa per duecento miglia marine all’interno delle quali lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttamento di tutte le potenzialità; l’altra è costituita dalla piattaforma continentale, nei Paesi dove eventualmente esista: in questo caso la piattaforma continentale è considerata un prolungamento dello Stato costiero fino ad un’estensione di 350 miglia nautiche. Entrambe le nuove zone istituite, però, sono fonte di accese diatribe fra Stati.

Proprio l’UNCLOS III ha stabilito l’utilizzo della linea di base, di cui s’è già detto, al fine di istituire norme chiare e definitive per calcolare le ampiezze delle varie acque.

La Parte XII dell’UNCLOS III, intitolata “ Protection and Preservation of the Marine Environment” è un vero e proprio statuto, formato da 46 articoli, che disciplina la competenza per la tutela dell’ambiente marino e le eventuali violazioni. In base a queste norme si individuano lo Stato di bandiera cui è riconosciuto il potere di svolgere inchieste ed erogare sanzioni, lo Stato del Porto al quale viene riconosciuta autorità nei confronti di navi che abbiano volontariamente causato inquinamento delle acque del mare, e infine lo Stato costiero che è riconosciuto competente nei confronti delle navi che abbiano contravvenuto alle norme all’interno della sua ZEE e, attraversandola, abbiano

scaricato materiali inquinanti.80

Nel demanio marittimo è di notevole importanza la disciplina dettata dagli artt. 31 e ss. c. n., riguardanti “

apposizione di limiti, delimitazione, ampliamento,

destinazione ad altri usi pubblici dei beni demaniali marittimi.”

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Secondo il Codice della navigazione spetta al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, concordemente con quello delle Finanze e del Lavori Pubblici, stabilire i confini del demanio marittimo laddove il mare entri in comunicazione con fiumi, canali o altri corsi d’acqua.

La giurisprudenza ritiene che l’atto ministeriale non sia “ costitutivo della demanialità e neppure attributivo dell’appartenenza del bene ad una particolare branca

dell’Amministrazione, bensì un mero atto di ricognizione”81.

La procedura della delimitazione dei confini demaniali è disciplinata dagli artt. 32 c. n. e 58 r. c. n., la cui motivazione logica è costituita dall’accertamento dei limiti fra le aree demaniali marittime e le adiacenti aree relative ad altro demanio, o di proprietà di terzi.

Recita l’art. 32 c. n.: “è il Capo del Compartimento marittimo a disporre, quando sia necessario o comunque lo ritenga opportuno, la delimitazione di zone del demanio marittimo.” La giurisprudenza ha chiarito che l’apparente discrezionalità dell’atto del Capo del Compartimento richiede il concorso di due condizioni: la mancanza di certezza sul confine fra demanio marittimo e proprietà

privata,82e un’utilità pubblica attuale e determinata.

Il presupposto di tale norma risiede nell’incertezza relativa all’ampiezza del bene demaniale, a nulla rilevando la titolarità dei beni confinanti. In base a detto presupposto la giurisprudenza afferma la giurisdizione del giudice ordinario nei casi in cui soggetti privati affermino un proprio

81Cass., Sez. II, 29 aprile 2003, n. 6657

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diritto di proprietà su un immobile nei confronti della

Pubblica Amministrazione83.

Nei commi successivi dell’art. 32. c. n., vengono regolamentate eventuali transazioni intervenute fra le parti, nonché varie possibilità di composizione per via

amministrativa, di contrasti emersi nella fase di

accertamento.

Tale disciplina si traduce in attività accertativa da parte della P.A., i cui effetti sostanziali sono quelli dell’azione di regolamento di confini ex art. 950 c.c., che comporta una relazione fra le parti titolari di situazione soggettive paritarie, per la quale vige la giurisdizione del

giudice ordinario.84

L’atto amministrativo emesso ex art. 32 c. n. non ha alcun carattere costitutivo/modificativo di diritti di terzi, né può essere considerato espressione di discrezionalità dell’autorità amministrativa che, in realtà, si limita alla verifica dell’estensione dell’area demaniale in relazione ad una proprietà privata confinante.

Le operazioni hanno luogo dopo che il capo Compartimento comunica ai privati interessati l’inizio del procedimento, contestualmente invitandoli a presentare , in contraddittorio, eventuali eccezioni, deduzioni e documenti, nonché a presenziare alle operazioni di delimitazione.

83Cass. S.U. 22 giugno 1978, n. 3068

84 Cons. Stato, VI, 22 maggio 1985, n.206; Cons. Stato, VI, 4 dicembre 2001,

n.6054; Cons. Stato, VI, 19 maggio 2008, n. 2260; Cass. S.U., 11 marzo 1992, n. 2956; Cass. S.U. ord. 18 aprile 2003, n. 6347; Cass. S.U., ord. 14 giugno 2006, n. 1369; Cass. S:U:, ord. 15 marzo 2012, n.4127; Cons. Stato, II, 11 maggio 2009, n. 10817

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In caso di accordo con i privati, il provvedimento conclusivo, adottato da una commissione, dotata della competenza ad hoc, sarà costituito da un atto di natura collegiale materialmente composto dal verbale relativo alle operazioni effettuate, firmato dalle parti e successivamente approvato dal direttore marittimo. Detto atto sarà dotato di obbligatorietà per lo Stato.

Invece, qualora non sia possibile raggiungere l’accordo, il provvedimento di cui sopra verrà inviato al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, competente ex art. 42, lett. c), D. lgs. 30 luglio 1999, n. 300 che ha il potere di annullare, entro sessanta giorni dal ricevimento, l’atto ricognitivo di cui sopra.

La dottrina è univoca nel ritenere che la procedura di demarcazione costituisca manifestazione del potere di autotutela dell’amministrazione marittima ai sensi dell’art. 823. c.c..

Inoltre il provvedimento di demarcazione dei confini ed il conseguente posizionamento di termini, è da considerarsi atto dichiarativo della demanialità connaturata

al bene stesso.85

Il giudice ordinario, è competente per eventuali controversie fra privati che si ritengano lesi nel proprio diritto di proprietà e Autorità amministrativa in quanto si verte in materia di diritti soggettivi, e le azioni spettanti ai ricorrenti sono appunto quelle elencate dal codice civile a tutela del diritto di proprietà, quali la rivendica e l’azione di regolamento di confini.

85Cons. Stato, Sez. VI, novembre 1980, n. 934; Cons. reg. Sicilia 25 giugno 1990,

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Invece se i privati eccepiscono difetti della procedura ex art. 32 c. n. la competenza spetta al giudice

amministrativo.86

Si tratta, infatti, del così detto principio della doppia

tutela, sostenuto dalla giurisprudenza costante sia del

Consiglio di Stato quanto della Suprema Corte.

Occorre inoltre osservare che la certezza dei confini delle aree del demanio ottenuta attraverso l’apposito procedimento, costituisce il necessario presupposto di

legittimità di eventuali provvedimenti successivi

dell’autorità amministrativa, tanto di polizia amministrativa quanto di polizia giudiziaria, aventi ad oggetto l’occupazione di dette aree, i.e. sequestro di opere abusive, ordini di sgombero etc., quanto per ottenere che vengano rispettati vincoli legali, distanze e quant’altro. Anche in questo caso, la cognizione per eventuali controversie in merito al

procedimento, è di competenza del giudice amministrativo.87

Esiste poi la così detta procedura di ampliamento, ai