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IL NOVECENTO: ADEGUAMENTO DEI CONCETTI DI BENI DEMANIALI E USO PUBBLICO

LE CONCESSIONI DEL DEMANIO MARITTIMO

3.2 IL NOVECENTO: ADEGUAMENTO DEI CONCETTI DI BENI DEMANIALI E USO PUBBLICO

All’inizio del XX secolo i traffici commerciali marittimi si erano enormemente intensificati e, grazie anche all’introduzione delle navi a vapore, continuavano ad aumentare ulteriormente, di conseguenza anche tutte le

111 L. Acquarone, Le concessioni di porti e impianti portuali per il naviglio da

diporto, Scritti in onore di M. casanova, Milano, 1971; M. L. Corbino, Il demanio marittimo, Nuovi profili sostanziali, Milano, 1990

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operazioni relative alla movimentazione delle merci richiedevano metodologie più efficienti e veloci.

Erano comparse perciò delle nuove figure

imprenditoriali quali quelle degli spedizionieri. Si trattava di intermediari che si occupavano di far giungere a destinazione le merci che le navi scaricavano direttamente sulle banchine o su chiatte.

Si mostra qui l’insufficienza della normativa in vigore che nulla disponeva per regolamentare le tutte le attività che si svolgevano negli ambiti portuali, né per provvedere gli

impianti necessari ad attuarle.112

Il legislatore cercò una soluzione al problema con la L. 12 febbraio1903, n. 50 che istituiva il Consorzio autonomo del porto di Genova, lo scalo commerciale più importante del Paese, affinché il Consorzio curasse la gestione del porto

stesso.113

Formavano il Consorzio diversi enti pubblici quali lo Stato, i comuni e le province coinvolti, le Camere di Commercio di Genova, Milano e Torino nonché alcuni rappresentanti dei lavoratori portuali.

Il Consorzio aveva anche il compito di dirigere e controllare tutti i tipi di attività lavorativa svolti nell’ambito portuale, soprattutto per dirimere contrasti di natura

112F. D’Aniello, Porti, in Nss. dig.it.,XIII, 1966

113G. Piola, Porti, cit.:” la varietà di quanto deve esser compiuto acciò un grande

porto renda il massimo di utilità possibile, la diversità degli organi chiamati a provvedere ai servizi, mal comportano, se vuole che la maggior possibile utilità sia ottenuta, un’azione a uno stato discreto di ciascuna delle Amministrazioni interessate ad agire, esigono organi i quali, coordinando i vari servizi, diano unità alle svariate azioni.”

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sindacale come era avvenuto fra lavoratori e imprese di intermediazione.

Il Consorzio, tuttavia, non si limitò ad organizzare e implementare le varie funzioni portuali, ma estese l’obbligatorietà delle operazioni di pilotaggio e rimorchio anche al “ servizio obbligatorio in esclusiva, sia all’uso

delle maestranze portuali, sia allo sbarco e all’imbarco delle merci per il tramite di impresa intermediaria”114

In tale contesto si verificava dunque la <<concessione in esclusiva per l’espletamento delle attività portuali>> circoscritta solo ad alcuni prestatori d’opera e imprenditori, senza che la stessa trovasse legittimazione in alcuna norma dello Stato.

Tale lacuna fu colmata da una sentenza del Consiglio di Stato che definiva <<servizio pubblico>> le operazioni

portuali.115

Il commento del giurista L. Raggi alla citata sentenza , pur confermando la consolidata dottrina che vedeva nell’uso pubblico l’elemento caratterizzante la demanialità di un bene, non può tuttavia non evidenziare come tale indirizzo fosse stato svuotato di significato dall’evoluzione socio- economica dei tempi. Infatti l’autore afferma che i beni demaniali non possono più considerarsi tali qualora vengano utilizzati per un servizio pubblico: in tal caso infatti essi

passerebbero al patrimonio.116

114 A. Salamone, La figura del concessionario di beni e di servizi nel demanio

marittimo, costiero e portuale, Bologna, 2013

115Cons. di Stato, Sez. IV, 31 dicembre 1906, Bodoano et altri / Consorzio autonomo

del Porto di Genova, Foro it., 1907, III

116 L. Raggi, Facoltà regolamentari relativamente all’uso di cose patrimoniali

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Ormai la Pubblica Amministrazione era assurta ad una posizione predominante riguardo alla gerenza dei beni pubblici, di talché la caratteristica determinante per qualificare come <<pubblico>> un bene non risiede più nella sua destinazione all’utilizzo da parte della collettività bensì nel fatto di essere assoggettato ad un “potere giuridico di

diritto pubblico”117

In tal modo la qualità demaniale di un bene, anziché derivare dalla destinazione all’utilizzo da parte della collettività, proviene dall’uso che dello stesso ritiene di fare la pubblica amministrazione.

In tale contesto la concessione si connota come eccezione rispetto al consueto utilizzo pubblico.

La relazione fra pubblica amministrazione e beni pubblici veniva identificata nella proprietà, variamente declinata in rapporto ai soggetti pubblici titolari del diritto. Ne consegue che il diritto di proprietà degli enti pubblici sui beni del demanio viene qualificato come diritto di proprietà pubblica. Pertanto i privati, pur non essendo esclusi dalla possibilità di esercitare un diritto di godimento sui beni demaniali, potevano esercitarlo esclusivamente qualora il medesimo fosse stato loro conferito dalla pubblica amministrazione per mezzo degli atti che le sono propri, quali le concessioni. Questa è la conferma che le concessioni rappresentano l’eccezione rispetto alla consueta finalità pubblica dei beni, eccezione permessa dal libero utilizzo degli stessi da parte della pubblica amministrazione.

Il concetto di proprietà pubblica del demanio era tuttavia destinato ad ulteriori mutamenti. La letteratura del ventennio fascista traeva la qualifica di pubblico per il diritto di proprietà dei beni del demanio dall’essenza

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pubblicistica delle relazioni, cioè le funzioni di polizia e tutela amministrativa, fra l’ente proprietario e i terzi.

La proprietà pubblica, che tale era solo nel suo aspetto esterno di relazione con i terzi, mentre il rapporto interno fra ente pubblico proprietario e il bene rimaneva quello jure privatorum, costituiva la “ condizione giuridico formale dei

beni” dalla quale derivava la loro demanialità.118

La dottrina, nel decennio fra il 1930 e il 1940, continuava l’elaborazione del concetto di proprietà pubblica. Per i giuristi dell’epoca i beni pubblici avevano perduto l’aspetto caratterizzante dell’adeguatezza al soddisfacimento degli interessi della comunità, ed avevano assunto quello della strumentalità rispetto a fini particolari propri dell’ente titolare del diritto di proprietà, in virtù del potere di disposizione correlato al detto diritto.

Il fatto che un bene fosse indispensabile affinché un ente pubblico svolgesse la propria funzione era ritenuto condizione necessaria per la demanialità del bene stesso.

E. Guicciardi definiva il bene demaniale : “bene

immobile, appartenente ad un ente pubblico territoriale, e necessario ad una funzione esclusiva dell’ente stesso, che ad essa lo abbia destinato”119

Giusta quanto visto, l’istituto delle concessioni, in questo

fase della sua esistenza, era caratterizzato dalla

discrezionalità con cui agiva l’Autorità concedente. Tale discrezionalità era, come sempre, condizionata dal vantaggio che la collettività avrebbe ricevuto dal bene

118 G. Zanobini, Il concetto della proprietà pubblica e i requisiti giuridici della

demanialità, in Studi senesi, in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955

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oggetto della concessione, o dal fatto che sussistessero altri benefici pubblici collegati al bene medesimo.

Il canone conferito dal concessionario si configurava, da un lato, come presa d’atto del diritto di proprietà che l’ente pubblico esercitava sul bene, dall’altro come conferimento spettante per l’utilizzo del bene.

L’istituto prevedeva anche la revoca della concessione nel caso in cui l’Autorità ravvisasse un nuovo interesse pubblico al bene decidendo quindi di revocare la concessione, né era ammessa un’eventuale domanda di risarcimento da parte del concessionario.