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Ninive e Tiro: la Greater Britain ed il Nuovo Imperialismo

III- BRITANNIA RULE THE WAVES?

3.2 Ninive e Tiro: la Greater Britain ed il Nuovo Imperialismo

Il giorno del Diamond Jubilee i cittadini, i militari, l’establishment politico ed economico, la Gran Bretagna intera celebrarono la propria gloria, la propria Storia e la propria potenza, ma anche in quelle dorate ore estive nubi nere ed inquietudine si stagliavano all’orizzonte. I tempi del dominio assoluto dell’imperialismo informale gladstoniano erano ormai lontani, la fiducia in un futuro di progresso e di una supremazia inattaccabile erano stati incrinati dalla realtà dei fatti, che non poteva essere più nascosta. Facevano ormai parte di un passato che stava lentamente dissolvendosi gli anni in cui la Gran Bretagna si considerò l’unica nazione capace di espandersi oltreoceano e di godere appieno di quanto la terra avesse da offrire agli uomini, legittimata dalla propria missione evangelizzatrice e modernizzatrice. Con le isole britanniche che come un faro irradiavano la giusta ed unica civiltà (quella europea, ma soprattutto inglese), in grado di assicurare un presente ed un avvenire migliore per tutto il mondo, i sudditi della Regina Vittoria erano sicuri di aver dato senso e struttura ad un secolo come l’Ottocento, acquisendo così un ruolo che pochi altri popoli o personaggi avevano ottenuto nella Storia. Ma tutto questo ormai non aveva la solida certezza di prima. Nell’ultimo trentennio del XIX secolo molte cose erano cambiate ed in politica estera la Gran Bretagna dovette giocoforza abbandonare progressivamente il proprio ruolo di garante super partes dell’ordine mondiale per affrontare le sfide e le novità che le si palesarono davanti. Da spettatore onnisciente e neutrale quale era stata per lunghi decenni,

97 Per una dettagliata biografia di Lord Salisbury, figura centrale della storia britannica, cfr.

la Gran Bretagna dovette allora scendere in scena, diventando una dei protagonisti della tragedia98.

Tradizionalmente legata già dal Settecento ad una politica di non intervento nelle dispute europee, dopo le inevitabili guerre napoleoniche la Gran Bretagna era tornata a concentrarsi sulla propria crescita interna, sul consolidamento e l’estensione del proprio impero d’oltremare, fiduciosa che il sistema di diritto e diplomazia internazionale venutosi a creare con il Congresso di Vienna del 1814-15, definito storicamente “Concerto d’Europa”, avrebbe garantito pace e stabilità al continente dopo decenni di scontri e rivoluzioni sanguinose. Tale equilibrio avrebbe salvaguardato il Regno Unito da ulteriori interventi e proprio per questo fu ben accolto da Lord Castlereagh e da tutto l’establishment britannico. L’ordine internazionale disegnato a Vienna resse sostanzialmente per quarant’anni con poche ma significative modifiche, quali la nascita del Belgio e della Grecia nel 1830. Negli anni sessanta, proprio quando la Gran Bretagna ed il suo imperialismo informale raggiunsero il proprio apice, la nascita del Regno d’Italia, dove gli stessi britannici ebbero un ruolo assolutamente non minoritario99, e soprattutto di una Germania unita posero fine al Concerto d’Europa. La tremenda disfatta francese a Sedan nel settembre 1870 e la nascita dell’Impero tedesco nella Sala degli Specchi di Versailles nel gennaio 1871 segnarono uno spartiacque fondamentale per la storia europea. La Francia perse il proprio ruolo di potenza continentale dominante, con la umiliante sconfitta che si caricò da subito di una grande voglia di revanche e di un profondo sentimento di nazionalismo che sarebbe giunto intatto sino alla Prima Guerra Mondiale. La società francese trovò così un collante ed una sicura base di grandeur nell’esercito, da allora divenuto una sorta di religione laica per la Terza Repubblica, l’unico elemento che veramente univa una società altrimenti frammentata in mille rivoli e fazioni

98 Per la politica estera britannica fino alla fine degli anni Settanta del XIX secolo, cfr. T. G.

Otte, The Foreign Office Mind. Tha Making of British Foreign Policy 1865-1914, Cambridge, Cambridge University Press, 2011, pp. 1-150

99 Cristopher Duggan, Gran Bretagna ed Italia nel Risorgimento, in Alberto Mario Banti e

Paolo Ginsborg (a cura di), Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento, Torino, Einaudi, 2007, pp. 777-796

politiche. Si assistette infine all’ascesa di una nuova grande nazione quale la Germania, il punto di rottura definitivo di quell’equilibrio durato decenni, una nuova potenza che avrebbe segnato i destini dell’Europa intera. Nel corso degli ultimi decenni del XIX secolo, forte di un’industria che avrebbe presto raggiunto e superato i livelli inglesi, la Germania avrebbe avviato una progressiva politica di egemonia continentale che avrebbe surriscaldato un clima già infuocato dai nazionalismi100. Ebbe così avvio quella fase della storia dove ai grandi progressi della tecnologia, della scienza, della cultura, della medicina, della politica e della società che avrebbero costituito il lato migliore di quella che già allora venne considerata la Belle Epoque, l’apogeo dell’Europa, si affiancarono le contraddizioni che avrebbero condotto l’intero continente nell’abisso. Misure protezionistiche in economia unite ad una feroce competizione alla ricerca di nuovi mercati che fronteggiassero i ciclici ribassi della Grande Depressione, una progressiva e crescente corsa alle armi per eserciti e flotte navali sempre più potenti, una inarrestabile fame di nuovi territori oltreoceano, nazionalismi e culture nazional-patriottiche sempre più rampanti e scioviniste, una degenerazione della biologia in un darwinismo sociale che avrebbe creato una gerarchia tra nazioni e all’interno delle società dei singoli stati, tutti questi furono fattori che in quei pochi decenni aggrovigliarono l’Europa in una morsa sempre più stretta. Si era arrivati ad un punto dal quale non si sarebbe potuto più tornare indietro101.

La Gran Bretagna assistette a questi grandi eventi europei dalla solita posizione neutrale di non intervento, coi governi liberali di Palmerston, Russell e Gladstone impegnati nel consolidare l’impero economico che tanta solidità e prosperità avevano portato per decenni al paese. Nel volgere di pochi anni fu però sempre più difficile sperare di poter mantenere la propria posizione defilata, non tanto per un cambio di mentalità dell’establishment al potere,

100 Alberto Mario Banti, L’età contemporanea, cit., pp. 296-312. Per un’analisi approfondita

della nascita della Germania unita, cfr. John Breuilly, La formazione dello stato tedesco (1800- 1871), Bologna, Il Mulino, 2004 e Edward Crankshaw, Otto Von Bismarck e la nascita della Germania moderna, Milano, Mursia Editore, 1988, pp. 139-315

101 Per un classico studio accurato della Belle Epoque europea, cfr. Eric J. Hobsbawm, L’età

desideroso di mantenere inalterato il proprio sistema economica, ma per una ben più materialistica e pragmatica necessità di dover difendere i propri interessi, sia all’interno del Commonwealth imperiale che al di fuori di esso. Come sottolineò James,

“Businessmen, often acting through their local chamber of commerce, began urging a policy of annexation on the government to prevent existing or potential markets from being lost to competitors. Colonial lobbying became a growth industry during the last years of the nineteenth century with well – organised and funded expansionist pressure groups springing up in Germany and France (…) The old formula of free trade and unofficial empire was no longer practical in an age when other countries were establishing their own, jealously guarded spheres of influences across the world, and in many instances taking control of so called empty areas in Africa and the Pacific. The practical response was to jettison old shibboleths and join in the rush to acquire territory, if only to forestall rivals”102

Proprio sulla necessità di un nuovo interventismo britannico in politica estera si basò la vittoria di Disraeli nelle elezioni del 1874, con un programma elettorale che non disdegnava affatto toni e caratteri romantici, nazionalisti ed un interesse per l’esotico che allora riscuoteva un gran consenso. Tra l’altro la Gran Bretagna usciva da un poco onorevole trattato firmato con gli americani nel 1871, che aveva lasciato insoddisfatta l’opinione pubblica britannica. Gli arbitrati erano uno strumento tradizionale nella storia dei rapporti diplomatici anglo-americani ed attraverso di essi erano stati risolti nei decenni passati dei lunghi contenziosi come i confini con la colonia britannica del Canada o le zone di pesca. Lo strumento dell’arbitrato si inseriva pienamente nella visione positivistica del tempo, per cui in un’epoca di fede nel progresso morale e materiale dell’umanità la guerra era considerata irragionevole. In pochi decenni il progetto ideale che i dissidi tra le nazioni potessero essere sanati con

strumenti ben più pacifici e razionali di un conflitto armato avrebbe cozzato con la realtà delle dinamiche storiche, rivelandosi una triste illusione. Il Trattato di Washington del 1871 fu firmato per sancire una riappacificazione tra i due paesi dopo la Guerra di Secessione, quando la Gran Bretagna aveva tenuto un atteggiamento neutrale con la Confederazione del Sud, ritenuta un partner commerciale strategico per le immense coltivazioni di cotone. Presso un’opinione pubblica stimolata dai grandi stravolgimenti europei la firma dell’arbitrato, velocizzata anche dai timori di una ritorsione americana sul vicino Canada, rafforzò la sensazione che la Gran Bretagna fosse in preda del declino e dell’impotenza diplomatica, per cui Disraeli non poté non approfittarne in sede di campagna elettorale103.

Un’occasione per mostrare il proprio nuovo attivismo non tardò ad arrivare, perché nel 1875 scoppiò la crisi dei Balcani, una delle regioni più complicate e contese del continente. Oltre alle tensioni causate dalla secolare ma sempre più declinante presenza ottomana in lotta con le tensioni nazionalistiche che proprio ad allora iniziarono ad infiammare le singole comunità balcaniche, la regione era pure sotto la decennale osservazione dell’Austria – Ungheria, desiderosa di estendersi e rafforzare i propri confini multinazionali, e della Russia zarista, che dai tempi di Caterina la Grande agognava di controllare i Dardanelli. Le altre potenze europee erano indirettamente interessate alla regione, ma sia Bismarck che Disraeli erano decisi a mantenere lo status quo. L’equilibrio continentale era sicuramente da preferire rispetto ad una Russia più potente o ad un Impero Ottomano in sfacelo, oggetto quindi di mire espansionistiche e predatorie delle grandi potenze; alla rivendicazione delle nazionalità balcaniche Bismarck e Disraeli anteposero la cinica freddezza della Realpolitik. La situazione precipitò quando gli ottomani, sia per ritorsione che per mera tattica bellica, iniziarono a compiere stragi ed atrocità nei confronti della popolazioni locali (soprattutto in Bulgaria), stragi che ottennero una risonanza enorme in tutta Europa. Disraeli

103 Mario Del Pero, Libertà ed Impero. Gli Stati Uniti ed il mondo 1776-2011, Bologna, Il

era deciso a seguire la tradizionale politica britannica di sostegno agli ottomani in funzione antirussa iniziata poco dopo la fine delle guerre napoleoniche, per cui il governo antepose i propri interessi alla denuncia delle atrocità, che cercò di minimizzare o dipingere come inevitabili in un contesto di guerra. Abilmente guidati da Gladstone, associazioni, giornali, partiti, comunità religiose, mossi sia dalla moralità vittoriana che dalla vergogna di aver appoggiato per decenni il dispotismo di Costantinopoli, organizzarono quindi grandi campagne di sdegno e denuncia che si posero al centro della vita politica britannica, attaccando sia le malvagità compiute dagli ottomani che il governo, considerato un alleato compiacente. Come sostiene Feuchtwanger

“Poche volte una questione di politica estera aveva tanto infiammato il paese, dividendolo così nettamente. Gli antagonismi che si determinarono acquistarono un impulso proprio, perché la questione risaliva alle radici di convinzioni filosofiche e condotta politica, e nei casi estremi sfociava nell’isteria”104

Gli equilibri sembrarono implodere definitivamente nel 1877, quando la Russia dichiarò guerra all’Impero Ottomano, desiderosa di difendere i cristiani ortodossi, ma soprattutto di arrivare con un colpo di mano alla conquista dei tanto agognati Dardanelli. La guerra russo-turca conobbe alterne vicende, ma era chiaro che alla fine del 1877 l’Impero Ottomano fosse sull’orlo del collasso di fronte all’avanzare impetuoso (e per questo sfinente) dell’esercito zarista; superate le ultime strenue difese turche nei territori dell’attuale Bulgaria, i russi avrebbero avuto la strada verso Costantinopoli completamente libera. Nei primi mesi del 1878 il conflitto si concluse con una disfatta degli ottomani, costretti dalla Russia a firmare un trattato che avrebbe garantito l’indipendenza alla Serbia, al Montenegro, alla Romania ed alla Bulgaria, stati liberi ma ovviamente sotto l’interessata attenzione della Russia, che così avrebbe espanso i propri interessi ed il proprio controllo alle propaggini dei Dardanelli,

il sogno proibito ed irraggiungibile dello zar. Il proseguire degli eventi bellici ebbe degli effetti anche presso l’opinione pubblica e l’establishment britannici, perché il movimento di sdegno e protesta per le stragi ottomane fu affiancato (e ben presto superato) da una forte corrente nazionalistica e sciovinistica russofoba. La russofobia degli anni Settanta rappresentò un eterno ritorno della primaria componente della politica estera britannica sin dalla prima metà del XIX secolo, un’ostilità reciproca perenne ma che aveva avuto delle pericolose fiammate cicliche. Conclusasi l’era napoleonica, con una Francia allo stremo ed una Germania che ancora non esisteva, i due imperi iniziarono a contendersi le vaste terre tra la Persia ed il Celeste Impero, le vaste lande dell’Asia Centrale, in quello che lo stesso Kipling chiamava il “Grande Gioco”, una guerra di spionaggio, piccolo campagne, sotterfugi, esplorazioni, menzogne che sarebbe giunta fino agli albori della Prima Guerra Mondiale105.

Forte di un vasto sostegno interno, Disraeli decise di uscire dalla neutralità fino ad allora mantenuta ed ordinò alla Royal Navy di dirigersi verso Costantinopoli, un minaccioso e muscolare avvertimento per i russi; allo stesso tempo l’Austria - Ungheria, altrettanto interessata a mantenere lo status quo, mobilitò l’esercito. La Russia, stremata da un dispendioso conflitto, accettò di sottoporre il trattato firmato coi turchi alla revisione di un congresso europeo, che Bismarck si offrì di ospitare a Berlino, nella sua ottica di una Germania metronomo d’Europa. Con il Congresso di Berlino la Gran Bretagna e Disraeli ottennero un trionfo, un successo ed un prestigio sproporzionati alla reale azione nel corso della crisi e del conflitto, con la conservazione dell’integrità ottomana ed addirittura delle conquiste accessorie, come l’acquisizione di Cipro ed il permesso per le navi britanniche di attraversare gli Stretti senza bisogno di lasciapassare burocratici. Il successo dell’exploit britannico fu imputato a Disraeli, ma chi veramente lavorò alacremente e con fine intelligenza ai tavoli delle trattative fu Salisbury, che proprio allora inaugurò il proprio personale stile di una diplomazia estera basata su una studiata strategia di vantaggi microscopici, cortesie, pazienza, tatto e tenacia. In quel momento

di trionfo non era facilmente prevedibile che due anni dopo il governo conservatore di Disraeli sarebbe crollato proprio a causa della propria politica estera ed imperiale , a seguito delle catastrofiche campagne in Sud Africa ed in Afghanistan. Se i disastri della spedizione nei territori afgani sarebbero stati offuscati e celati dalla coraggiosa marcia di Lord Roberts of Kandahar, la sconfitta britannica a Isandhlwana del gennaio 1879 contro gli zulù sarebbe rimasta negli annali come una delle più gravi sconfitte della storia militare britannica. La successiva sconfitta degli zulù non placò affatto il malcontento pubblico e la vergogna per la débacle di una forza coloniale come la Gran Bretagna; pochi anni dopo l’ignominia Isandhlwana sarebbe stata superata dall’Adua italiana, nel 1896106.

Quanto ormai fosse sempre più difficile e dannoso continuare sulla tradizionale condotta dell’imperialismo indiretto la Gran Bretagna se ne capacitò definitivamente all’inizio degli anni Ottanta, un decennio che si sarebbe dimostrato turbolento e problematico pure sul fronte interno, complicando notevolmente la capacità ed i piani d’azione107. Gladstone, che di quella politica di influenza diplomatica e militare basata sulla supremazia economica era stato per anni il più importante paladino, arrivò ben presto alla conclusione che, a meno di una impensabile rinuncia del suo ruolo imperiale, la sola alternativa rimasta era una difesa attiva dell’Impero, senza escludere una sua espansione dove necessario. Questo fu chiaro nel 1882, quando esplose la questione egiziana, fino ad allora uno dei migliori e classici esempi dell’imperialismo informale britannico. Al centro dell’attenzione inglese sin dai tempi di Nelson, l’Egitto era formalmente sottoposto all’Impero Ottomano, ma sin dagli anni Quaranta godeva di una sostanziale indipendenza. Soprattutto grazie alle riforme dei khedivè (governatore ereditario) Mehmet Ali ed Ismail Pasha, il paese aveva intrapreso nel corso dei decenni un percorso di modernizzazione con modelli di riferimento europei, con riforme che avevano riguardato tanto l’amministrazione pubblica quanto l’esercito, l’istruzione,

106 E. J. Feuchtwanger, Democrazia ed Impero, cit., pp. 120-137. Per il generale Roberts of

Kandahar, cfr. pp. 5-7

l’economia e la società stessa, sempre più laicizzata. Tali progressi si basarono su investimenti e grandiose opere infrastrutturali (basti pensare al Canale di Suez) che finirono con l’indebitare pesantemente le casse egiziane, costrette a dichiarare la propria bancarotta ed insolvenza. L’opera di modernizzazione si era avvalsa anche delle somme degli investitori europei che avevano finanziato le grandi opere di modernizzazione, fornendo in molti casi i propri tecnici ed il proprio know how. Fu quindi creato un organismo straordinario di gestione del debito pubblico egiziano, dove le quote maggioritarie spettavano ai governi inglesi e francesi, i due massimi investitori nel corso dei decenni; l’azione del khedivè fu quindi limitata dal controllo dei due paesi, interessati a recuperare i propri denari e a difendere i propri lucrosi interessi.

Proprio questa ingerenza straniera fu la causa di un crescente malcontento locale che sarebbe poi sfociato nella rivolta del 1881-82, che si alimentò da subito di ragioni nazionalistiche, religiose e xenofobe: si trattava di una vera e propria guerra di indipendenza degli egiziani dagli stranieri e da un establishment locale compiacente. Preoccupato di difendere gli interessi inglesi e la sicurezza del vitale Canale di Suez, Gladstone decise di intervenire. Dapprima riluttante nel prendere provvedimenti unilaterali, il Primo Ministro britannico chiese la collaborazione dei francesi, anche in un tentativo di ravvivare l’opera diplomatica del Concerto d’Europa. Nel corso dei mesi si assistette invece ad una sorta di escalation diplomatica tra i due paesi, poiché se la Francia non aveva alcuna intenzione di perdere la propria quota di interessi egiziani, anche in un progetto di dominio del Mediterraneo (nel 1881 la Francia aveva occupato la vicina Tunisia), Gladstone ed il suo riluttante governo furono sempre più pressati all’intervento dalle lobbies militari ed economiche britanniche, decise ad impadronirsi in toto delle risorse egiziane. Quando il parlamento francese bocciò clamorosamente i finanziamenti utili all’azione militare in Egitto, Gladstone dette ordine di agire, il dado era ormai tratto. L’estate del 1882 iniziò così con il bombardamento navale di Alessandria, e dopo una rapida campagna militare agli ordini di Wolseley i britannici

sottoposero il governo egiziano al proprio controllo108. La rapida vittoria della spedizione egiziana fu acclamata e celebrata in tutta la nazione e perfino Gladstone si dimostrò soddisfatto, potendo mettere da parte per qualche tempo le difficoltà economiche e la questione irlandese. L’occupazione dell’Egitto venne presentata dal gabinetto liberale come momentanea, in modo tale da permettere agli egiziani di stabilire nuovamente un proprio governo effettivo; in tal maniera, i britannici avrebbero potuto ritirarsi dal paese ed avrebbero salvaguardato i loro interessi economici. Quando divenne evidente che la ricostruzione di uno stato egiziano indipendente avrebbe richiesto troppo tempo, tramite il console generale Lord Cromer i britannici imposero al khedivè la formazione di una burocrazia amministrativa e di assemblee rappresentative a tutti i livelli, con il diritto di voto esteso a tutti gli uomini con almeno venti anni, in un modello di autogoverno simile a quello applicato nel Raj. Come sostiene Emiliani,

“Le assemblee non avevano in realtà alcun potere legislativo, ma questa mossa consentiva alla Gran Bretagna di cooptare al governo una élite moderna che,