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LA GESTIONE DEL DEMANIO MARITTIMO DOPO L’ISITITUZIONE DELLE REGION

COSTITUTIVO DELLO STATO: EVOLUZIONE DEL CONCETTO

2.4 LA GESTIONE DEL DEMANIO MARITTIMO DOPO L’ISITITUZIONE DELLE REGION

Già Camillo Benso conte di Cavour, nel governo da lui presieduto, istituì, nel 1860, una Commissione di

89Cass., Sez. II, 3 aprlie 2002, n.4769

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legislazione presso il Consiglio di Stato, con l’incarico di revisionare nel complesso i poteri locali che facevano parte del nuovo Stato unitario.

La Commissione lavorò a diverse ipotesi, che ebbero un percorso alquanto travagliato. Si segnalò tuttavia un progetto, noto col nome dei due fautori , Farini - Minghetti, perché era portatore di proposte decisamente innovative che ipotizzavano forme di autogoverno locale dei comuni e della provincie, senza però organi elettivi.

Sul progetto Farini – Minghetti cominciò, dalla primavera del 1861 un acceso confronto nel quale prevalsero le forze ostili a tale innovazione, infatti nel nuovo clima che si era creato, specie dopo l’annessione delle regioni meridionali, era forte il timore circa la tenuta del nuovo Stato.

Dopo la caduta alla Camera, il Governo abbandonò il progetto e il 3 gennaio 1862 venne formalmente ritirato dal

presidente del Consiglio Bettino Ricasoli.91

L’art. 5 della Costituzione Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948 recita : “ La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua

legislazione alle esigenze dell’autonomia e del

decentramento.”

La VII disposizione transitoria Cost. disponeva che entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione dovessero svolgersi le elezioni dei consigli regionali e “degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali”. La stessa disposizione prevedeva che leggi della Repubblica

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avrebbero disciplinato “per ogni ramo della pubblica amministrazione, il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni”, mentre ulteriori leggi dello Stato avrebbero regolamentato il passaggio di funzionari e dipendenti statali alle Regioni.

Infine la IX disposizione transitoria prevedeva che “entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione la Repubblica avrebbe adeguato le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni”.

Era evidente che, per dare inizio al processo di regionalizzazione occorreva preliminarmente dare attuazione alle citate disposizioni transitorie, anche tenendo in considerazione il fatto che le Regioni a Statuto speciale, Val d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna, erano già state istituite fra il 1946 e il 1948, quindi si poneva la necessità di realizzare le Regioni a

statuto ordinario.92

Nel Parlamento italiano iniziò un dibattito che sarebbe durato molti anni attraversando svariate legislature. Era allora in carica il Governo De Gasperi, rappresentante della Democrazia Cristiana e favorevole, insieme ai repubblicani, all’attuazione delle regioni. Però le sinistre, dapprima piuttosto negative, per timore di perdere le posizioni saldamente acquisite nelle zone centrali del Paese, cambiarono decisamente il proprio atteggiamento e si dichiararono favorevoli al progetto regionalista, il che fece assumere alla Democrazia Cristiana un atteggiamento attendista.

92 AA.VV. Storia del Parlamento Italiano, Volume V, Flaccovio Editore, Palermo

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Nel 1948 le posizioni degli altri partiti, all’interno del Parlamento, erano queste: i repubblicani erano favorevoli al regionalismo, mentre i liberali erano contrari, per lo meno ad un regionalismo come quello prospettato dalla Carta Costituzionale. Decisamente contrario era il centro destra, soprattutto i rappresentanti del Movimento Sociale che vedevano nel regionalismo un pericolo per l’unità del Paese.

Si creò quindi una situazione di stallo, durante la quale si susseguirono vari disegni di legge per l’elezione dei consigli regionali, che non vennero mai approvate, passando così da una legislazione all’altra, anche se non si può dimenticare l’approvazione della l. 10 febbraio 1953, n.69, detta legge Scelba, sull’attuazione dell’ordinamento regionale.

Con la L. 17 febbraio 1968, n.108, “ Norme per la elezione di Consigli regionali delle regioni a statuto Normale”, si concluse l’annoso dibattito fra i partiti favorevoli alle elezioni a suffragio universale diretto e quelli che sostenevano le elezioni indirette di secondo grado espresse dai consiglieri provinciali. Grazie anche al nuovo clima politico creatosi in seguito all’alleanza DC-PSI, in netto contrasto con le sinistre, i liberali, il MSI, e il partito

monarchico, il legislatore optò per l’elezione diretta.93

Successivamente, con D.L. 1121 del 28 dicembre 1971, si stabiliva che i decreti ai sensi dell’art. 17 della L. n. 281, riguardanti il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative, sarebbero entrati in vigore il 1° aprile 1972 e, contestualmente le Regioni avrebbero cominciato ad

93A. Barbera – C. De Caro – A. Agosta, L’attuazione dell’ordinamento regionale, in

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esercitare le funzioni loro trasferite. Il 14 e il 15 gennaio 1972 furono emanati 11 decreti delegati che trasferivano alle regioni le funzioni amministrative relative alle materie: circoscrizioni comunali e polizia locale, agricoltura, caccia e pesca, acque minerali, cave e torbiere, turismo e industria alberghiera, assistenza scolastica, musei e biblioteche, assistenza sanitaria e ospedaliera, trasporti, urbanistica,

viabilità ed espropriazione, istruzione artigiana e

professionale, beneficenza pubblica.94

L’elenco delle materie affidate alle Regioni comprendeva, come s’è visto, anche la gestione di alcuni beni appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato.

La svolta che vide una vera e propria delega delle funzioni amministrative statali alle Regioni in materia di demanio marittimo è stata data dal Decreto del Presidente della Repubblica n.616 del 1977, il quale, all’art. n 59 “Demanio marittimo, lacuale e fluviale”, recita: “ Sono delegate alle regioni le funzioni amministrative sul litorale

marittimo, sulle aree demaniali immediatamente

prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale, quando l’utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative (…..)”.

Rimangono ancora allo Stato centrale le funzioni in materia di navigazione marittima, polizia doganale e sicurezza nazionale, porti e tutto ciò che inerisce alle necessità della navigazione marittima e della sicurezza dello Stato.

Secondo un’ affermata corrente dottrinaria, ciò costituiva un doppio limite della citata delega, dal momento

94 S. Bartole, “Le Regioni”, in Sergio Bartole- Franco Mastragostino-Luciano

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che la stessa, da un lato, era limitata ad una parte del demanio marittimo, segnatamente “ il litorale marittimo” e le “aree demaniali immediatamente prospicienti” , dall’altro era ristretta solamente alle finalità di tipo turistico e

ricreativo.95

Il DPR 616/77 rinviava poi ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che avrebbe dovuto essere adottato entro il 31 dicembre 1978 con il quale, dopo aver sentito le regioni interessate, sarebbero state individuate le zone di cui all’art. 59 citato.

In realtà, le disposizioni del DPR 616/77 non vennero attuate per molti anni, durante i quali le attività amministrative sulle zone oggetto di delega continuarono ad essere esercitate dall’Amministrazione marittima.

Qualche miglioramento fu dato dalla L. 31 dicembre 1982, n. 979, “Disposizioni per la difesa del mare” che all’art. 41 disponeva che le concessioni che erano state rilasciate/ rinnovate dall’Autorità marittima per usi turistico- ricreativi non potessero durare più di un anno, a meno che le funzioni cui erano destinate le aree non rispondessero a necessità di carattere pubblico, nel qual caso avrebbero potuto avere una durata superiore.

Sempre al fine di risolvere le problematiche conseguenti al ritardo nell’attuazione del decreto 616, fu emanato il D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito con modificazioni nella L. 4 dicembre 1993, n. 494 in base al quale, qualora il Governo non avesse compiuto quanto necessario per tradurre nella realtà la delega alle regioni delle funzioni amministrative ex art. 59, d. P. R. n.616/77

95M. Casanova, Il demanio marittimo, in A. Antonini (coordinato da), trattato breve

di diritto marittimo, vol .I, Principi, Soggetti, Beni, Attività, Milano 2007 ; M.L. Corbino, Il demanio marittimo. Nuovi profili funzionali, Milano, 1990

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entro il 31 dicembre 1995, le predette funzioni sarebbero comunque state trasferite alle regioni, alle quali sarebbe spettato il compito di rilasciare/ rinnovare le concessioni relative al demanio marittimo.

Sembrava che le cose finalmente fossero cambiate con l’emanazione, ai sensi dell’art. 59 cit., del d. P. C.m. del 21 dicembre 1995, “Identificazione delle aree demaniali marittime escluse dalla delega alle regioni ai sensi dell’art. 59 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616”. Il d. P. C.M. 21 dicembre 1995, all’art.1 stabilisce: “ le aree demaniali marittime, distinte per regione, identificate nell’elenco allegato, che fa parte integrante del …..decreto, sono escluse dalla delega di funzioni di cui all’art. 59 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in quanto riconosciute di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima.”

Con sentenza della Corte Costituzionale 18 luglio 1997, n. 242, è stata annullata la parte del predetto d. P. C.m. relativa alle aeree del demanio marittimo della regione Liguria in quanto, per la formazione del predetto D. P. C. m., non era stato richiesto il parere, obbligatorio ancorché non vincolante, della regione Liguria in merito.

Nonostante tutto quanto sopra, neppure questa volta si dava attuazione alla delega. Di talché, sempre al fine di rispettare la continuità dell’attività amministrativa, veniva emanato il D.L. 535/96, convertito con modificazioni nella L. 23 dicembre 1996, n. 647, in ottemperanza al quale le regioni, ancorché non fosse ancora stata perfezionata la delega delle funzioni ex art. 59 D. P. R. 616/1977, potevano giovarsi delle capitanerie di porto che avrebbero svolto le attività relative all’uso turistico-ricreativo del

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demanio marittimo in funzione dell’amministrazione regionale, stipulando convenzioni non retribuite con quello che, in allora, era il Ministero dei Trasporti e della Navigazione.

Intanto la L. 28 gennaio 1994, n. 84, aveva riformato completamente la normativa portuale, con un particolare

interesse per il settore del libero mercato.96

Erano stati eliminati i vecchi enti portuali , sostituiti dalle Autorità portuali con funzioni esclusivamente di diritto pubblico quali l’amministrazione, l’indirizzo e la vigilanza, mentre le attività commerciali proprie del libero mercato

erano demandate a soggetti privati.97

Nel corso degli anni la l. 84/94 ha subito molte modifiche, ultima, in ordine di tempo, la riforma delle Autorità portuali prevista dal D. lgs. 169/2016 correttiva e integrativa della L. 84/94.

Il D. lgs. 169/2016, su legge delega 124/2015, e le successive modifiche apportate dal D.lgs. 232/2017, era

finalizzato alla riorganizzazione, semplificazione e

razionalizzazione di porti, portando ad uno snellimento delle strutture, ad una semplificazione della burocrazia, e ad una razionalizzazione delle Autorità portuali, che hanno

preso il nome di Autorità di sistema98, ma per

l’approfondimento della materia si veda infra.

96 Xerri- A. Salamone, L’ordinamento giuridico dei porti italiano, Milano 1988;

Traina D.M., Porti, in M.P.Chiti - G. Greco, a cura di, Trattato di Diritto Amministrativo Europeo, II, Milano, 1999

97Cons. Stato, Sez. VI, 1 settembre 2000, n. 4656

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Il 15 marzo 1997 veniva promulgata la Legge n. 59, detta “Legge Bassanini” “ Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, che all’art 1, c.1, disponeva di: “ conferire alle regioni e agli enti locali, ai

sensi degli articoli 5, 118, 128 della Costituzione, funzioni e compiti amministrativi nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella presente legge” .

La predetta legge si proponeva non solo di trasferire alle regioni le funzioni amministrative relative alle aree demaniali senza le limitazioni previste dalla normativa antecedente, ma mirava anche all’eliminazione degli organi statali centrali e periferici che fino a quel momento avevano

gestito il demanio marittimo.99

Ai sensi del capo I della Legge Bassanini citata, veniva emanato il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che, all’art. 105 disponeva il trasferimento alle regioni e agli altri enti locali di tutte le funzioni, ad esclusione di quelle non attribuite alle Autorità portuali dalla L. 28 gennaio 1994, n. 84 o non mantenute espressamente dallo Stato. Lo stesso articolo, inoltre, conferiva alle regioni anche la possibilità di dare in concessione, per utilizzi diversi dal reperimento di fonti energetiche, beni facenti parte del demanio marittimo, di quello della navigazione interna e aree di mare territoriale, eccettuati i porti e le zone definite di “interesse nazionale” dall’articolo 105, D.P.C.m. 21/12/1995.

Invece l’art. 104 dello stesso decreto legislativo 112/1998, elenca, tassativamente, tutte le funzioni e gli

99G .Lami, C. Nebbia, C. Alberto, Le concessioni demaniali marittime, Ed. exeo,

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ambiti che rimanevano di competenza esclusiva degli organi amministrativi centrali.

Sono quindi riservate alle amministrazioni centrali: a) le attività volte ad usufruire del demanio marittimo e del mare territoriale al fine del reperimento di fonti energetiche; b) la catalogazione dei porti nonché delle attività di progettazione e realizzazione di opere di costruzione, manutenzione ecc. dei porti, delle strutture utilizzate nelle attività portuali, nonché dei bacini di carenaggio, fari e fanali tanto nei porti più importanti per i traffici interni e internazionali; c) la regolamentazione, e in particolare la cura della sicurezza, della navigazione commerciale, inclusa quella diportistica; d) la creazione e gestione, da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Comando Generale delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera, Autorità competente in materia, dei centri VTS - Vessel Traffic Service – con il compito di implementare la sicurezza della navigazione e la protezione ambientale. La competenza per l’esercizio dei centri VTS spetta al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera al quale sono demandati gli incombenti di: “ a) emanare le direttive nazionali in materia di controllo e monitoraggio del traffico marittimo; b) valutare la necessità di costituire, potenziare, accorpare, riqualificare o mantenere i VTS sul territorio dello Stato, proponendo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti gli atti a ciò necessari; c) esercitare il controllo sui centri di formazione VTS, dove viene qualificato il personale VTS e VTMIS del Corpo. L’Autorità VTS è l’Autorità locale cui è demandata la responsabilità della gestione, della conduzione e del coordinamento del centro VTS, nonché l’interazione con le navi partecipanti e della sicura ed efficiente erogazione dei servizi nell’area VTS”. ….I centri VTS possono essere

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portuali, costieri o una combinazione di entrambi. La loro organizzazione ed il lo equipaggiamento consente loro di fornire : servizio informazioni (INS), servizio di assistenza alla navigazione (NAS), servizio di organizzazione del traffico (TOS). “Ogni singola Autorità VTS è istituita con apposito Decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in cui sono individuate: 1) l’area di competenza; 2) il regime di partecipazione; 3) eventuali ulteriori

prescrizioni operative.”;100

e) il S.I.D., Sistema Informativo del Demanio Marittimo, realizzato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), che ha creato il Portale del Mare, cui si può accedere gratuitamente, “ inteso come strumento nazionale condiviso di supporto alla gestione amministrativa e fiscale del

demanio marittimo e come spazio comune per

l’interscambio, l’integrazione e il riuso dei dati, generati da diverse Amministrazioni e/o da diversi Paesi, afferenti l’utilizzo degli ambiti costieri nazionali e/o sovranazionali, e capaci nel loro insieme di contribuire nel loro insieme allo sviluppo di politiche, nazionali e/o sovranazionali, di gestione integrata delle coste coerenti con le direttive europee. La gestione del S.I.D. compete allo Stato e , per esso alla Divisione 2° della Direzione Generale per la vigilanza sulle Autorità portuali, le infrastrutture portuali e il trasporto marittimo e per vie d’acqua interne (DGVPTM) del

MIT, come da D.P.C.M. n 72/2014” 101;

f) la programmazione di un piano generale dei trasporti; g) le attività riguardanti i natanti adibiti a trasporto pubblico per l’intero Paese; h) la progettazione, per la quale è richiesto il

100WWW.guardiacostiera.gov.it/mezzi-e-tecnologie/mezzi-manuali-centri-vts

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presupposto dell’intesa con la regione interessata, di interporti, e relative intermodalità, di maggiore importanza per l’Italia e l’estero.

Successivamente, la L. 16 marzo 2001, n. 88 ha ancora aumentato le materie passate alle regioni, di talché allo Stato è rimasto il controllo dei porti adibiti alla difesa e di quelli di maggior rilievo economico sia sul piano nazionale che su quello internazionale, mentre le regioni, a partire da gennaio 2002, esercitano le funzioni relative ai porti che abbiano una particolare importanza economica regionale e interregionale ai quali, in seguito al parere n. 767/2002 del Consiglio di Stato, sono stati aggiunti anche i porti turistici.

Inoltre il D.lgs.112/98, prevedeva l’obbligo per le regioni di individuare le attività amministrative che, per la loro natura, dovessero essere esercitate dalle regioni stesse, delegando al tempo stesso tutte le altre attività agli enti locali.

Poiché il predetto obbligo era stato disatteso da alcune regioni, il D. lgs 30 marzo 1999, n. 96, conferiva ai comuni delle regioni inadempienti le funzioni elencate dall’art. 105 del D.l.gs 112/98.

Successivamente, la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, riformando il Titolo V della Costituzione, in particolare l’art.118, conferiva ai comuni tutte le funzioni amministrative, a meno che, proprio per garantirne l’organicità di esecuzione, le stesse, in attuazione dei “principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” non fossero state affidate a “ province, città metropolitane, regioni e Stato”.

Sempre a seguito della riforma del Titolo V, art.117, co. 3 Cost. è stata riconosciuta alle regioni competenza

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legislativa concorrente in tema di “porti e aeroporti civili,

grandi reti di trasporto e di navigazione” 102, mentre invece

sulle altre parti del demanio marittimo la riforma del titolo V Cost. non dispone.

Con la delega ricevuta, le regioni hanno cominciato a legiferare in materia di demanio marittimo. A poco a poco i beni costituenti il demanio marittimo sono divenuti oggetto di un decentramento non solo amministrativo ma anche legislativo. E’ questa la conseguenza dei cambiamenti funzionali e istituzionali degli enti territoriali, ai quali il

potere centrale ha via via ceduto le proprie prerogative in

materia. Gli enti territoriali sono subentrati allo Stato influenzando la disciplina legislativa di settori presi singolarmente, in modo tale da sostituirsi gradualmente alla normativa codicistica, resa obsoleta anche dai profondi cambiamenti sociali, economici, tecnologici.

I primi cambiamenti sono avvenuti nell’ambito dell’urbanistica. Già negli anni ’60 non pochi comuni affacciati sulle coste avevano tentato di trovare nella giurisprudenza indicazioni precise riguardo alla loro necessità di poter vigilare su lavori di edilizia svolti da privati su aree demaniali marittime.

Le richieste dei comuni ricevettero dapprima una

pronuncia favorevole del Consiglio di Stato,103 confortata da

una corrente dottrinaria anch’essa favorevole ai comuni, tuttavia la Suprema Corte mise temporaneamente fine alle

aspettative con una sentenza decisamente contraria.104

102Cfr. Corte Cost. 7 ottobre 2015, n. 378

103Cons. di Stato, Adunanza Plenaria, 1 febbraio 1963, n.1

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La questione era stata risolta dal legislatore che, con la L. 6 agosto 1967, n. 765, detta Legge Ponte, stabilì l’obbligatorietà della licenza edilizia su tutto il territorio comunale, quindi il centro abitato e le aree al di fuori dello stesso ma rientranti nell’ambito del comune. La legge fu

completata, dopo sei anni, da una circolare ministeriale105

che estendeva l’obbligatorietà della licenza edilizia anche all’interno delle aree portuali.

Sempre in materia urbanistica furono emanate anche leggi favorevoli alle regioni - abbiamo già visto gli undici decreti delegati del 1972 e le funzioni che con gli stessi venivano trasferite alle regioni in ottemperanza al dettato costituzionale dell’art. 117 allora in vigore - .

In materia urbanistica è passato alle regioni il compito di verificare - sentititi il comune e le amministrazioni coinvolte – se le costruzioni elevate dai privati su aree demaniali marittime fossero compatibili con il piano regolatore generale e il regolamento comunale. Oltre a ciò, fra i lavori pubblici per la regione sono stati inclusi quelli riguardanti i porti dalla seconda categoria in poi. Le due predette funzioni sono state confermate dal noto D.P.R. 616/77.

La delega per le attività turistiche alle regioni secondo la previsione dell’originario art. 117 Cost., individuando la specie del demanio marittimo “turistico- ricreativo, ha conferito alle regioni il compito di occuparsi di ampie porzioni delle coste, anche se il fatto comportava dei problemi di natura giuridica nei confronti della materia oggetto della delega, in quelli della decorrenza iniziale e in

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quelli della definizione delle zone sulle quali persisteva la competenza dello Stato.

Il tema dell’urbanistica riguarda anche l’ aspetto assunto dal piano regolatore portuale in seguito alla riforma del 1994, e la nuova posizione degli enti locali coinvolti.

Gli enti territoriali partecipano al Comitato portuale e alla nomina del presidente dell’Autorità portuale, e agli accordi che precedono le decisioni in merito al piano regolatore portuale, per il quale sussiste l’obbligo di conformità con le normative urbanistiche in vigore, cosa che costituisce un notevole riconoscimento per gli enti territoriali.

Riguardo alla disciplina della portualità, la riforma del

titolo V della Costituzione, specificando nell’art. 117 le materie oggetto della competenza legislativa esclusiva dello Stato, ha incluso nelle stesse una serie di situazioni