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Capitolo 4: Correlazioni e modelli predittivi

4.2. Analisi biochimica

4.2.1. Resoconto bibliografico

4.2.1.3. Modelli predittivi più evoluti

La conseguenza delle precedenti osservazioni è che, se si vuole tentare ancora di sfruttare la relazione (quale che sia) tra la composizione chimica di una biomassa e le relative rese di processo, è opportuno ricorrere a modelli cinetici: ovviamente questo spalanca un mondo di possibili soluzioni, dato che è

virtualmente possibile complicarli all’infinito. Almeno nel caso di bassi heating rates (fino a 100°C/min, per intendersi si tratta dell’ambito coperto dalla TGA) si vedrà che è possibile affidarsi a soluzioni

ragionevolmente semplici.

Di seguito saranno analizzati alcuni esempi significativi, presentati in ordine di complessità crescente. Modelli one-step: il processo è simulato sulla base di una semplice equazione:

Dove è il peso del campione (funzione del tempo), è la massa finale, mentre è la costante cinetica, espressa in forma di Arrhenius;

è l’ordine dell’equazione; nel caso sia , si parla di SFOR (Single First Order Reaction).

Una simile equazione non è sufficiente a predire, ad es., la resa in gas leggeri, tar e char, ma in teoria può ridare l’evoluzione del rilascio di volatili (quindi gas + tar) e di conseguenza la resa in char.

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Nel caso più semplice, quello della SFOR, Il problema sta nel ricavare i due parametri dell’equazione, note le condizioni di processo, in particolare l’HR; ovviamente, la relazione con la CHL è tutt’altro che lineare, ecco perché L’Ing. Carlo Grassi propose, nel suo lavoro di tesi [61], l’uso di reti neurali.

Per una descrizione approfondita delle reti neurali si rimanda all’appendice B: semplificando al massimo, le si può vedere come dei modelli di regressione non lineare, con un numero di input e output pari

rispettivamente al numero di variabili indipendenti e dipendenti.

Scendendo in dettaglio, Grassi ha concepito un modello con 2 reti neurali in parallelo, una allenata sui bassi HRs, l’altra sugli alti; ciascuna riceve in ingresso al più 7 input:

- % di cellulosa, emicellulosa e lignina; - dimensioni del campione (in µm);

- i seguenti parametri operativi: T, HR e tempo di residenza.

L’output è costituito dalla stima di e per una data biomassa e determinate condizioni di processo. Coi dati a disposizione, Grassi ha allenato la rete a predire solo , ottenendo risultati incoraggianti (l’errore massimo è stato, in fase di test, del 16%).

Hu et al. [62] hanno testato il modello one-step, sia SFOR che per : è stata ricavata tramite una legge empirica, ed col metodo dei minimi quadrati partendo dai dati ottenuti dalle prove in TGA: entrambe le soluzioni non ricalcano efficacemente i dati sperimentali (Figura 73 e Figura 74), ma anche in questo caso i risultati si possono ritenere incoraggianti (l’errore si aggira tra il 9 e il 13%, in linea con quanto riportato da Grassi).

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Figura 73: risultati del modello one-step per n=1 ed n ottimale [62].

Modelli a 3 SFOR indipendenti: il passo successivo allo SFOR è l’adozione di un modello a 3 equazioni indipendenti del primo ordine, che rientra nella tipologia DAEP (Distribution Activation Parallel Reaction); esso rappresenta la scelta naturale, in quanto sposa in pieno l’ipotesi sommativa laddove le 3 equazioni siano associate alle cinetiche rispettivamente di cellulosa, emicellulosa, lignina. Sono diversi gli studi in proposito.

Hu et al. [62] han testato tale modello dopo aver ricavato i parametri cinetici tramite regressione ai minimi quadrati dai dati sulle biomasse: si sono quindi ispirati all’ipotesi sommativa per la scelta del numero di equazioni, ma i tre pseudo-componenti sono solo interpretati come cellulosa, emicellulosa e lignina per comodità di ragionamento, non coincidendo esattamente.

I risultati sono ottimi (se ne ha un esempio in Figura 74): l’errore è tra il 3 e il 9%; essi sono migliorabili, ma gli autori ritengono che, dal punto di vista pratico, questo modello abbia il miglior rapporto costi/benefici. Grønli et al. [63] propongono la stessa soluzione per biomasse con un ridotto contenuto in estrattivi.

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Figura 74: previsioni per la paglia di cotone: il modello I è quello a 3 SFOR, il II quello a 3 equazioni con n ottimale [62].

Orfao et al. [56] hanno elaborato una soluzione un po’ più articolata: le prime 2 equazioni simulano la devolatilizzazione primaria rispettivamente di cellulosa ed emicellulosa, la terza simula la devolatilizzazione globale della lignina e quella secondaria degli altri due composti. I parametri cinetici per la prima equazione sono quelli rilevati sperimentalmente per un campione di cellulosa commerciale (pertanto sono da

considerarsi fissi), gli altri sono ottenuti col metodo dei minimi quadrati; i risultati sono ottimi, come si può notare in Figura 75. Da notare che nell’articolo si afferma esplicitamente che tale modello è stato concepito per simulare bassi HRs, e che probabilmente è inadeguato a trattare quelli alti.

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Figura 75: curve DTG calcolate e sperimentali di (a) legno di pino, (b) legno di eucalipto, (c) corteccia di pino [56].

Modelli a 3 equazioni indipendenti: l’evoluzione diretta del sistema di 3 equazioni del primo ordine è un sistema con equazioni con ordine diverso (se necessario) da uno9.

Come già accennato, Hu [62] ha testato tale soluzione e ottenuto un miglioramento dei risultati rispetto all’uso di 3 SFOR (Figura 74), ritenuto comunque sacrificabile nelle applicazioni pratiche a favore di un approccio più semplice. Per lo pseudo-componente associato alla cellulosa gli autori han trovato che rimane valido il primo ordine, mentre gli pseudo-componenti accostati ad emicellulosa e lignina risultano avere n ottimali maggiori di 1 (rispettivamente 1÷2 e 2÷4).

Anche Caballero et al. [64] hanno optato per tale modello. Manya et al. [65] hanno rivisitato il modello di Orfao, sostituendo alla terza SFOR un’equazione del terzo ordine; la motivazione sarebbe la scarsa bontà del sistema originario, tuttavia i grafici riportati dallo studio mostrano il contrario (Figura 76): si vede che gli autori sono molto esigenti!

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Figura 76: curve TGA di (a) bagassa di canna da zucchero e (b) legno riciclato [65].

Modelli DAEP più complessi: Grønli et al. [63] hanno ritenuto fosse opportuno accostare ai canonici 3 componenti 2 tipi diversi di estrattivi, da cui l’elaborazione di un sistema di 5 equazioni indipendenti, che, come si è già accennato, si riduce al classico modello a 3 pseudo-componenti per le biomasse con ridotto contenuto in estrattivi.

Yoon et al. [55] hanno studiato la gassificazione di biomasse in varie condizioni: per la fase di devolatilizzazione hanno elaborato un modello a 3 pseudo-componenti multi-step.

Modelli strutturali: l’approccio deriva dal modello CPD (Chemical Percolation Devolatilization) usato per i carboni, ed è stato studiato da Sheng e Azevedo [66] e Vizzini et al. [67].

Sostanzialmente, si cerca di descrivere schematicamente la struttura chimica di cellulosa, emicellulosa e lignina tramite opportuni parametri strutturali; si ottiene in tal modo una nozione (più o meno fedele) dei legami chimici che caratterizzano i tre polimeri, cosa che permette di costruire, per ciascuno di essi, un modello cinetico basato sull’evoluzione di tali legami al variare della temperatura. La simulazione del comportamento della biomassa è data dalla somma dei singoli andamenti dei 3 composti.

Modelli computazionali: come complicazione estrema si può ricorrere a software in grado di simulare il processo di devolatilizzazione a partire dall’individuazione di un cospicuo numero di prodotti intermedi e quindi di reazioni secondarie o addirittura elementari.

Qu, nel lavoro già citato [58], ha implementato una simulazione in Aspen Plus, ottenendo però risultati in linea con quelli già visti per le formule additive.

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Blondeau et al. [68] invece hanno testato due modelli basati sull’analisi chimica: quello di Miller e Bellan e quello di Ranzi et al.; dopo aver trovato per entrambi delle pecche nella simulazione delle rese ad alti HRs, hanno sviluppato ulteriormente il modello di Ranzi aggiungendo un ulteriore set di reazioni secondarie e appaiandolo ad un modello dinamico bidimensionale della singola particella. Non stupisce che i risultati siano buoni, ma non giustificano l’enorme complicazione data dall’adottare un simile approccio.