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L’Impero britannico nacque a cavallo tra il Cinquecento ed il tardo Seicento, tutt’altro che inconsapevolmente. A spingere l’espansione inglese non furono progetti idealistici o civilizzatori, ma mere volontà di profitto, una logica di potenza tra le nazioni che allora iniziò ad essere ben presente nelle corti europee ed un umile spirito di emulazione, soprattutto dell’Impero spagnolo, di cui si invidiavano le ricchezze americane ammantate molto spesso di un sapore paradisiaco e mitico. Non fu proprio un inizio onorevole, come sottolinea provocatoriamente Ferguson:

“Nel dicembre 1663 un gallese chiamato Henry Morgan navigò cinquecento miglia nel Mar dei Caraibi per sferrare uno spettacolare attacco ad un avamposto spagnolo, Gran Granada, a nord del Lago De Nicaragua. Lo scopo della spedizione era semplice: trovare e rubare l’oro spagnolo, o qualsiasi altra proprietà mobile (…) L’Impero britannico è cominciato così: in un vortice marino di ladrocinio e violenza”55

Gli inizi briganteschi dell’Impero britannico furono abbandonati nel giro di pochi decenni e furono sostituiti da ben più solidi ed importanti interessi

54 Alberto Mario Banti, L’età contemporanea,, cit., pp. 491-502 55 Niall Ferguson, Impero, cit., pp. 17

mercantili, per cui dalla razzia corsara di oro si passò ad una ricerca sempre crescente di materie prime o prodotti pregiati come zucchero, tabacco, sete, the o caffè, necessarie per soddisfare i bisogni sempre più sofisticati dell’alta società aristocratica seicentesca e settecentesca. Il sistema mercantile britannico pose le sue basi non solo su un vigoroso spirito affaristico e sul desiderio di grandi guadagni, ma pure su una avanzata ingegneria navale ed una abilità nautica che era già solida, nonostante le grandi innovazioni cinquecentesche e la vittoria sulla Invincibile Armada fossero abbastanza vicine nel tempo. Nei primi anni del Seicento la Gran Bretagna avviò una fase di espansione coloniale che sarebbe durata due secoli, per poi subire una vigorosa crescita nel XIX secolo. Non fu un processo immediato e consequenziale; al contrario, l’imperialismo britannico avanzò a balzi e molto spesso senza un ordine preciso di manovra. Territori furono conquistati e persi, scambiati, venduti, ma già allora la Gran Bretagna seppe porre la propria sfera di influenza in tutto il mondo, con le proprie basi ed i propri avamposti costieri.

Il primo polo espansivo che attirò le attenzioni inglesi fu il Nord America, dove si sarebbero sviluppate le tredici colonie che avrebbero dato poi vita agli Stati Uniti. La colonizzazione inglese si caratterizzò in pochi decenni per un aspetto duplice: a colonie di insediamento come il New England si affiancarono colonie di sfruttamento come la Georgia e la Virginia. Se nelle prime si trasferirono i puritani in fuga dai tentativi assolutistici degli Stuart, diseredati, uomini in cerca di fortuna e colonizzatori volenterosi di costruirsi una nuova vita al di là dell’Atlantico, le seconde furono da subito caratterizzate da un sistema di piantagione alimentato dallo sfruttamento degli schiavi africani; si creò da subito quella differenza tra Nord e Sud che avrebbe poi condotto alla Guerra di Secessione56. Il sistema delle piantagioni, necessario per rispondere alla crescente domanda di beni di consumi voluttuari e mutuato dai vecchi imperi spagnoli e portoghesi, fu riproposto nei territori caraibici e del Centro America come la Giamaica. Ma se nell’Atlantico, come abbiamo visto, la Gran Bretagna seppe porre in fretta il proprio controllo ed il proprio

predominio, nei primi due secoli della storia dell’Impero l’establishment inglese si concentrò soprattutto ad Oriente, dove il mito di favolose ed edeniche ricchezze continuava a perdurare dai tempi di Marco Polo, un mito spesso suffragato dalla realtà57.

La grandi potenze rivali con cui la Gran Bretagna dovette ben presto scontrarsi per ottenere il monopolio dei commerci navali con l’Oriente furono la Francia del Re Sole e di Colbert e soprattutto l’Olanda, contro la quale furono combattute ben tre guerre nel corso del Seicento; raramente si erano viste guerre dichiarate e combattute per motivi così apertamente commerciali Complessivamente, il paese uscì sconfitto dal confronto con i Paesi Bassi, ma i governi inglesi seppero farne tesoro. Non si procedette soltanto ad un rafforzamento delle flotte mercantili e militari, ma lungo le rotte commerciali furono creati nuovi avamposti coloniali e nuove basi per il ricovero ed il rifornimento. Le Compagnie delle Indie, ispirandosi al modello di efficienza della VOC sopra il quale i Paesi Bassi avevano costruito la loro fortuna nel Seicento, si ristrutturarono nelle forme finanziarie, nelle gerarchie amministrative e nelle pratiche commerciali58. Non fu più cercato lo scontro militare con il naviglio francese ed olandese, ma ci si concentrò maggiormente sul commercio, accettando anche di dover condividere con altre potenze il monopolio dei mercati orientali e caraibici, dando vita di fatto ad un oligopolio.

L’ascesa al trono del Regno Unito di Guglielmo III d’Orange come atto conclusivo della Glorious Revolution del 1689 non sancì solamente la definitiva affermazione delle libertà inglesi e della monarchia parlamentare; essa rappresentò infatti una fusione di affari tra Olanda ed Inghilterra. La fusione del 1689 fu particolarmente vantaggiosa per la Gran Bretagna per due risultati in particolare. Da Amsterdam furono infatti esportati quei modelli

57 Lawrence James, The Rise & Fall of The British Empire, London, Abacus, 1995, pp. 3-51 58 VOC è la abbreviazione di Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie, la

Compagnia Olandese delle Indie Orientali, fondata nel 1602 dalle sei Camere che sottoscrissero l’accordo conseguente alla concessione da parte del governo olandese del monopolio dei commerci con le colonie in Asia. L’assoluto monopolio di cui la Compagnia godette per decenni nel commercio di alcuni prodotti del mercato orientale comportò dividendi e profitti molto alti. Grandi ricchezze furono accumulate con lo sviluppo della Voc, e tanti altri patrimoni furono dilapidati dal suo declino.

finanziari e bancari che avevano fatto dell’Olanda la prima potenza capitalistica della storia mondiale. Nel 1694 fu fondata la Banca d’Inghilterra, destinata a controllare il corso e l’emissione della valuta nazionale; a Londra furono anche importati i sistemi del debito pubblico e della Borsa, fino ad allora rimasti in uno stato embrionale. In questa maniera fu possibile avviare un percorso di risanamento delle disastrate finanze inglesi fiaccate dalle turbolenze delle guerre civili, dalle costose guerre marittime contro gli stessi olandesi e da decenni di malversazione e corruzione. Il secondo risultato della fusione del 1689 fu la corsia preferenziale coi profittevoli mercati d’Oriente; mentre gli olandesi si sarebbero occupati del mercato delle spezie, ai britannici sarebbe spettato il commercio dei tessuti indiani.

Per una combinazione di casualità e profondo fiuto per gli affari, la Compagnia inglese seppe trarre un grande vantaggio da questa divisione, perché proprio in quegli anni il mercato delle spezie entrò in una fase stagnante da cui non si sarebbe ripreso, mentre il commercio dei tessuti (come abbiamo visto) subì una grande accelerazione. Intorno al 1730 l’Inghilterra raggiunse l’Olanda in termini di vendite e nei decenni seguenti si sarebbe compiuto il sorpasso definitivo. L’Olanda, una piccola nazione strappata con fatica ed ingegno dal dominio del Mare del Nord, tollerante ed aperta alle novità, al centro delle reti mercantili europee sin dal Medioevo, riuscì per qualche decennio a monopolizzare i commerci marittimi con l’Oriente, gettando le basi del primo sistema economico globalizzato della storia, donando a tutta l’Europa che seppe avvedersene una visione totalmente mondiale. Alla metà del XVIII secolo, accerchiata da nuovi rivali, sedutasi sui successi del passato e col declino della spinta propulsiva della Compagnia delle Indie, passò il testimone alla Gran Bretagna, la potenza economica della quale aveva contribuito a creare, spingendola verso la modernità 59.

Nel Settecento i britannici continuarono così a consolidare la propria posizione imperiale, seguendo quella modalità “disordinata” e con grandi scatti improvvisi di cui si è scritto poc’anzi. I nuovi territori poterono essere acquisiti

grazie all’azione delle compagnie commerciali, sempre alla ricerca di nuovi mercati da sondare, ed ai viaggi esplorativi. Un caso esemplare in tal senso è la prima colonizzazione dell’Australia, una terra che già i marinai e gli esploratori olandesi avevano intuito e toccato nei loro viaggi secenteschi, ma che solo con le spedizioni di Cook entrò di diritto nelle carte geografiche e nella sfera d’influenza britannica. Ma i nuovi territori poterono anche essere il frutto di trattative diplomatiche e dei (pochi) conflitti che videro impegnata la Gran Bretagna lungo il XVIII secolo. Un esempio efficace è costituito dai territori francesi annessi con la vittoria nella Guerra dei Sette Anni nel 1763, un conflitto che coinvolse le maggiori potenze europee del tempo e che secondo molti studiosi può essere considerato come la prima guerra veramente mondiale per la sua estensione su scala globale. La fine dei combattimenti avrebbe sancito essenzialmente l’affermazione definitiva della Gran Bretagna come maggior potenza marittima e coloniale e la rilevanza continentale di una nuova protagonista, la Prussia. Con il Trattato di Parigi la Francia abbandonò ogni ambizione rimasta sul continente americano, cedendo agli inglesi il Canada; non solo, i britannici incamerarono quasi tutte le basi francesi in Africa ed i loro più importanti possedimenti in India60.

Oltre a registrare una continua espansione, con l’acquisizione di piccoli avamposti africani o territori significativi come quello canadese, il Settecento coloniale inglese fu segnato soprattutto da due grandi eventi che ne avrebbero modificato la storia futura. Il primo fu la perdita delle colonie americane, dove una forte componente autonomistica, una esplicita coscienza di essere qualcosa di diverso dalla madrepatria ed una prospera economia, benché all’interno del mercato coloniale britannico, convinsero sempre più coloni della possibilità di potersi staccare da Londra e crescere indipendenti, come una nuova nazione. L’unione di tali istinti di autodeterminazione e di un pesante intervento britannico negli affari economici e fiscali delle colonie americane, senza la rappresentanza dei propri deputati a Westminster (il medievale concetto di no taxation without representation, alla base del parlamentarismo inglese),

aumentarono le tensioni, in un crescendo che avrebbe poi condotto alla Guerra di Indipendenza61. La secessione delle colonie americane fu un autentico shock per l’establishment britannico, tant’è che il governo di Lord North dovette dimettersi, come abbiamo visto, per il mancato sostegno del Parlamento, indignato della gestione e dei risultati del conflitto.

Il secondo evento che segnò il XVIII secolo ed in senso lato tutta la storia inglese fu il sempre più massiccio interesse per l’India. In breve tempo essa si sarebbe posta al centro delle dinamiche imperiali, diventandone il cuore e la componente più preziosa, la “Perla dell’Impero” o il “Jewel of the Crown”, come fu definita da Disraeli. Ne sarebbe stata la colonia prototipo e al tempo stesso un’eccezione. L’India era da almeno un secolo la destinazione principale delle compagnie commerciali britanniche, dove vennero istituite tre basi (definite anche factories) che poi sarebbero diventate i maggiori centri di potere e di controllo del Raj. Nel 1630 fu acquistato un appezzamento terriero dove fu edificato il forte St. George, attorno al quale sarebbe cresciuta Madras. Nel 1661 con le nozze tra Caterina di Braganza ed il sovrano Carlo II la Gran Bretagna acquisì Bombay, parte della dote matrimoniale della nuova regina. Sul finire del secolo, infine, un terzo accampamento si unì a due villaggi vicini; nacque così Calcutta62. Da questi tre centri gli inglesi fecero il loro ingresso nel profittevole e ricchissimo mercato indiano, agognato e mitizzato da decenni di singole spedizioni di mercanti che promettevano al loro ritorno in Inghilterra sterminate possibilità, sulle quali costruire favolosi patrimoni . Essi dovevano però condividere i profitti ed i dividendi con le altre potenze europee presenti sul territorio come i francesi, con base a Pondicherry, i sempiterni olandesi, i danesi ed il declinante Portogallo, che aveva in Goa il proprio principale avamposto. Non solo, gli inglesi dovettero ben presto fronteggiare e trattare da posizione sfavorevole con i potenti signori locali, rappresentanti di un impero molto vasto ed economicamente avanzato. La svolta si ebbe nel Settecento, quando una serie di fattori consegnò un ruolo primario ai britannici, che ne

61 Arnaldo Testi, La formazione degli Stati Uniti, cit., pp. 53-96 62 Niall Ferguson, Impero, cit., pp. 35

seppero approfittare velocemente. Il declino dell’Impero Moghul, diviso da faide, crisi economiche e guerre interne, comportò un abbassamento, quando non una resa, della capacità di difesa dei signori locali e della dinastia regnante a Delhi. Tutto ciò si unì al tramonto dello strapotere commerciale olandese, parallelo alla caduta delle compagini portoghesi e francesi, ormai in una posizione marginale rispetto alla crescente forza degli inglesi.

La Compagnia delle Indie, potenziata e ristrutturata , forte della sua presenza ormai secolare nel subcontinente e della sua posizione preponderante sulla concorrenza europea, seppe così sfruttare la situazione. Ai vecchi insediamenti se ne aggiunsero di nuovi, difesi anche militarmente da un piccolo ma efficiente e moderno esercito dipendente dalla Compagnia. Furono stipulate alleanze, nuovi territori furono acquistati o conquistati con la forza delle armi. Forti di una posizione e di una capacità contrattuale molto solida, funzionari della Compagnia ottenevano dai principi locali un riconoscimento come autorità politiche, per cui i britannici potevano riscuotere imposte, dettare le proprie leggi, gestire l’economia. Venne così a crearsi un sistema misto dove ai principati indiani indipendenti e fedeli all’ormai crepuscolare dinastia Moghul si affiancarono territori direttamente gestiti dalla Compagnia delle Indie, regni autonomi ma alleati agli inglesi, maharaja vassalli; un sistema dove l’espansione inglese fu lenta e continua per un secolo, mentre l’indipendenza dei sovrani locali si restringeva sempre di più. Era naturale che con questo processo espansivo il potere dei governatori e degli amministratori della Compagnia crescesse enormemente, con molti casi di soprusi e di malversazioni destinati ad incrementare i propri patrimoni personali. Per limitare questi casi di débauché sempre più frequenti, il Governo fu costretto ad intervenire, varando nel 1773 il Regulating Act, una serie di severi meccanismi di controllo politico che dette vita anche alla carica del Governatore generale della Compagnia, il rappresentante della Corona a Calcutta. Si era così creata l’India britannica63.

La Gran Bretagna entrò così nell’Ottocento con le basi dell’Impero già ben impostate, e tali basi sarebbero rimaste le stesse per buona parte del secolo; fino agli anni Settanta, infatti, l’Impero non subì grosse variazioni. Al controllo diretto di pochi territori sparsi in tutto il globo e dalle dimensioni molto variabili, dalla vastità dell’India alle minuscole isole caraibiche, la Gran Bretagna affiancava però un impero informale ben più potente e pervasivo, ovvero il netto primato dei commerci internazionali, per cui più delle armi potevano il mercato e la diplomazia. Basato sulla supremazia dei mari e su un vantaggio tecnologico ed industriale indiscutibile (dai piroscafi a vapore al simbolo per eccellenza della potenza britannica, le ferrovie), l’imperialismo indiretto ebbe come propria linfa vitale il liberalismo, la filosofia che fu al centro della vita culturale, sociale, economica e politica della Gran Bretagna dell’Ottocento. Benché il laissez-faire in economia avesse il sostegno della maggioranza dell’establishment britannico, il sistema protezionistico dei dazi fu smantellato poco alla volta e solo con lo stallo depressivo degli anni Quaranta il paese si convertì totalmente al libero mercato, soprattutto su spinta degli industriali del nord e delle Midlands. La prima grande risorsa fu ovviamente il mercato interno all’Impero, un territorio privilegiato dove la Gran Bretagna esportava soprattutto tessuti in cotone e lana, carbone, prodotti siderurgici, componenti meccaniche per le ferrovie e piroscafi a vapore, con materie prime che essa stessa si procurava nelle colonie, in un ciclo virtuoso continuo. Per fare un esempio, l’India importava dalla madrepatria un quantitativo di merci pari a quelle comprate dagli Stati Uniti64.

Il traffico commerciale inglese non si limitava solo al comparto merci, perché la Gran Bretagna diventò la principale esportatrice di capitali. I grandi patrimoni accumulatisi coi dividendi della Compagnia delle Indie e con i massicci profitti del boom industriale ed agricolo si riversarono in investimenti, dentro e fuori dall’Impero. La sensazione di sicurezza e solidità che la Gran Bretagna offriva, unita ad un benessere diffuso che arrivò a coinvolgere anche la piccola borghesia e gli artigiani, permise pure ai piccoli risparmiatori di

investire all’estero, nella speranza quasi certa di un ritorno fisso annuale. Furono così finanziate la costruzione di linee ferroviarie in Canada e negli Stati Uniti, l’esportazione di carni argentine ed uruguaiane, il guano cileno, miniere in Nuova Zelanda. Filiali commerciali e bancarie furono aperte in tutti i porti del mondo, dagli scali principali dell’Atlantico alle baie sperdute del Pacifico, ingegneri e specialisti britannici accorsero in Europa ed in tutto il mondo per diffondere il proprio know how tecnico per costruire ponti e strade ferrate, deviare corsi d’acqua, razionalizzare e migliorare le coltivazioni. I britannici, paradossalmente, finirono così per creare o rafforzare le basi economiche ed industriali di paesi che in un futuro nemmeno troppo lontano sarebbero diventati i suoi competitori commerciali. Da parte loro, i governi che si succedettero in questi anni privilegiarono la diplomazia all’occupazione diretta di nuovi territori ed al conflitto, considerata l’ultima scelta a disposizione. I conflitti combattuti in questi anni furono campagne coloniali di breve durata, più simili ad un riassestamento e ad un riequilibrio dei confini che a vere e proprie campagne di conquista. In giro per il mondo furono aperti nuovi consolati ed ambasciate, si firmarono trattati, si offrirono prestiti vantaggiosi. Non fu un caso che sotto i governi liberali di metà secolo nascessero il Colonial Office e l’India Office (erede della Compagnia delle Indie), le due grandi strutture burocratiche e diplomatiche che da Londra avrebbero controllato e diretto la vita dell’Impero per decenni65

L’informal empire estese gli interessi inglesi a tutto il mondo, alla ricerca di nuovi mercati e nuovi clienti. In alcuni casi fu quindi inevitabile trovare contrapposizione e chiusura presso le popolazioni locali, perché non tutti gradirono il partecipe ingresso degli inglesi nei loro sistemi economici. In altri casi, invece, essi dovettero lavorare in realtà burrascose e pericolose, per cui la sicurezza e la difesa degli interessi britannici non poteva essere garantita; di questo furono consci tutti i governi che si succedettero nel corso degli anni. La rete di consolati, ambasciate, basi della marina ed in generale delle comunità britanniche sparse per il mondo ebbero quindi anche un ruolo di

tutela e di difesa delle attività dei loro compatrioti. Il ruolo maggiore spettò alla supremazia marittima della Royal Navy, capace di accorrere in soccorso ovunque fosse richiesto e necessario, anche solo per deterrenza ed arrogante risolutezza. Le dimostrazioni di forza furono abbastanza usuali e la comparsa di una cannoniera in un porto della Cina, in una baia africana o al largo delle coste sudamericane persuasero le popolazioni locali ad appianare riottosità, diffidenze e resistenze. Solamente in pochi casi si ricorse alla violenza ed al conflitto aperto con chi si opponeva e si chiudeva al commercio, contravvenendo così ai principi del liberalismo. Le occasioni più importanti furono le tre guerre dell’oppio contro la Cina, combattute per poter aprire alle aziende britanniche (tra le quali numerosi narcotrafficanti, un lato oscuro del commercio britannico) il vasto mercato del Celeste Impero.

Nella media età vittoriana l’importanza dell’Impero acquisì anche un altro carattere, un’ulteriore spinta propulsiva che travalicò i meri interessi economici ed egemonici che fino ad allora avevano guidato l’impresa britannica. In concomitanza con i movimenti riformatori che abbiamo visto