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Capitolo 3: Analisi avanzate

3.3. Analisi off-line della conversione del char in DT

3.3.2. Prove in TGA

3.3.2.1. Determinazione fattori di ossidazione

La prima fase della campagna sperimentale è stata dedicata all’analisi di char ottenuti dalla

devolatilizzazione di biomasse in IPFR e dei relativi residui di ossidazione, anch’essa avvenuta nell’IPFR, al fine di calcolarne il fattore di conversione al variare dei parametri operativi.

Materiali

Le biomasse sotto studio sono due:

 Black pellets, prodotti nel 2011 in Polonia, sigla IFRF RR1 (ignota la o le specie arboree di origine);

 Semi di palma torrefatti al 30% (qualsiasi cosa voglia dire), sigla IFRF RR4 (ignota l’origine). Come purtroppo è evidente, le informazioni disponibili sulle due biomasse sono scarne in maniera imbarazzante; tuttavia lo scopo delle prove è validare un metodo (l’ATM) e le relative procedure, non caratterizzare le risorse a disposizione, perciò la cosa non ha avuto alcun impatto sul lavoro.

La biomassa è stata macinata e vagliata, quindi è stato selezionato il campione nel range 62÷105 µm (nominali, si veda il § 2.3.3). Il char in entrambi i casi è stato ottenuto devolatilizzando la biomassa ad una T nominale di 900°C in N2.

A questo punto il char è stato macinato, vagliato ed è stato selezionato il campione nel range 62÷105 µm (nominali, si veda il § 2.3.3); parte di esso è stato rinviato all’IPFR ed ossidato ad una T nominale di 900°C al variare del tempo di residenza (100, 300 e 600 ms) e della concentrazione di O2 (3, 6 e 9%).

Procedura sperimentale

71 1. flusso primario: aria;

2. salto da Tamb a 30/45°C;

3. rampa di 20°C/min fino a 900°C (cioè alla stessa T a cui sono stati ricavati char e residui); 4. isoterma di 10 min a 900°C.

I crogioli utilizzati sono d’allumina, perché reggono temperature intorno ai 1000°C. La procedura seguita durante gli esperimenti è stata la seguente:

1. accertarsi che il crogiolo sia pulito; se non lo è, sciacquarlo con acetone (ci si può aiutare con un cotton-fioc), quindi rimuovere quest’ultimo esponendo il crogiolo ad una fiamma per pochi secondi;

2. posizionare il crogiolo, vuoto, sul piattino, e premere load: la macchina caricherà il piattino sulla bilancia e chiuderà la fornace;

3. attendere che il peso rilevato sia stabile, e avviare la tara; conclusa l’operazione, la fornace si riaprirà da sé e scaricherà il piattino;

4. porre un campione di pochi milligrammi nel crogiolo, e premere load; 5. attendere che il peso rilevato sia stabile, e avviare il test;

6. conclusa la prova, lasciar raffreddare a Tamb, quindi premere unload: la fornace si aprirà e scaricherà

il piattino;

7. valutare visivamente se vi siano tracce di incombusti nel campione, quindi buttarlo via (ci si può aiutare con un cotton-fioc);

8. ripulire il crogiolo seguendo il punto 1.

I dati ottenuti (un esempio è mostrato in Figura 33) non sono ancora definitivi, perché devono esser decurtati del contenuto del “bianco”: a causa del cambio di temperatura, infatti, le forze di galleggiamento esercitate dai due flussi d’aria sul piattino mutano durante la prova; all’atto pratico, ciò che succede è che durante la prova aumenta la spinta verso il basso, come se il peso del crogiolo vuoto aumentasse (un esempio è mostrato in Figura 34). Di ciò è necessario tener conto svolgendo prove in bianco nelle stesse condizioni dei test.

A ciò va aggiunta una certa “deriva” dell’elettronica della macchina, che fa sì che l’interferenza della stessa muti nel corso del tempo; ciò obbliga a ripetere ad ogni test la tara e rende opportuno svolgere

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Figura 33: esempio di dati ottenuti dal TGA (caso del residuo 492 del char RR1) e visualizzabili in Universal Analysis.

Figura 34: esempio di prova in bianco.

La sottrazione del “bianco” può esser gestita agevolmente dal software: dopo aver aperto il file relativo alla prova in bianco, si apre quello associato al test, quindi si va su Tools Baseline File e si seleziona il bianco; nel riquadro che compare è essenziale indicare che la base di confronto sia la temperatura (e non il tempo). Fatto ciò, i dati possono esser esportati in Microsoft Excel per esser elaborati andando su View Data Table Spreadsheet: la finestra che si apre permette di selezionare l’intervallo temporale e la scansione temporale desiderati (se si esportano tutti i dati, la scansione è di 0,01 min, ovvero 0,6 s).

73 Interpretazione delle curve

Consideriamo le seguenti curve, rappresentative dei 4 tipi di campioni analizzati: char RR1, char RR4 e relativi residui (ovviamente c’è qualche differenza tra i risultati di un residuo e quelli di un altro, ma non tali da stravolgere le osservazioni che verranno fatte).

Figura 35: esempi di curve, funzione della temperatura, ottenute ossidando il char RR4 (in alto a sx), il char RR1 (in alto a dx), un residuo del char RR4 (in basso a sx) e uno del char RR1 (in basso a dx).

Alcune tendenze sono comuni a tutti i tipi di campioni:

 All’inizio (sotto i 200°C) si ha un debole calo di peso, dovuto alla perdita della poca (si tratta infatti di prodotti di processo, teoricamente anidri) umidità assorbita dal campione;

 dopo un tratto stazionario, si ha una repentina perdita di massa, associata ad un picco di DTG che può presentare una gobba iniziale;

 dopo un secondo tratto stazionario, la massa cala nuovamente (formando uno scalino nella curva verde) sopra i 600°C, anche se di poco;

 superati i 700°C, il peso non evolve più.

Tenuto conto del fatto che si tratta di combustibili solidi che hanno attraversato un DT una (nel caso dei char) o due volte (nel caso dei residui), la reazione principale non può che esser l’ossidazione del carbonio fisso residuo, a cui quindi è associato il picco principale della DTG.

La gobba iniziale associata al picco principale varia notevolmente in entità da un campione all’altro; si possono fare le seguenti considerazioni:

 il picco cala passando dal char al residuo e dall’RR1 all’RR4;

 i ridotti tempi di residenza nell’IPFR possono portare ad una devolatilizzazione incompleta;

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E’ ragionevole pertanto ipotizzare che la gobba sia associata alla combustione dei volatili residui, infatti il loro contenuto è sicuramente inferiore nel caso dei residui, e ci si aspetta lo sia anche nel caso dell’RR4, pur tenendo conto del fatto che si parla di biomasse diverse. Per averne la conferma è stato condotto un test di devolatilizzazione (gas primario: N2) sul char RR4, mantenendo tutti gli altri parametri operativi (peso del

campione compreso):

Figura 36: confronto tra combustione e pirolisi del char RR4 in TGA.

Com’era lecito aspettarsi, nel caso del test in azoto compare solo un debole picco di DTG, che è chiaramente connesso alla gobba del caso in aria; il disallineamento rispetto alla temperatura è quasi certamente dovuto alla diversa reattività del char in combustione e in devolatilizzazione. Volendo provare a traslare una delle due curve finché i massimi relativi non siano allineati, ecco cosa si ottiene:

Figura 37: confronto tra combustione e pirolisi del char RR4 in TGA corretto per tener conto dei diversi tempi di reazione.

-0,1 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 230 280 330 380 430 480 530 580 D TG [% C] Temperatura [°C]

char RR4

aria azoto -0,1 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 D TG [% C] aria azoto (trasl.) differenza

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Il risultato, tenuto conto del fatto che si tratta di singole prove, e quindi di curve sottoposte ad un certo margine d’errore, si può ritenere convincente.

Il picco isolato che compare tra 600 e 700°C è dovuto alla dissociazione dei carbonati (di cui si è già accennato al § 2.3.4): in questa finestra di temperature avviene infatti la reazione endotermica

La stazionarietà del peso oltre i 700°C (confermata dalle curve in funzione del tempo) è un buon segno, significa infatti che le ceneri ricavate dopo 10 minuti a 900°C sono verosimilmente un tracciante affidabile per quanto riguarda la stabilità termica, almeno nel caso dell’ossidazione del char a 900°C nominali. Calcolo dei fattori di ossidazione

Il primo passo è esportare i dati in Excel, come sempre dopo aver sottratto il contenuto del bianco; ci interessa determinare il contenuto in ceneri su base secca, quindi è necessario determinare sia il peso delle ceneri che quello della sostanza anidra. Dato che tali “stati” del campione sono di solito associati a tratti orizzontali ben definiti, piuttosto che selezionare un singolo valore è opportuno mediare su tutto il tratto, così da disporre di un dato più affidabile. Il procedimento è analogo a quello già visto per la proximate analysis (2.2.1): tornati su Universal Analysis, determiniamo visivamente i punti di inizio e fine plateau e vi clicchiamo col destro del mouse, ottenendo il tempo di inizio e fine fenomeno. Tornati su Excel, mediamo sui due intervalli, ottenendo i due pesi; il calcolo a questo punto è banale:

E’ importante determinare più volte il contenuto in ceneri del char, in quanto rappresenta una costante della formula di conversione al variare del residuo. Purtroppo, avendo a disposizione quantità scarse sia di char che soprattutto dei residui (nella migliore delle ipotesi 5÷6 g), e dovendo destinare parte di esse ad altre prove, il test è stato ripetuto poche volte nel caso del char e pochissime o per niente nel caso dei residui.

In particolare, poiché i valori relativi al singolo residuo sono troppo pochi per esser trattati statisticamente, invece di calcolare l’ medio e su questo valutare , ci si è dovuti limitare a calcolare per ciascun valore di , nonostante ciò sia chiaramente sconsigliabile dal punto di vista della propagazione dell’errore. I risultati sono mostrati in Figura 38 e Figura 39; per quanto riguarda i char, si veda la Tabella 6:

Tabella 6: analisi statistica della determinazione del contenuto di ceneri nel char.

char media ceneri [%] [% media] ̅ [% media]

RR1 11,29 10,11 5,05

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Figura 38: fattori di conversione della materia organica del char RR1 in seguito all’ossidazione a 900°C in IPFR, al variare del

tempo di residenza; le curve sono parametrate secondo la concentrazione di O2 nell’atmosfera interna al DT.

Figura 39: fattori di conversione della materia organica del char RR4 in seguito all’ossidazione a 900°C in IPFR, al variare del

tempo di residenza; le curve sono parametrate secondo la concentrazione di O2 nell’atmosfera interna al DT.

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 0 100 200 300 400 500 600 700 Fatt o re d i o ssi d azi o n e X c [% ] tempo di residenza [ms]

conversione del char RR1

3% O2 6% O2 9%O2 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 0 100 200 300 400 500 600 700 Fatt o re d i o ssi d azi o n e X c [% ] tempo di residenza [ms]

conversione del char RR4

3%O2 6% O2 9% O2

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Premesso che il trend atteso è un aumento iniziale del fattore di conversione della massa organica all’aumentare della concentrazione di O2 seguito da una sostanziale stazionarietà (coincidente con la

completa combustione), si può osservare quanto segue:

 il char RR1 mostra dei risultati plausibili, nonostante vi sia una certa dispersione dei valori per il caso al 6% di O2 ai tempi più bassi.

 L’RR4 invece mostra una forte dispersione dei dati relativi al caso al 3% di O2 a 100 e 300 ms, inoltre

una rapida osservazione qualitativa dell’andamento dei casi al 6 e al 9% di O2 mostra un forte

scostamento dal trend atteso.

 In entrambi i casi è evidente che non è delineato alcun plateau, segno che si sta studiando un intervallo di condizioni tale per cui l’ossidazione del char non fa in tempo ad esaurirsi, come del resto confermato dai valori calcolati per : solo per l’RR1 a 600 ms e 6-9% di O2 si può ipotizzare la

reazione praticamente conclusa.

La mancata delineazione del plateau di per sé non è un problema, è solo la conseguenza dei parametri di lavoro adottati, l’inaffidabilità di parte dei dati raccolti sì: è necessaria pertanto un’approfondita analisi delle possibili cause del fenomeno. I fattori in gioco sono molti, e concernono la natura del processo, le caratteristiche dell’IPFR e la procedura di analisi dei residui. Prima di analizzare le possibili cause tecnico/fisiche, conviene valutare la propagazione dell’errore dovuta alla semplice applicazione delle formule.

Propagazione dell’errore nei calcoli di conversione

ed non sono affatto interessati da incertezze indipendenti, infatti entrambi sono stati misurati servendosi dello stesso strumento, il TGA; si ha perciò:

| | | |

dove | | e | | sono i coefficienti di propagazione rispettivamente di e .

Così facendo abbiamo implicitamente ricompreso nel calcolo l’incertezza associata alle misure della termobilancia, che in ogni caso sono trascurabili rispetto ad altre fonti d’errore.

| | | |

Consideriamo i dati raccolti per il char RR4 ed assumiamo dei valori plausibili per il residuo: ̅ ovvero si considera il contenuto medio di ceneri nel char;

̅ coerentemente, come incertezza si considera l’errore standard;

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come incertezza si considera la deviazione standard (assunta pari al 10%), trattandosi di un singolo valore.

| |

| |

Nell’esempio visto quindi, del tutto plausibile, incertezze sul contenuto in ceneri di char e residuo generico rispettivamente del 2% e del 10% si sono tradotte in un’incertezza sul fattore di ossidazione del 33%. Come suggeritoal § 3.3.1, se possibile è bene verificare con metodi alternativi la bontà dei calcoli:

 fissato e supposto privo di incertezza, è stato calcolato l’ dei singoli valori di misurati, quindi ne è stato valutato l’errore standard: è una procedura illogica ma qui ha il solo scopo di dare una stima alternativa di | | . Si è ottenuto ̅ , cioè lo stesso risultato.

 Nel caso di | | purtroppo non è possibile disporre di stime alternative, a causa della non rilevanza statistica delle prove sui singoli residui.

Come si nota dalle formule, i due coefficienti di propagazione dipendono dall’entità del contenuto in ceneri di char e residui; i seguenti grafici mostrano come variano al variare di e :

Figura 40: coefficiente di propagazione di in funzione di x0 e parametrato secondo x1.

0 5 10 15 20 25 0,03 0,06 0,09 0,12 0,15 0,18 0,21 0,24 X0

coeff. di propagazione di dX0

X1 = 5% X1 = 20% X1 = 35% X1 = 50% X1 = 65% X1 = 80%

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Si deduce che, per valori di superiori al 25÷30 %, | | è approssimativamente costante al variare di , e comunque inferiore a 3,5. Addirittura, sopra esso diventa minore di 1, cioè l'incertezza viene smorzata anziché propagarsi.

Figura 41: coefficiente di propagazione di in funzione di x1 e parametrato secondo x0.

E’ evidente che | | cala drasticamente all’aumentare di , mentre per valori bassi di cresce notevolmente all’aumentare di .

Conclusioni

L’esempio numerico ha dimostrato che il semplice calcolo di può amplificare incertezze tutto sommato accettabili al punto da rendere inutile il risultato. Dallo studio della propagazione di e si deduce che è bene avere a che fare con residui di char poco carboniosi, ovvero molto ossidati: residui ridotti praticamente in cenere darebbero addirittura coefficienti di propagazione minori di 1, ovvero l’incertezza verrebbe smorzata dal calcolo.

La propagazione degli errori giustifica in parte la dispersione dei dati raccolti per i tempi di residenza minori: partendo da incertezze non trascurabili esse sono inevitabilmente amplificate. Resta ovviamente da spiegare perché in partenza si assuma un errore grosso su : il valore di non può esser valutato statisticamente, andrà quindi stimato empiricamente.

0 20 40 60 80 100 120 140 0,05 0,175 0,3 0,425 0,55 0,675 0,8 X1

coeff. di propagazione di dX1

X0 = 3% X0 = 7,5% X0 = 12% X0 = 21% X0 = 25%

80