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Il dibattito costituente sulla definizione di un sistema d

Si è avvertito che la nascita della giustizia costituzionale è collegata a una profonda evoluzione della democrazia, connotata anzitutto, e in positivo, dalla spinta a valorizzare le Costituzioni, e porta con sé la necessità di una rinnovata concezione della sovranità popolare. Inoltre, e in negativo, l’origine della giustizia costituzionale è caratterizzata dalla presa di coscienza che le maggioranze parlamentari non sono infallibili né naturaliter osservanti delle norme costituzionali266.

Quando, nel 1947, l’Assemblea Costituente dovette procedere all’elaborazione degli articoli presupposti all’articolazione di un sistema di giustizia costituzionale sembra, tuttavia, che l’attenzione nei confronti del giudizio sulle leggi fu assai contenuta. Sta forse in ciò una delle ragioni della netta distanza che sussiste tra quanto immaginarono i padri costituenti la posizione la Corte costituzionale oggi ricopre nostro ordinamento.

Sul fallace presupposto secondo il quale la Corte non avrebbe assunto un ruolo di particolare importanza nel contesto istituzionale italiano, i Costituenti si dedicarono ad abbozzare i confini di quello che ritenevano sarebbe stato un sindacato solo sporadico, chiamato ad involgere specifiche e rare illegittimità costituzionali commesse dal legislatore. I costituenti non avevano captato, forse, le potenzialità insite nell’attività della Corte e la natura cruciale del suo ruolo nell’atteggiarsi delle dinamiche legate alla giustizia costituzionale.

Il passaggio dallo Stato liberale di diritto alla Stato costituzionale si stava compiendo, ma i protagonisti della Costituente erano uomini ottocenteschi e la loro formazione avrebbe comportato una scarsa consapevolezza teorica in merito alla riconcettualizzazione che stava avvenendo in tutte le strutture giuridiche. In particolare, con riferimento alla Corte costituzionale era come se non si volesse avvertire quella intrinseca “politicità” del sindacato che le sarebbe stato attribuito.

266 ELIA, L., La Corte nel quadro dei poteri costituzionali, in P. BARILE - E. CHELI - S. GRASSI

(a cura di), Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna, il Mulino, 1982, p. 516.

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È come se vi fosse stata una sorta di ostinazione, nelle concezioni dei Calamandrei, o dei Leone, dei Ruini o dei Mortati, o (soprattutto) dei rappresentanti di estrazione socialista o comunista267, finalizzata a mantenere i concetti fondanti la sua funzione nell’ambito del potere giurisdizionale, e rifiutando di assumere la pur consapevole politicità della sua funzione a presupposto di un coerente disegno normativo sul suo funzionamento.

Si cercò, insomma, di farle indossare vesti i troppo contenuti e inadeguate alla sua misura.

I costituenti erano in teoria consapevoli che l’obiettivo dell’istituzione a cui dovevano “dare vita” consisteva nel fornire una garanzia agli abusi del legislatore. Erano consapevole della rigidità che caratterizzava questo nuova manifestazione del diritto. Rigidità che impediva qualsiasi modificazione del contenuto della Carta da parte della sola maggioranza contingente.

In pratica, però, nel momento di chiarire in dettaglio come doveva articolarsi il sindacato di legittimità costituzionale emersero i problemi e gli scontri e interpretazioni diametralmente opposte si sovrapposero e si confusero.

Non fu, quindi, una fase semplice quella nella quale si cercò di definire la natura che avrebbe avuto il giudizio sulle leggi, e quale fosse il suo scopo precipuo al di là del suo generico ruolo di garanzia.

In sintesi, e anticipando quanto si sta per approfondire, è possibile in fondo distinguere due logiche che i costituenti seguirono e dalle quali “presero” per disegnare il modello di giustizia costituzionale.

267 MEZZANOTTE, C., Il giudizio sulle leggi, cit. pagg. 157- 161 e 170-179, il quale si concentra

sulla cultura delle garanzie dei comunisti e dei socialisti e ci mostra come sul presupposto della ritenuta autosufficienza del sistema dei partiti politici nel fornire una risposta all’esigenza di un’apposita garanzia alle storture del sistema parlamentale le sinistre furono sempre diffidenti versoi l’istituzione di un organo che sindacasse la costituzionalità delle leggi. Se la Corte doveva essere un organo giurisdizionale la competenza, anche solo in tema di legittimità, di una legge regionale l’avrebbe trasformata in un organo politico proprio per la natura dell’oggetto del giudizio: la legge e cioè l’espressione dell’organo elettivo regionale in seno al quale nella dialettica tra maggioranza e opposizione si sarebbe determinata la politica locale. Il giudizio avrebbe dovuto essere affidato al Parlamento, soggetto che per sua natura era molto più adatto a valutare la politicità insita in tali conflitti”. Cfr. nel dettaglio, anche AC 1971, vol. VIII, pagg. 2018-2020, da 2061 a 2063 dove si può trarre dalla voce dei protagonisti del dibattito questa tendenza.

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Vi era, d’un canto, un modello che guardava alla giustizia costituzionale come contesto di esercizio di funzioni “sostanzialmente giurisdizionale”: la Corte sarebbe stata esecutrice di una funzione squisitamente “giuridica” e mai “politica”.

La natura “vincolata” della decisione giudiziaria ne avrebbe consentito una piena controllabilità razionale. Di conseguenza, il sindacato di costituzionalità avrebbe potuto essere lasciato nelle mani di qualsiasi giudice. Tale impostazione teorica avrebbe però richiesto che il parametro – e quindi la Costituzione – fosse linguisticamente articolato in modo preciso, precludendo ogni margine di discrezionalità del giudice e chiarendo ex ante, nel dettaglio, i confini che il legislatore non avrebbe potuto oltrepassare.

D’altro canto, in base alla seconda impostazione, riconoscendo in nuce al giudizio sulle leggi una natura “politica”, vi era chi comprendeva che nel sindacato di costituzionalità vi fosse ampio spazio per l’esercizio di discrezionalità. Ciò, perché si comprendeva che se si fosse veramente voluto consentire alla Corte di esprimere il proprio ruolo di garanzia, sarebbe stato necessario dotarla di poteri incisivi ed efficacia, attribuendole un reale potere di incidenza (e quindi di revisione) delle scelte interpretative del legislatore.

La riluttanza (anche dogmatica) circa l’esercizio di tale discrezionalità da parte di un giudice (in senso sostanziale) ci fa comprendere come in questa prospettiva sia stata maggiormente sentita l’opportunità di attribuire il controllo sulle leggi ad un organo specializzato268, cercando di investirlo di una legittimazione tale da giustificare – entro una determinata misura – l’esercizio della discrezionalità nel controllo269.

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KELSEN, H., Chi dev’essere il custode della Costituzione (1929), cit. pagg. 227 ss.. È quindi la questione connessa alla rigidità costituzionale e alla sua effettiva garanzia, e quindi al controllo sull’esercizio della discrezionalità parlamentare che giustifica, in tali termini, la previsione di un giudice autorizzato a sindacare la conformità degli atti legislativi alla Costituzione.

269 Avverte BISOGNI, G., La politicità del giudizio sulle leggi. Tra origini costituenti e il dibattito

giusteorico contemporaneo, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017, pagg. X, che se anche alla luce di

questa seconda “logica” sarebbe ipotizzabile definire tale organo “giurisdizionale”, tale sarebbe una configurazione soltanto formale. Come se i costituenti avessero “presente questo problema e il loro obiettivo fosse quello di evitare di giungere a un approdo assimilabile all’impostazione statunitense dove la capacità del potere giudiziario di incidere “politicamente” sull’operato delle altre funzioni statali agendo, mediante il judicial review of legislation, quale attore politico-costituzionale pariordinato agli altri poteri federali, quasi in concorrenza con il legislativo e l’esecutivo”.

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Già si conosce quale fu l’approdo: la qualificazione della garanzia costituzionale in termini giurisdizionali. Ma sullo sfondo rimase la questione – a prescindere da quanto fosse presa sul serio dai costituenti – di una sorta di incompatibilità della carica politica che essa esprime con la natura giurisdizionale della sua collocazione. Infatti, se la natura sostanzialmente giurisdizionale della Corte avrebbe dovuto fornire un’identità precisa e di sicuro affidamento, l’inevitabile politicità della propria funzione avrebbe causato non rare difficoltà nel ragionare su questa nuova istituzione.

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