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Capitolo 3: Analisi avanzate

3.2. I drop tubes

I drop tubes (di seguito DT) sono tra i sistemi sperimentali sviluppati negli ultimi anni per lo studio di particelle di combustibile solido atti a riprodurre le alte velocità di riscaldamento (103÷105 °C/s), le alte temperature (1000÷1600°C) e i bassi tempi di residenza (frazioni di secondo) tipici delle fornaci industriali.

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Figura 29: schema estremamente semplificato di DT.

Il reattore di solito (Figura 29) consiste in un tubo verticale inserito in una fornace costituita da diversi elementi in pila riscaldati elettricamente; il campione è inserito dall’alto, solitamente attraverso un sistema pneumatico. La fornace è gestita in modo tale da avere condizioni idealmente isoterme all’interno del tubo; per avere gas già ad alta temperatura all’ingresso del tubo è frequente l’installazione di un bruciatore in testa allo stesso.

I DT possono esser studiati a livello di laboratorio ed equipaggiati con sensori e apparati di vario genere: un collettore raffreddato ad acqua è una soluzione comunemente adottata per variare il tempo di residenza delle particelle solide, facendolo scorrere lungo il tubo: il quenching infatti interrompe le reazioni. Cicloni, filtri e cold traps sono utilizzati per separare secondo le dimensioni e raccogliere il particolato prodotto e intrappolare il tar, mentre il gas ripulito viene inviato ai sistemi di analisi (FTIR o GC) a valle.

Infine, una serie di porte lungo il tubo permette di inserire sensori di temperatura, sonde di campionamento, strumento ottici, etc.

Nonostante la semplicità dell’idea di base, quindi, il DT è uno strumento dotato di notevole flessibilità impiantistica ed operativa; la mancanza di uno standard purtroppo ha fatto sì che ogni laboratorio ne costruisse uno secondo le proprie esigenze. Peggio ancora, in letteratura sono documentati gli usi più disparati di questo strumento; un’ampia panoramica dei gruppi di ricerca che hanno pubblicato studi sulle ricerche in DT, delle soluzioni impiantistiche, delle procedure adottate e degli obbiettivi dei test è fornita in appendice A. Di seguito ci si limiterà al caso più prossimo, ovvero al reattore dell’IFRF (International Flame Research Foundation) ubicato a Livorno e gestito in collaborazione con il DCCISM, noto sotto la sigla di IPFR (Isothermal Plug Flow Reactor).

3.2.1. L’IPFR

L’impianto (Figura 30) è stato progettato e realizzato nel 1994 a Ijmuiden (Paesi Bassi) dall’IFRF e spostato, in seguito al trasferimento della fondazione, al centro ricerche ENEL di Livorno; nel corso degli anni ha subito numerose modifiche, volte a migliorarne le caratteristiche.

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Figura 30: schema dell’IPFR.

L’impianto è costituito principalmente da tre sezioni:

 il pre-riscaldatore, ovvero il bruciatore da 60 kW, posto alla sommità del tubo;

 il reattore vero e proprio, lungo 4,5 m e dal diametro di 15 cm, munito di porte per inserire sonde di alimentazione e sensori;

 Il sistema di raccolta dei prodotti di processo, che comprende la sonda di campionamento e una serie di cicloni e filtri per intercettare e campionare il particolato.

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Tabella 5: alcune caratteristiche salienti dell’IPFR Lunghezza utile massima del reattore [m] 4

Numero di moduli operativi del reattore 8 Numero di porte di alimentazione 19 Potenza complessiva della fornace [kW] 54 Temperatura nominale massima [°C] 1400 Heating rate nominale massimo [°C/s] 104÷105

Tempi di residenza nominali [ms] 5÷1500

La sonda di campionamento è raffreddata ad acqua, inoltre riceve un flusso di N2 o aria per il quenching.

Per ulteriori informazioni sull’impianto si rimanda a [39].

3.2.2. Criticità dei DT

Indipendentemente dal particolare disegno impiantistico adottato, esistono degli svantaggi nell’utilizzo di DT rispetto a sistemi più affidabili, quali ad es. le termobilance:

 il bilancio di massa raramente si chiude, perché:

o il collettore raccoglie solo una parte delle particelle, mentre altre aderiscono alla superficie interna del tubo;

o anche il tar può depositarsi sulle pareti;

o i sistemi di campionamento sono in grado di rilevare solo parte delle specie gassose (ad es., la GC manca alcuni idrocarburi, mentre l’FTIR manca l’H2).

 l’effettiva storia termica della singola particella solida è praticamente un mistero da un punto di vista sperimentale: la temperatura nominale e la lunghezza del reattore non sono in relazione lineare con la temperatura effettiva e il tempo di residenza sperimentati dalla particella. Le diverse dimensioni delle particelle determinano traiettorie e storie termiche completamente diverse e quindi livelli di conversione diversi.

 non è ancora del tutto chiara la relazione tra i risultati di prove condotte in condizioni nominali diverse, anche a causa dei problemi di riproducibilità degli stessi.

Il presente capitolo si prefigge lo scopo di indagare sperimentalmente alcune di queste criticità e di valutarne l’effetto sulla propagazione dell’errore associato ai risultati sperimentali al variare di alcune condizioni operative.

3.2.3. Calcoli di conversione

Consideriamo la resa in volatili: essa può esser definita come

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dove e sono il peso del campione rispettivamente prima e dopo la devolatilizzazione.

Il problema coi drop tube è che non è misurabile direttamente per le ragioni viste, perciò è necessario stimarlo per vie indirette. Il sistema più semplice e diffuso consiste nell’assumere che un tracciante contenuto nel campione rimanga inalterato durante il processo e uniformemente distribuito all’interno di esso.

Se si assume l’ipotesi che le ceneri di un dato combustibile siano termicamente stabili nel corso del

processo studiato e in determinate condizioni operative, può esser applicato l’ash tracer method (di seguito ATM); in alternativa possono esser utilizzati alcuni elementi inorganici termicamente stabili, come il titanio. Entrambe le soluzioni presentano pregi e difetti (si veda [35] per un approfondimento).

Nonostante sia oggetto di accese critiche, l’ATM è comunemente applicato nei calcoli di conversione per la sua semplicità, richiedendo solamente la determinazione delle ceneri di combustibile e residuo di processo dello stesso; infatti, sulla base dell’ipotesi di partenza la quantità di ceneri resta inalterata durante il test:

dove e sono le concentrazioni rispettivamente iniziale e finale delle ceneri; si ricava così la seguente equazione:

Lo stesso ragionamento può esser applicato all’ossidazione del char; convenzionalmente, la conversione è espressa in termini di materia organica ossidata (1 – x):

dove è il fattore di ossidazione, che può variare tra 0 (nessuna conversione) e 1 (completa ossidazione); si ricava così la seguente equazione:

L’approccio è simile nel caso del Ti tracer method o di altri traccianti, solo che ed devono esser ricavati dall’analisi delle ceneri. In ogni caso, comunque, i valori dei fattori di conversione calcolati possono esser affetti da incertezze non trascurabili, a causa delle numerose fonti d’errore in gioco:

 a seconda della natura della biomassa, le ceneri potrebbero esser termicamente instabili (cosa molto probabile, si veda il § 2.3.4) e/o esser distribuite non uniformemente (come sarà dimostrato al § 5.2.1.1);

 una procedura di sampling non corretta può determinare il concentrarsi delle ceneri in determinati range dimensionali, ad es. nelle particelle più fini;

 ogni particella iniettata nel reattore in effetti sperimenta una storia termica diversa: l’entità del fenomeno può esser progressivamente ridotta migliorando costantemente il controllo delle condizioni effettive di processo, ma in una certa misura è inevitabile;

 l’analisi off-line dei campioni di biomassa e relativi residui può esser soggetta ad errori a causa della strumentazione usata e soprattutto della procedura di sampling.

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Non stupisce quindi che incertezze del 10% o superiori associate ai fattori di conversione siano del tutto normali [35]. Naturalmente possono esser adottati degli accorgimenti per ridurle:

 ripetendo un numero opportuno di volte i test off-line in apparati molto affidabili (TGA) il relativo contributo all’errore globale può esser reso trascurabile;

 come già accennato, il controllo dei parametri di processo dovrebbe esser tale da minimizzare gli scostamenti dal set point, almeno per un tempo sufficiente a raccogliere un quantitativo di residui statisticamente significativo;

 durante il sampling è importante selezionare un intervallo dimensionale delle particelle ridotto, al fine di ridurre i fenomeni di segregazione, e scartare le particelle più fini (< 20 µm) [35].

 il problema dell’instabilità termica delle ceneri può esser in parte aggirato ricavandole ad una temperatura uguale a quella di processo.