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“Diagnosi precoce dei Disturbi dello Spettro Autistico: esperienza clinica e ruolo dei test

genetici”

C. Sciarrotta1, I. Bona1, A. Lo Cascio2, G. Corsello1

1Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile “G. D’Alessandro”, Università degli Studi di Palermo

2Pediatra di famiglia, ASP 6, Palermo; docente di Pediatria e Cure Primarie, Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Palermo

Introduzione

Il disturbo dello spettro autistico (DSA) è un’anomalia dello sviluppo neurologico a base biolo-gica caratterizzato da deficit persistenti nella comunicazione e nell’interazione sociale e modelli di comportamento, interessi e attività limitati e ripetitivi. La gestione del bimbo con DSA deve essere individualizzata in base all’età ed alle sue esigenze specifiche e richiede un approccio mul-tidisciplinare che faccia leva sui suoi punti di forza per affrontare le sue debolezze.

Case report

G. è una bimba nata da seconda gravidanza a termine (38+6), da taglio cesareo (madre pre-cesarizzata). Alla nascita i suoi parametri antropometrici sono nella norma (pesa 3040 g, è lunga 49 cm e la sua circonferenza cranica è di 34 cm), presenta un buon adattamento alla vita extra-uterina. Ha un gentilizio positivo per Sindrome di Down, la madre è affetta da ipotiroidismo in trattamento sostitutivo. Nel corso del follow-up attuato dal pediatra di famiglia vengono rilevati segni suggestivi di potenziale disturbo dello spettro autistico dall’età di 8 mesi, permettendo al neuropsichiatra di porre diagnosi già a 11 mesi e di intraprendere in modo tempestivo una terapia logopedica e psicomotoria a carattere intensivo. La bambina ha iniziato a deambulare con base allargata all’età di 19 mesi, di contro però non ha smesso di attuare stereotipie ge-stuali e sensomotorie (tirarsi i capelli, dondolarsi). Ha mostrato notevole sensibilità ai rumori, manifestando momenti di fissazione dello sguardo nel vuoto e mancata attenzione all’ambiente.

Se inizialmente non agganciava lo sguardo della madre e non esprimeva richieste relative ai suoi bisogni primari, dopo assidua riabilitazione la piccola ha mostrato un miglioramento del-la comunicazione deittica ma non del linguaggio verbale, ha migliorato il contatto redel-lazionale con familiari ed estranei ed iniziato a farsi comprendere, ha cominciato inoltre a rispondere al richiamo per nome. Svezzata a 5 mesi ha solo inizialmente rifiutato il cibo solido, poi non ha mostrato selettività alimentari. Valutata dal genetista, è stata sottoposta insieme ai genitori a studio tramite SNP-array che ha evidenziato una micro-duplicazione della regione Xp21.2 (29,725,833-30,328,646) a segregazione materna, estesa circa 603 kb, che include i geni OMIM (Online Mendelian Inheritance in Man) Disesase Causing, in parte il gene IL1RAPL1 ed il gene NR0B1. Abbiamo impiegato i siti “UCSC Genome Browsers” e Decipher per identificare l’eventua le patogenicità nota della micro-duplicazione identificata. Filtrando i risultati forniti dal database per i criteri “microduplicazioni” (escluse delezioni) e per il sesso femminile abbiamo ottenuto 63 case report con simile mutazione. Escludendo i casi con microduplicazione all’esterno della regione contenente la nostra, rimangono (dei 63 precedentemente identificati) solo 2 casi: uno con disabilità intellettiva ed epilessia, l’altro con malformazione cardiaca congenita. In questi due casi uno riguarda un’anomalia del neurosviluppo, ma l’origine parentale della mutazione è paterna (nel nostro caso invece è materna). Il database impiegato ha attribuito alla mutazione

identificata nella nostra bambina ed ai due casi precedentemente descritti con microduplica-zione sovrappolinibile al nostro un significato probabilmente benigno o incerto. Ripetendo l’o-perazione di ricerca per la mutazione identificata e filtrando per sesso maschile il significato della microduplicazione invece è patologico: associato a disturbi del neurosviluppo. Deduciamo dunque che la medesima mutazione sortisce un effetto fenotipico differente in base al sesso.

Discussione

Molti dei casi di DSA sono associati a patologie a base genetica e rappresentano la categoria ad esordio più precoce e peggiore outcome. I test più appropriati per il bambino con ASD possono variare in base alle caratteristiche cliniche (ad es. in base a dismorfismi e storia familiare). La flow-chart di approccio ai disturbi del neurosviluppo proposta dall’American Accademy of Pediatrics pre-vede in prima istanza un inquadramento anamnestico e clinico nonché una consulenza metabolica.

In base alle condizioni del bambino si può scegliere se eseguire subito indagini strumentali di se-condo livello (incluso l’imaging cerebrale). Di concerto alla valutazione del genetista, i test genetici standard includono il microarray cromosomico e analisi del DNA per X fragile (sesso maschile) e sindrome di Rett (sesso femminile), indipendentemente dal fatto che il bambino abbia o meno ca-ratteristiche dismorfiche. Lo studio del cariotipo è giustificato se si sospetta una traslocazione bila nciata (ad esempio in caso di storia di poliabortività) in considerazione del fatto che il microar-ray non rileva traslocazioni bilanciate (per quanto siano rare). In caso di negatività dei precedenti esami un ulteriore step potrebbe essere rappresentato dall’analisi dei pannelli per neurosviluppo o dall’esoma. L’identificazione di una diagnosi genetica può prevenire complicazioni mediche associate per il bambino, fornire informazioni specifiche sul rischio di recidiva per i membri della famiglia e impedire ulteriori ricerche di diagnosi e trattamenti complementari ed alternativi.

Può anche fornire sollievo emotivo ai caregiver e può essere cruciale per l’alleanza terapeutica.

Tuttavia, non bisogna dimenticare il ruolo delle VOUS (varianti a significato incerto) che possono essere individuate nel corso dello studio e non rappresentare un vantaggio per il percorso diagnostico-terapeutico.

Conclusioni

Il trattamento per il DSA deve essere individualizzato e la diagnosi precoce ed il trattamento intensivo hanno il potenziale per influenzare, in particolare per quanto riguarda il comporta-mento, le abilità funzionali e la comunicazione. Sebbene non esista una cura, il quadro può subire un miglioramento nel tempo e in una piccola minoranza non causare disabilità: per tale motivo nessun caso può subire un ritardo diagnostico!

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Lo schiaccianoci!

Alessia Giuseppina Servidio Università degli Studi di Trieste

Francesco è un ragazzo di 16 anni che giunge alla nostra osservazione per comparsa, da circa una settimana, di macroematuria intermittente non associata ad altra sintomatologia. Durante l’anamnesi Francesco riferisce di aver ricevuto un pugno sull’addome circa due settimane prima, ma il trauma non sembrerebbe essere correlato alla comparsa di ematuria.

Dall’esame obiettivo non emerge nulla di particolare se non la presenza di un varicocele sinistro già noto da circa un anno. Si esegue un esame urine che mette in evidenza urine color “lavatura di carne” con un tappeto di GR post-glomerulari alla MO, un rapporto Pr/Cr aumentato, micro-albuminuria ed un esame colturale negativo. Lo screening della calcolosi e l’ecografia addome risultano anch’esse negative. Vengono studiate anche le urine nei genitori e nella sorella che non mostrano alterazioni.

Dopo due mesi dal primo incontro con Francesco, vista la persistenza di macroematuria in-termittente senza altre novità cliniche, si decide di programmare, nel sospetto di un’anomalia vascolare sottostante, una angiouroRMN, che metterà in evidenza un decorso anomalo della vena renale sinistra che, nello specifico, si colloca al di sotto dell’arteria mesenterica superiore con aspetto filiforme, mentre a monte il vaso appare ectasico. Si conferma quindi la diagnosi di

“Nutcracker syndrome”.

La “Nutcracker syndrome” è caratterizzata dalla compressione dell’arteria renale sinistra tra l’ar-teria mesenterica superiore e l’aorta addominale, causando un aumento del gradiente di pres-sione tra la vena renale e la vena cava inferiore. Questo provoca ipertenpres-sione venosa renale con sviluppo di vene collaterali e varicosità intra e perirenali che possono causare ematuria sinistra.

La prevalenza di questa sindrome è sconosciuta. Si può presentare a tutte le età, con un picco tra la seconda e la terza decade di vita, e ne sono più frequentemente affette le donne rispetto agli uomini. Tipicamente sono interessati individui alti e magri. Clinicamente si può manifestare con micro o macroematuria, spesso intermittente, proteinuria e/o dolore episodico al fianco sinistro, dolore pelvico e varici gonadiche. Il gold-standard per la diagnosi rimane la flebografia ascendente, ma si può ricorrere anche ad esami come l’ecocolordoppler, angioTC, angioRMN.

Il trattamento è dipendente dall’età e dalle manifestazioni cliniche; nei pazienti pediatrici pauci-sintomiatici è consigliato un approccio conservativo, in quanto può verificarsi, con la crescita e l’aumento del peso, la spontanea risoluzione del quadro. Nei pazienti con forti dolori al fianco sinistro o addominali, ematuria franca con alterazioni importanti all’emocromo, alterazione della funzionalità renale o in caso di persistenza del quadro dopo 24 mesi di trattamento conservati-vo, deve essere preso in considerazione il trattamento chirurgico.