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Ma che pa…pule di questo COVID-19!

Fachin Alice

Università degli Studi di Trieste, Scuola di Specializzazione in Pediatria

Niccolò è un bimbo di 3 anni e 10 mesi che ho conosciuto nell’ambulatorio del PLS da cui ero in turnazione lo scorso febbraio, in piena quarta ondata dell’epidemia da COVID-19.

Niccolò si è presentato in ambulatorio in quanto da circa una settimana presentava delle lesioni papulo-vescicolari rosee inizialmente localizzate al dorso delle mani e dei piedi, diffusesi poi a livello degli arti e del volto.

Al momento della visita, erano evidenti delle papule rilevate, di circa 2-3 mm di diametro, rav-vicinate ma comunque isolate, rosee, prevalentemente localizzate a livello del dorso delle mani e a livello delle superfici estensorie degli arti, con un interessamento abbastanza simmetrico. A livello tibiale posteriore, le lesioni tendevano ad essere maggiormente confluenti, assumendo un aspetto lievemente eritematoso. Le lesioni erano presenti anche a livello del volto, andando ad interessare anche i padiglioni auricolari. Non erano invece evidenti lesioni a livello del tronco e del dorso. Faringe e cavo orale erano indenni; la restante obiettività era negativa. Niccolò per il resto era in completo benessere, lamentando solamente un modesto prurito.

In anamnesi, da segnalare una recente infezione da SARS-CoV-2: Niccolò si era infatti negativiz-zato circa una settimana prima della comparsa delle lesioni cutanee.

Unendo quindi l’aspetto clinico delle lesioni ed il dato anamnestico di infezione recente, la diagnosi è stata quella di acrodermatite papulosa infantile, meglio nota come sindrome di Gian-notti-Crosti. Tale condizione, che si riscontra più frequentemente nei bambini in età pre-scolare (fra i 2 e i 6 anni), si caratterizza appunto per la presenza di un esantema papulo-vescicolare, monomorfo, simmetrico, in genere non pruriginoso (anche se potrebbe associarsi ad un mode-sto prurito), non ricorrente ed autolimitantesi; interessa più tipicamente gli arti ed il volto (tipico l’interessamento del padiglione auricolare, presente anche in Niccolò). Rappresenta una forma reattiva post-infettiva, legata prevalentemente a stimoli virali; sebbene sia descritta più frequente-mente in associazione ad infezioni da EBV e HBV, può associarsi anche ad altri stimoli virali, quali HAV, CMV, HVS, HHV-6…1. In letteratura, sono descritti diversi casi di acrodermatite papulosa infantile anche nell’ambito di recenti infezioni da SARS-CoV-22.

Ciò che dobbiamo fare, è tranquillizzare i genitori sul fatto che si tratta di una condizione

ge-neralmente autorisolutiva, che però potrebbe perdurare anche per tempi abbastanza lunghi (in media 6-8 settimane) e che, in fase di regressione, potrebbe mostrare una fine desquamazione superficiale. Generalmente non richiede alcun trattamento, tuttavia, se il bimbo dovesse lamen-tare prurito, è possibile somministrare un antistaminico per os3.

Bibliografia

1. Brandt O, Abeck D, Gianotti R, Burgdorf W. Gianotti-Crosti syndrome. J Am Acad Dermatol. 2006;54(1):136-145.

2. Swali RN, Lee EB, Adams JL. Gianotti-crosti syndrome in the setting of recent coronavirus disease-19 infection. Pediatr Dermatol. 2021;00:1-3

3. Leung AKC, Sergi CM, Lam JM, Leong KF. Gianotti-Crosti syndrome (papular acrodermatitis of childhood) in the era of a viral recrudescence and vaccine opposition. World J Pediatr. 2019 Dec;15(6):521-527.

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Noi... siamo IRON MEN!

Marialetizia Fantasia

Università degli Studi Milano Bicocca

Elio, un ragazzo di 14 anni, esegue in benessere esami ematochimici di routine con riscontro oc-casionale di franca iperferritinemia (2000 ng/ml, vn per età 30-400 ng/ml) e concomitante lieve incremento delle transaminasi (AST 69 U/L, ALT 109 U/L) con emocromo nella norma (non anemia, nè emolisi cronica). Il prelievo ripetuto conferma il dato riscontrando anche un aumento della saturazione della transferrina (84%). La funzionalità epatica non evidenzia colestasi, vengo-no escluse le forme più comuni di epatite su base infettiva ed immune e l’ecografia dell’addome si presenta nella norma, assente la splenomegalia.

Nell’ipotesi di una emocromatosi, gli accertamenti ematochimici vengono estesi anche ai geni-tori (che presentano assetto marziale nella norma) e al fratello Carlo, di 10 anni, che mostra analogo quadro di sovraccarico marziale rispetto a Elio (ferritina 485 ng/ml, saturazione della transferrina 56%). La funzione epatica in Carlo è lievemente alterata (AST 62 U/L, ASP 107 U/L) e l’ecografia mostra un fegato di dimensioni aumentate con ecostruttura diffusamente steatosica, senza lesioni focali né dilatazione delle vie biliari, con alcune aree ipoecogene in sede pericolecistica e periportale compatibili con aree di risparmio da steatosi.

Viene eseguita l’analisi molecolare dei geni per emocromatosi HFE che non evidenzia mutazioni.

Successivamente l’indagine è estesa ai geni non HFE correlati (emojuvelina, ferroportina, recet-tore 2 della transferrina) con identificazione nei due fratelli di una eterozigosi composta per mu-tazioni del gene dell’emojuvelina – c.959G>T nota patogenetica per malattia e c.254A>G non nota, in silico predetta patogenetica- diagnostica per emocromatosi giovanile tipo 2a ; i genitori invece, risultano portatori sani della malattia.

A completamento è stata eseguita la quantificazione del sovraccarico di ferro mediante RMN T2* epatica che mostra sia in Elio, sia in Carlo assenza di sovraccarico.

Data la diagnosi e l’evidente accumulo di ferro, i due fratelli avviano salasso-terapia periodica, ben tollerata, con salassi pari a 5-7 ml/Kg a cadenza inizialmente mensile, indi trimestrale ed attualmente semestrale.

Al momento la malattia in entrambi è ben controllata (ultimi valori di ferritina di 97 ng/mL, saturazione della transferrina 80% in Elio ; ferritina di 491 ng/mL, saturazione della transferrina 66% in Carlo).

L’emocromatosi giovanile di tipo 2a è una rara malattia congenita a trasmissione autosomica recessiva per mutazione del gene emojuvelina, il cui trascritto, l’emojuvelina è una proteina che coadiuva l’epcidina nella regolazione del metabolismo del ferro.

In questa patologia l’organismo accumula ferro già nell’infanzia e la malattia si rende manifesta nel giovane adulto già con complicanze e danni d’organo gravi (oltre all’epatopatia ci sono evidenze di cardiopatie ed endocrinopatie).

Il riconoscimento precoce e del tutto occasionale della malattia, permette di monitorarla nel tempo e di rimuovere il ferro in eccesso mediante salasso-terapia o terapia chelante del caso (qualora i salassi non siano tollerati o non siano sufficienti), prima che il danno d’organo diventi irreversibile.