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Design for Manufacturing e Design for Assembly

Capitolo 1. Le fasi del processo di sviluppo di nuovi prodott

1.4 La progettazione di dettaglio

1.4.1 Design for Manufacturing e Design for Assembly

La metodologia, denominata “Design for Manufacturing”, assume un ruolo fondamentale durante lo svolgimento del processo di progettazione di sistema e di dettaglio in quanto garantisce il tempestivo trasferimento delle informazioni riguardanti le esigenze produttive alle funzioni impegnate nello sviluppo del prodotto. L’utilizzo di tale tecnica consente un rilevante risparmio in termini di tempo e denaro, nonché un evidente incremento della relativa qualità del prodotto, richiedendo altresì una stretta collaborazione tra le diverse aree aziendali16. È proprio questo l’obiettivo del DFM17:

mantenere elevato il livello qualitativo dell’articolo che si sta progettando, diminuendo al contempo, i costi legati alla sua elaborazione e alla sua futura realizzazione. Le spese di produzione rappresentano, infatti, uno degli aspetti da tenere in maggiore considerazione, visto il loro ragguardevole impatto sui rendimenti economici dell’impresa. Nonostante questa metodologia dimostri la sua massima utilità nel corso degli step relativi alla progettazione di sistema e di dettaglio, essa si svolge comunque anche in tutte le altre fasi, poiché i costi di produzione sono oggetto di continue analisi e valutazioni durante l’intero ciclo di sviluppo.

Per un efficace impiego del DFM il team dovrebbe eseguire, in sequenza, alcuni essenziali passaggi. Il primo passo da compiere prevede di stimare le future spese complessive di produzione del prodotto in fase di progettazione. I costi che devono essere presi in esame riguardano l’acquisto delle materie prime e di alcune componenti dai fornitori esterni, la loro lavorazione, il loro assemblaggio, gli oneri relativi al consumo energetico, all’acquisizione e alla manutenzione delle attrezzature e, infine, quelli connessi allo smaltimento degli scarti. In via generale i costi di produzione si possono suddividere in fissi e variabili o, in alternativa, all’interno di tre categorie: i costi delle componenti, che si riferiscono all’acquisto o alla realizzazione e lavorazione interna dei diversi elementi; le spese di assemblaggio, relative al costo del lavoro e degli strumenti impiegati per il montaggio; gli oneri generali, che racchiudono i costi di supporto alla produzione e quelli aziendali indiretti. Questi ultimi (aziendali indiretti) riguardano le spese che consentono all’impresa di operare, ma che tuttavia non è possibile imputare specificamente alla progettazione o alla realizzazione di un

16 SCHILLING MELISSA A., IZZO FRANCESCO, cit., p. 515 e ss. 17 Abbreviazione di Design for Manufacturing.

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determinato articolo. Per tale motivo questa tipologia di oneri non va tenuta in considerazione nell’impiego del DFM. Constatata l’assoluta importanza delle informazioni raccolte durante il processo di stima dei costi, è fondamentale organizzare e strutturare opportunamente questi dati. Un possibile espediente utilizzato spesso dalle imprese a tale scopo prevede di inserire, all’interno della distinta base, ovvero l’elenco contenente i diversi elementi che andranno a formare il prodotto finale, le spese di produzione, suddivise in fisse e variabili, attinenti a ciascuna componente.

Come accennato in precedenza, la prima categoria di costi è rappresentata da quelli riferiti alle varie parti che costituiscono il prodotto, le quali si possono acquistare esternamente o costruire in azienda. Per quegli elementi definiti “standard”, che non hanno cioè particolari caratteri di unicità, la previsione dei costi a essi relativi può avvenire in due modalità: attraverso la loro comparazione con le spese sostenute per comprare o realizzare internamente componenti analoghe, oppure tramite la richiesta di preventivi ai fornitori, esplicitando le quantità da acquisire. Per quanto concerne invece le parti definite “personalizzate”, che vengono progettate specificamente per il prodotto in questione, è necessario valutare il costo connesso all’acquisto delle materie prime, anch’esso stimato in base alla loro quantità, nonché le spese riguardanti le persone impiegate nella lavorazione di tali materiali e le attrezzature utilizzate. Con riferimento alla categoria delle spese di assemblaggio, la previsione degli oneri è basata sulla somma dei tempi stimati per lo svolgimento di tale attività, moltiplicata per il costo del lavoro, a cui vanno aggiunte le spese legate all’uso degli strumenti di montaggio.

Per quanto riguarda infine i costi generali di supporto alla produzione, la loro valutazione comporta non poche problematiche, viste le difficoltà nel ricondurli a una particolare linea di prodotto. A tal fine solitamente le imprese possono determinare e prevedere l’imputazione di questa tipologia di spese servendosi dei cosiddetti cost

driver, ovvero dei particolari parametri rappresentativi dell’attività produttiva (come ad

esempio il numero di ore di utilizzazione di un macchinario per la realizzazione di un prodotto), sulla base dei quali è possibile effettuare un’accettabile allocazione. Tuttavia, poiché tale procedimento non sempre consente di eseguire una corretta attribuzione, alcune imprese hanno deciso di implementare un metodo alternativo, definito “ABC”, il quale permette di catturare la complessità legata alla fabbricazione dell’articolo, definendo molteplici cost driver e assegnando i vari oneri generali a quelli che meglio li

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rappresentano, sulla base dei quali, è poi possibile compiere una più accurata allocazione e stima.

Una volta terminato il processo di previsione delle spese di produzione, si può dare avvio al secondo step della metodologia DFM, il cui obiettivo è quello di ridurre il più possibile i costi calcolati in riferimento alle componenti del prodotto. Capita spesso che la realizzazione di un elemento risulti molto onerosa a causa della mancata comprensione e conoscenza da parte di chi lavora alla progettazione dell’articolo, dei vincoli riguardanti la fase di produzione e dei fattori che li determinano. In alcuni di questi casi è possibile procedere alla riprogettazione di alcune componenti, permettendo così la semplificazione delle attività da svolgere nel corso del ciclo produttivo e diminuendone al contempo i relativi costi, senza alterare le caratteristiche funzionali e le complessive prestazioni dei vari elementi. Tuttavia ciò può accadere solo se avviene un costante scambio di informazioni dove vengono esplicitate tutte le potenziali problematiche relative alla fabbricazione del prodotto tra la funzione addetta alla produzione delle parti e quella impegnata alla loro elaborazione. Ridisegnare le componenti per facilitare lo svolgimento del processo produttivo e per diminuirne i costi, può successivamente portare a un incremento dei volumi realizzati e a una crescita del livello di esperienza aziendale in campo progettuale. Tali fattori possono a loro volta favorire la standardizzazione di alcuni elementi e il raggiungimento di importanti economie di scala con evidenti ripercussioni positive non solo sotto il profilo economico, ma anche dal punto di vista qualitativo e delle performance18.

Il terzo step della metodologia DFM è orientato alla riduzione dei costi relativi all’assemblaggio delle diverse parti, per il cui conseguimento può risultare utile impiegare un’altra particolare tecnica definita “Design for Assembly”. L’analisi tempestiva dei vincoli e delle previste spese e tempistiche riguardanti l’attività di assemblaggio, effettuata durante la fase di progettazione di sistema e di dettaglio, può portare il team di sviluppo a rivedere alcune caratteristiche del prodotto. Come già evidenziato in precedenza, tali modifiche possono, a loro volta, condurre a una semplificazione del prodotto stesso con un conseguente miglioramento dell’efficienza del processo di montaggio e una generale diminuzione degli oneri ad esso associati. La quantità totale di componenti, la facilità e il numero di operazioni che riguardano la loro manipolazione e

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il loro inserimento e fissaggio rappresentano quegli aspetti che maggiormente impattano sui costi di assemblaggio.

I contributi alla letteratura relativi al DFA19 si sono rivelati molteplici a partire dalla

metà degli anni ottanta, ma i veri pionieri di tale metodologia sono stati Geoffrey Boothroyd e Peter Dewhurst. I due professori universitari hanno definito i principi basilari da seguire nel corso della progettazione per tentare di diminuire la complessità riguardante l’attività di assemblaggio. Le primarie linee guida stabiliscono di ridurre il numero e la varietà delle parti che formano il prodotto, nonché di progettarle in modo tale che, durante il montaggio, si allineino automaticamente senza possibilità di installarle erroneamente o il bisogno di riposizionarle e riorientarle20. I due esperti

hanno inoltre sviluppato un indice di efficienza di assemblaggio, il quale pone a rapporto il tempo teorico minimo di assemblaggio con il tempo previsto per l’assemblaggio del prodotto oggetto di analisi. Il numeratore è ricavabile dalla moltiplicazione tra il numero minimo teorico di parti di cui potrebbe essere composto il prodotto e il tempo minimo teorico per manipolare ciascuna componente (stabilito a priori in tre secondi). Il calcolo di tale indice consente di valutare il potenziale accorpamento di quegli elementi che non è strettamente necessario tenere separati. L’integrazione di più parti può permettere il conseguimento di importanti benefici. Innanzitutto la loro realizzazione fisica risulta meno onerosa rispetto alla fabbricazione di più componenti. Inoltre viene di molto facilitato il compito degli addetti alla fase di montaggio, poiché essi eseguono una quantità inferiore di operazioni. Tuttavia, come evidenziato anche nei capitoli precedenti, l’integrazione di più elementi non si rivela sempre la scelta migliore. È dunque fondamentale valutare con attenzione anche tutti gli altri fattori che possono influenzare la futura realizzazione del prodotto.

Il quarto passaggio da compiere è rappresentato dal tentativo di diminuire i costi generali di supporto alla produzione che risultano condivisi dalle diverse linee di prodotto. Tra questi rientrano, ad esempio, le spese relative alla movimentazione dei materiali, al controllo della qualità, alla manutenzione delle attrezzature, ecc… . Anche in questo caso un possibile espediente per ridurre tali costi prevede di minimizzare la complessità legata alla varietà che caratterizza il generale processo di trasformazione

19 Abbreviazione di Design for Assembly.

20 TSAI-C. KUO, SAMUEL H. HUANG, HONG-C. ZHANG, Design for manufacture and design for “X”: concepts, applications and perspectives, Computers & Industrial Engineering, Pergamon, 2001.

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delle materie prime nel prodotto finale. La complessiva gestione di un elevato numero di fornitori, componenti, lavoratori e processi impatta infatti pesantemente sui conti aziendali. Questi oneri derivano in maniera diretta dalle decisioni prese in fase di progettazione, che possono dunque essere riviste per agevolare tale gestione e per migliorare i conseguenti risultati economici.

La generale semplificazione, indotta sul ciclo produttivo dalle scelte e dalle azioni correttive effettuate nel corso della progettazione, consente infine una drastica limitazione degli errori commessi durante lo svolgimento delle attività di realizzazione e assemblaggio del prodotto.

L’ultimo step della metodologia in questione prevede di valutare l’impatto esercitato dalle decisioni prese nelle diverse fasi sino ad ora esaminate, sulle tempistiche e sui costi di sviluppo del prodotto, nonché sul suo livello qualitativo. Tali fattori assumono un ruolo essenziale per il successo dell’impresa e non vanno dunque sacrificati per minimizzare gli oneri relativi al processo produttivo. È dunque necessario considerarli attentamente e, nel caso risultino compromessi, rivedere le disposizioni stabilite durante la progettazione per tentare di trovare il giusto equilibrio21.