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Il quesito di fondo intorno alla natura politica o giurisdizionale dell’organismo che si intendeva creare corre lungo tutto il percorso di discussione e confronto verso l’approvazione della relativa disciplina nella Carta costituzionale.

Vi era però, come detto, un punto sul quale in Assemblea costituente ci si trovò sostanzialmente d’accordo. I progetti presentati nella Commissione per la Costituzione e il dibattito che li assistette dimostrano l’inconcepibilità di un giudice delle leggi che, seppure dotato del potere di controllo dell’atto massimamente espressivo della volontà democratica, potesse ingerirsi e metter

bocca sulla discrezionalità tradizionalmente riservata alle assemblee

rappresentative270.

Ne sarebbe rimasto pregiudicato il principio della sovranità, ovvero dell’unità politica che avrebbe necessariamente dovuto riconoscersi al Parlamento (unico organo autenticamente rappresentativo del popolo).

Ebbene l’ambivalenza che la Corte incarnava assumendo le vesti di un organo solo giurisdizionale prima, ma dal sapore anche di politicamente attivo poi, aprì ad una pluralità di ipotesi di disciplina nelle quali in buona sostanza si ripropone il dilemma legato al rischio di creare un’istituzione che sebbene in apparenza giurisdizionale, in realtà avrebbe inevitabilmente finito per esprimere una politicità non dissimile, e se non identica, molto prossima a quella legislativa.

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E ciò, soprattutto, se si tiene conto della natura programmatica di molte delle norme del parametro di controllo e cioè della Costituzione. Sempre secondo BISOGNI, G., La politicità del

giudizio sulle leggi, cit. pag. XI e XII le norme programmatiche, quali contrassegni distintivi e

irrinunciabili del costituzionalismo contemporaneo, rappresentano un avanzamento nella considerazione giuridica della personalità umana. Se in passato queste norme erano reputate come foriere di una discrezionalità non esercitabile da parte dei giudici, oggi invece lo sforzo della teoria giuridica contemporanea sta proprio “in un’opera di razionalizzazione delle stesse allo scopo di renderle fruibili

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4. Intermezzo. L’influenza del modello di giustizia amministrativa e il rimando al binomio legittimità/merito

È utile osservare come in sede costituente il tema della giustizia costituzionale fu subito esaminato nella specifica ottica riconnessa alla risoluzione dei conflitti di competenza tra gli organi dello Stato. Nella ricerca dell’organo deputato a dirimere i conflitti tra lo Stato e le nuove entità regionali, si avvertì immediatamente che l’ipotesi della previsione in capo alla Corte di una competenza esclusiva alla risoluzione di tali conflitti l’avrebbe resa un organo chiaramente politico.

Si cercò, quindi, di riproporre quella scissione che, sul piano della giustizia amministrativa, era ormai dogmaticamente acquisita. Si immaginò cioè di riservare il controllo di legittimità delle leggi alla Corte costituzionale, ma il merito sarebbe stato sempre e comunque affidato al Parlamento.

La carenza di una chiara matrice dottrinale giuspolitica intorno alla giustizia costituzionale spinse dunque i costituenti a impiegare ed utilizzare logiche forse desuete o comunque di antico conio, tutte intrise di quell’idea del giudice come mero esecutore della volontà legislativa.

Si impiegarono così i due concetti – legittimità e merito – con un rinvio teorico- giuridico che finì per costituire un’ulteriore base per decifrare e immaginare i compiti della Corte costituzionale.

La giustizia amministrativa rappresentava un tertium comparationis che avrebbe funto da riferimento “culturale” ricorrente: una sorta di modello a cui avrebbe dovuto ispirarsi anche l’architettura del sindacato di costituzionalità.

Guardando a questa impostazione si chiarisce ulteriormente il problema legato al dubbio sulla natura politica o giurisdizionale della Corte. E si chiarisce una delle ragioni – se si pensa anche all’esercizio del controllo oltre ai conflitti tra stato e regioni anche a quelli tra poteri dello Stato – dell’opportunità di assegnare tale funzione a un organo di natura senz’altro politica (quindi il Parlamento), o comunque a un organo giurisdizionale ad hoc quale si pensava potesse essere la Corte costituzionale.

I costituenti ebbero, insomma, come esempio quello del Consiglio di Stato. La fisionomia teorica del giudice amministrativo rispondeva pienamente all’esigenza dei costituenti di istituire un controllo a garanzia dei diritti individuali del cittadino

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sul massimo dei poteri costituiti, senza però compromettere o incrinare il primato della legge.

Peraltro, la vischiosità di un tale argomentare teorico è chiarito dal rilievo che – procedendo nel dettaglio e lavorando di cesello sulla nuova Istituzione – si capì ben presto come il ricorso a certi concetti non avrebbe di certo risolto le questioni presupposte alla definizione di una figura istituzionale che si mostrava molto più impalpabile quanto più su di essa si approfondiva il dibattito.

Superata la fase dell’inquadramento generale del nuovo Organo nell’ambito

giurisdizionale, superata la fase delle facili analogie giustizia

nell’amministrazione/giustizia nella legislazione, questi inquadramenti iniziarono però a vacillare.

Lo spazio che avrebbe dovuto essere circoscritto da tali concetti si rivelava invece molto meno circoscritto, con la conseguenza che il concreto assetto del giudizio di costituzionalità non si prestava ad una disciplina univoca.

Modellare la Corte sul Consiglio di Stato non avrebbe certo garantito quella ricercata identità con la concezione continentale della giurisdizione proprio per la problematica estensione del suo operato dalla sfera degli atti dell’esecutivo alla sfera della legislazione. In sostanza, la possibilità che aveva la Corte di spostarsi sul crinale che divide (o che lega) i diritti fondamentali del cittadino e l’interesse all’integrità dell’ordinamento costituzionale, si poneva lì come la manifestazione di una politicità del nuovo organismo che andava in ogni modo contenuta.

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5. I progetti sulla Corte costituzionale presentati in sede costituente (i