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Diamonds are forever: la Gran Bretagna, i Boeri,il Sudafrica, i diamanti e la corsa all’oro

IV. Song of the White Bushman: gli inglesi in Sudafrica

4.1 Diamonds are forever: la Gran Bretagna, i Boeri,il Sudafrica, i diamanti e la corsa all’oro

Al Diamond Jubilee del 22 giugno 1897 tra gli undici Primi Ministri delle Colonie presenti vi era pure Sir John Gordon Sprigg, il premier della Colonia del Capo. Trasferitosi verso i trent’anni per motivi di salute in Sudafrica, da proprietario terriero si interessò sempre più alla politica locale, scalando tutti i gradini del cursus honorum; divenuto parlamentare negli anni settanta, arrivò a ricoprire la carica di Primo Ministro per ben quattro volte nei decenni successivi166. Lo stesso giorno, in omaggio alla Regina Vittoria il Presidente del Transvaal Paul Kruger concesse l’amnistia a due prigionieri britannici, condannati alle carceri boere da due anni per i fatti del 1895167. Sia durante i festeggiamenti di quella settimana dorata che nei mesi difficili e travagliati che caratterizzarono gli ultimi anni dell’età vittoriana divenne sempre più evidente quanto i fatti del Transvaal stessero conquistando l’attenzione dell’opinione pubblica e dell’establishment britannico, fino alle estreme conseguenze del conflitto. Ma cosa era successo e cosa stava accadendo in Sudafrica?

La lunga storia della presenza europea in Sudafrica parte nel 1488, quando il portoghese Bartolomeo Diaz doppiò il Capo di Buona Speranza sulla rotta che portava ai sognati e fiabeschi mercati d’Oriente, ricchi di spezie. Nei decenni e nei secoli successivi a seguire la rotta tracciata dai portoghesi furono soprattutto gli olandesi, che con la VOC vi costruirono la propria fortuna168. Nel 1648 un brigantino olandese, la Haarlem, naufragò nella baia di Tafel e l’equipaggio visse di ciò che trovava sul territorio, prima di essere recuperato l’anno successivo. Tornati ad Amsterdam, il comandante della nave naufragata

166 E.A. Walker, rev. Lynn Milne, Sprigg, Sir (John) Gordon (1830-1913), in “Oxford

Dictionary of National Biography”, Oxford, Oxford University Press, 2004, online ed. Indirizzo pagina web: http://www.oxforddnb.com/view/article/36221

167 Jan Morris, Pax Britannica, cit., pp. 29 168 Cfr. pp. 43-47

consigliò all’amministrazione della Compagnia delle Indie di istituire sul Capo di Buona Speranza una stazione di rifornimento per le navi della VOC dirette ad Oriente. La Compagnia ascoltò il consiglio, organizzando una piccola spedizione; fu così che nel 1652 iniziò la presenza degli europei in Sudafrica. La VOC era interessata a controllare una piccola base navale, ma ben presto fu permesso di insediarsi ai liberi cittadini olandesi, che furono i primi veri colonizzatori; questi ultimi non erano al servizio della Compagnia, ma liberi agricoltori che dettero vita alla prima comunità del Capo. Nel corso dei decenni arrivarono sempre più coloni, che iniziarono ad inoltrarsi all’interno del territorio; in Sudafrica arrivarono non più solo olandesi, ma pure ugonotti francesi, esuli inglesi, tedeschi. Come sostiene Wesseling,

“Essi rappresentarono la variante sudafricana dei pionieri nordamericani, che sulla frontiera, armati di ascia e con la Bibbia che custodivano nelle baracche di legno, conducevano un’esistenza dura ma pia. Questi coloni sudafricani formavano una società di individualisti, tenuta insieme dalla parola di Dio e dalla lotta comune contro i neri”169

Iniziò così a conformarsi una comunità che sviluppò un proprio stile di vita, una propria lingua, una propria identità nazionale, quella degli afrikaner o dei boeri, che in lingua olandese significa semplicemente “colono”. Basate su un forte individualismo di impronta calvinista, la comunità boera pose le proprie basi sull’agricoltura, conquistando terreni alle tribù locali. Si instaurò da subito una rigida divisione tra le due popolazioni, con possibilità quasi nulle di integrazione ed un’ostilità che si tinse da subito di un carattere razziale. Con le migrazioni dalla costa verso l’interno principiarono anche le prime lotte contro le locali popolazioni di boscimani ed ottentotti, pastori, guerrieri ed agricoltori nomadi, che furono respinte ancora di più verso nord. Se il 1652 simboleggia l’inizio della presenza europea in Sudafrica, l’epoca napoleonica costituisce un altro turning point, poiché la Colonia del Capo fu occupata dagli

inglesi. Tale occupazione fu confermata dai trattati di pace del 1814, poiché una Gran Bretagna sempre più indirizzata ad una politica di supremazia imperialista non intese rinunciare al Capo, sulla rotta per l’Oriente e soprattutto per l’India. L’amministrazione inglese venne vissuta dalla comunità afrikaner come estranea ed ostile, per cui da subito ebbero inizio le tensioni tra britannici e boeri che avrebbero caratterizzato l’intera storia del XIX secolo sudafricano. Fortemente ostili al governo britannico, considerato oppressivo, e alla legislazione inglese sull’uguaglianza tra bianchi e neri, i boeri negli anni trenta del XIX secolo avviarono una grande migrazione verso le zone del Sudafrica orientale, alla ricerca di terre e libertà. L’esodo verso l’interno comportò numerose guerre con gli africani, soprattutto con i bellicosi zulù, ben organizzati e profondi conoscitori del territorio, che inflissero gravi perdite ai boeri. Quest’ultimi riuscirono però in breve tempo a riorganizzarsi e a vendicare le sconfitte, e proprio la vittoria sugli zulù del 1838 ebbe come conseguenza la nascita della prima repubblica boera, quella del Natal. Quest’ultima fu però subito annessa dai britannici, poiché il valore strategico di quella zona costiera non poteva non essere controllato dalla Gran Bretagna. Negli anni Cinquanta nacquero infine la Repubblica del Transvaal e lo Stato Libero d’Orange, due nazioni subito riconosciute da Londra come indipendenti. Repubblica era ovviamente una denominazione alquanto altisonante, perché nei primi decenni questi stati boeri costituirono soprattutto delle comunità di frontiera di poche decine di migliaia di persone. Nondimeno, queste comunità si diedero una costituzione, con il diritto di voto garantito a tutti gli abitanti bianchi di sesso maschile che avessero compiuto i diciotto anni, un’assemblea parlamentare ed un capo dello stato170.

170 Per la Colonia del Capo nel 1853 fu fondato il Parlamento, ma solo negli anni Settanta si

raggiunse una piena struttura amministrativa. All’assemblea legislativa si affiancò un governo con un premier che doveva render contro delle proprie azioni al parlamento. Il governatore inglese ricopriva una carica di capo costituzionale, con poche possibilità di intervento negli affari interni alla colonia. Il governatore ricopriva anche la carica di Alto commissario per il Sudafrica, responsabile delle relazioni con tutti i popoli e le comunità del Sudafrica, compresi i boeri. Il governatore ed il Premier divenarono così i principali attori della politica del Capo: il primo avrebbe tutelato e rappresentato gli interessi imperiali, il secondo quelli della colonia.

Un’altra data fondamentale per la storia del Sudafrica, soprattutto per le conseguenze che avrebbe avuto, fu il 1867, quando in un insediamento sul confine settentrionale della colonia fu rinvenuto un diamante, segnando così un punto di svolta nell’intera vicenda sudafricana. I primi ritrovamenti furono su ambedue le rive del fiume Vaal, che costituiva il confine tra il Transvaal e lo Stato Libero d’Orange, e riguardavano i cosiddetti dry diggins, i diamanti che si potevano ritrovare con metodi e strumenti rudimentali nei greti dei fiumi e nei primi strati di ghiaia. Da tutti gli angoli del Sudafrica arrivarono migliaia di persone in cerca di lavoro e fortuna, fossero essi britannici, boeri o neri; non solo, grandi flussi di minatori arrivarono da ogni angolo dell’Impero, dall’Europa e dagli Stati Uniti. Grandi fortune si sommarono a grandi tragedie umane, in un ambiente di frontiera selvaggio e poco regolamentato dove vigeva la legge del più forte o dell’inganno, con città come Kimberley che crebbero dal nulla. Una maggior quantità di diamanti si poteva trovare negli strati più profondi, ma occorreva scavare delle miniere ed avviare un’estrazione di tipo industriale, con macchinari, stabilimenti e soprattutto grandi capitali in fase d’avvio, con l’arrivo di ingegneri, tecnici ed operai europei. I diamanti cambiarono totalmente l’immagine del Sudafrica, poiché da mercato secondario all’interno del Commonwealth, prettamente agricolo e di dimensioni ridotte, si trasformò in poco tempo in una delle colonne economiche dell’Impero; nel giro di un decennio il commercio estero fu triplicato e furono investite enormi somme in infrastrutture, con prestiti alla Colonia del Capo destinati alla costruzione di ferrovie171.

La scoperta dei diamanti nel Transvaal attirò maggiori attenzioni del governo britannico sulle questione sudafricane, poiché l’improvviso boom economico dei territori boeri rischiava di mettere in ombra il controllo britannico nella zona; se le Repubbliche boere avessero continuato a crescere e strutturarsi grazie al florido mercato dei diamanti, la bilancia del potere tra le colonie britanniche e le due nazioni indipendenti avrebbe premiato quest’ultimi. Negli anni Settanta era in gioco la supremazia inglese in

Sudafrica, per cui il governo Disraeli non perse tempo. Il Ministro delle Colonie era Lord Carnarvon, che nel 1867 aveva creato con successo la federazione del Canada, propose il modello del dominion anche per il Sudafrica; tale federazione avrebbe dovuto contenere al suo interno non solo i territori britannici del Capo e del Natal, ma pure le due repubbliche boere, in un’unica federazione statale. Carnarvon propose quindi una conferenza con i delegati dei diversi stati, ma di fronte al rifiuto dei boeri, gelosi della propria indipendenza, e allo scetticismo della Colonia del Capo, il progetto fu accantonato. Per Carnarvon l’unica alternativa per preservare la supremazia britannica rimase quella di annettere il Transvaal, anche ricorrendo al conflitto militare se necessario. Poco dopo si offrì invece alla Gran Bretagna una grande occasione, poiché la Repubblica boera si trovò in estreme difficoltà per le sommosse di alcune tribù indigene all’interno dei suoi confini ed immediatamente vicine ai suoi territori; tali tribù, soprattutto zulù, inflissero pesanti sconfitte agli afrikaner, sprovvisti di armamenti e preparazione adeguati. Carnarvon si convinse che i boeri non si sarebbero opposti all’annessione all’Impero, anzi, avrebbero gioito di un aiuto esterno in un momento di grande difficoltà, una difficoltà che coinvolgeva anche le stremate casse dello stato. Fu quindi organizzata una delegazione inglese che si diresse a Pretoria per discutere col governo del Transvaal i termini dell’annessione, che il governo accettò senza grandi opposizioni nell’aprile del 1877172. Durante gli anni di Disraeli, a longa manus del governo britannico in Sudafrica fu Sir Bartle Frere, governatore del Capo e commissario per il Sudafrica. Imperialista convinto di scuola progressista, presidente della Geographical Society, insignito di lauree onorifiche ad Oxford e Cambridge, egli aveva la reputazione di uomo brillante e riformatore, ma pure impulsivo e testardo. Convinto del progetto federalista di Carnarvon, era altresì persuaso che il Sudafrica non avrebbe raggiunto la pace finché tutti i popoli della zona non avessero accettato (o subito) la supremazia britannica. Se con i boeri sembrava di essere arrivati ad un capitolo chiuso, rimanevano da sottomettere i bellicosi guerrieri zulù,

una vera spina nel fianco della sicurezza della Colonia, che con continue scorribande, rapine e massacri costituivano un pericolo costante soprattutto nelle zone settentrionali. La conseguenza logica per Frere era la guerra, ma il governo Disraeli era in quei mesi impegnato nelle drammatiche vicende dei Balcani e dell’Afghanistan, per cui un ulteriore fronte di guerra era impensabile. Fu così che Frere dimostrò la propria arrogante testardaggine, poiché, approfittando dei difficoltosi collegamenti con Londra, condusse una politica spregiudicata che mise Disraeli con le spalle al muro. Inviato al re degli zulù un ultimatum irricevibile, partì così la dichiarazione di guerra, che condusse ad una delle disfatte più gravi dell’intera storia militare britannica, la battaglia di Isandhlwana, dove persero la vita più ufficiali inglesi che a Waterloo173. Un esercito poco preparato e mal protetto decise di non ascoltare gli avvertimenti dei boeri sull’efficacia delle strategie zulù, così di ottocento militari ne sopravvissero trenta. La sconfitta ebbe un enorme clamore in patria, dove non fece altro che assestare un colpo mortale ad un sempre più debole governo Disraeli. La reazione comunque non si fece attendere ed in Sudafrica fu spedito per ripristinare l’ordine Sir Garnet Wolseley che, dotato di un potere emergenziale pressoché totale, riorganizzò il corpo di spedizione britannico e dette il via ad una delle guerre coloniali più cruente dell’intero Ottocento, arrivando ben presto ad aver ragione degli zulù. Wolseley non ottenne l’autorizzazione di annettere lo Zululand, ma prima di ritornare da trionfatore a Londra lo divise in tredici piccoli regni, che iniziarono subito a farsi la guerra; con l’antico metodo del divide et impera, in pochi anni i britannici assunsero il controllo totale della zona174.

Con la vittoria sugli zulù, il progetto federale di Carnarvon sembrò sul punto di realizzarsi, tant’è che anche il governo Gladstone si dichiarò favorevole all’impresa. La retorica di Gladstone contraria alle annessioni ed

173 Cfr. 90-92. Per un accurato resoconto della storia del regno zulù, dei contatti con gli europei

e della guerra con i britannici, cfr. Donald R. Morris, The Washing of the Spears: The Rise and the Fall of the Zulu Nation, Boston, Da Capo Press, 1998

174 Per uno studio sulla guerra zulù, cfr. R.B. Edgerton, Like Lions They Fought. The Zulu War

and the Last Black Empire in South Africa, London, Macmillan, 1988

alle avventure in politica estera dovette cedere il passo al realismo ed alla difesa degli interessi costituiti, per cui il Primo Ministro nel corso del 1880 comunicò all’establishment boero che la sovranità della Regina Vittoria non poteva essere messa in discussione, in continuità quindi con le politiche del governo Disraeli; una linea, quella della continuità, che il governo Gladstone suo malgrado fu costretto a seguire successivamente per l’Egitto, il Sudan ed in generale per l’intera questione imperialista175. La speranza del governo era che con la costituzione della federazione, che in sostanza stava a significare un’autonomia sotto la sovranità della Corona inglese, si attenuassero definitivamente i motivi di contrasto e tensione tra britannici e boeri; i boeri avrebbero mantenuto la propria autonomia, ma i britannici avrebbero goduto dell’economia diamantifera e della supremazia sull’intero Sudafrica. I desideri di Gladstone trovarono però l’opposizione dei boeri, che alla fine del 1880 diedero il via ad una ribellione armata contro i britannici, con la proclamazione dell’indipendenza totale della repubblica. Alla guida della ribellione si pose un uomo che avrebbe continuato a segnare la storia del Sudafrica per i successivi vent’anni, ovvero Paul Kruger.

“Egli era l’esponente tipico della società boera, l’archetipo dell’uomo di frontiera, devoto, puritano, inflessibile, testardo, individualista, uno che viveva esclusivamente per il Signore e per la propria famiglia. Aveva avuto scarsa istruzione scolastica e la cultura generale gli mancava quasi completamente. Era cresciuto in una comunità a carattere fortemente confessionale e non conosceva il mondo, si attenne sempre ad uno stile di vita estremamente sobrio (…) Libertà e religione erano gli ideali che aveva tratto dai suoi predecessori olandesi del sedicesimo secolo, da lui presi come esempio. Tutto questo in effetti fece di Kruger, come spesso è stato scritto, un anacronismo storico, ma anche l’uomo del destino del Transvaal”176

175 Cfr. 91-116

Kruger si dedicò alla vita militare, arrivando nel 1858 alla nomina di comandante generale, che nel Transvaal rappresentava la seconda carica dello stato. Bravura, decisionismo ed ostinazione ne fecero un leader carismatico e rispettato, e quando nel 1877 la Gran Bretagna annetté la repubblica boera fu uno dei pochi a non rassegnarsi e a non voler scendere a compromessi. Dopo la guerra del 1880-81, due anni dopo fu per la prima volta eletto come Presidente della Repubblica, una carica che avrebbe rivestito per quasi vent’anni sino alla definitiva scomparsa del suo paese all’interno dell’Impero britannico177. Alla fine del 1880 iniziò così l’offensiva boera, che arrivò ad assediare le guarnigioni britanniche di Pretoria, Lyndenburg, Potchefstroom. Fu però la presa della collina di Majuba l’evento più significativo di questa guerra, una battaglia che assunse da subito un significato particolare. Se per la Gran Bretagna Majuba diventò sinonimo di sconfitta, a breve distanza tra l’altro di Isandhlwana, per i boeri ed i loro sostenitori diventò il simbolo della vittoria contro l’oppressione, una riedizione della biblica sfida tra Davide e Golia178. La vittoria di Majuba suscitò un grande entusiasmo soprattutto in Olanda, dove fino ad allora invece i confratelli afrikaner erano stati descritti come barbari, rozzi, inospitali, ingrati, ignoranti, dei contadinotti rei di macchiare la gloriosa tradizione dell’espansionismo olandese. Majuba fu invece rappresentata come l’inizio di una nuova epoca per la storia ed il ruolo dell’Olanda nel mondo, poiché i valorosi combattenti che avevano sconfitto il gigante inglese altro non erano che i discendenti della VOC179. Più preoccupante per i britannici si sarebbe rivelato il rinvigorimento del sentimento nazionale degli afrikaner che vivevano nella Colonia del Capo, che arrivarono a costituire una Associazione per la tutela dei boeri, divenuta poi la Lega Afrikaner. Gli afrikaner che vivevano sotto la tutela della Corona erano per la maggior parte favorevoli al progetto della federazione, ma erano altresì convinti ed orgogliosi della propria

177 Per una biografia di Paul Kruger, cfr. Johannes Meintjes, President Paul Kruger: A

Biography, London, Cassell, 1974

178 Per un’opera che analizzi il significato della disfatta di Majuba, cfr. Ian Castle, Majuba

1881: The Hill of Destiny, Oxford, Osprey Publishing, 1996

cultura boera, che doveva essere tutelata e rispettata; non mancarono spinte più radicali, che invitarono alla secessione secondo il modello offerto da Kruger. L’attenzione per Majuba non fu relegata esclusivamente alla Gran Bretagna ed all’Olanda, ma ebbe eco anche nei giornali italiani. Ecco il ritratto che ne fece il fiorentino La Nazione, da sempre attenta agli eventi di politica estera, specialmente se tali fatti riguardavano la Gran Bretagna

“Il corpo spedizionario contro i Boers non era forte, come si credeva dopo alcuni telegrammi. Era formato, dice il colonnello Bond, dallo stato maggiore del generale, da venti ufficiali e da 627 uomini, appartenenti a tre reggimenti e alla brigata navale. Il generale Colley occupò con le sue truppe nella notte dal sabato alla domenica la montagna di Majuba. Domenica alle sette di mattina i Boers aprirono il fuoco. Alle undici il generale Colley telegrafava al colonnello Bond che il fuoco dei Boers si manteneva vivissimo, ma che essi toglievano gli accampamenti e si preparavano alla ritirata. Evidentemente, egli li credeva scoraggiati, ma questi preparativi di ritirata erano soltanto una simulazione o un atto di precauzione compiuta prima dell’ultimo attacco, che i Boers volevano tentare (…) Il fuoco divenne più vivo e fu manifesto che un subitaneo cambiamento della situazione era avvenuto (…) Alle due e venti minuti resultò chiarissimo che i britannici avevano perduto le loro posizioni e si ritiravano sotto un fuoco continuo(…) Per una parte almeno delle truppe la ritirata fu una sconfitta”180

Un’oltraggiosa sconfitta come quella di Majuba andava vendicata, ma il governo Gladstone decise di scendere a compromessi sulla strada della riconciliazione, poiché il prezzo da pagare per un’ulteriore guerra era troppo alto e con incerti risultati nel lungo periodo. Come sostiene Wesseling

“Era del tutto eccezionale che in un’epoca di sciovinismo, nazionalismo, imperialismo e revanscismo si lasciasse invendicata una sconfitta e che si

restituisse ad un popolo la sua indipendenza. Indubbiamente vi ebbero parte anche alcuni fattori ideologici. L’idealismo liberale di Gladstone non era solo questione di retorica. Ma la decisione non fu nemmeno unicamente una questione di idealismo, si basava su valutazioni realistiche. L’Inghilterra cosa aveva in realtà da cercare in Sudafrica? L’espansione territoriale non era