• Non ci sono risultati.

5. I progetti sulla Corte costituzionale presentati in sede

5.3. Il progetto Leone

Il progetto presentato dall’On. Leone mostra la coscienza del possesso, da parte della giustizia costituzionale, di una propria autonomia e di una propria peculiarità rispetto ai tradizionali poteri dello Stato emerge forse con maggiore chiarezza.

Più che un qualcosa di estraneo e stonato, imposto dalla rinnovata natura rigida della Costituzione, nella funzione della istituendo Corte si scorge la normale conseguenza della nuova stagione politico-costituzionale.

Lo si sta per vedere. Ma prima occorre ribadire che anche nel progetto del futuro Presidente della Repubblica vi è la conferma della necessità di non intaccare l’autorità incontrastata del primato della legge.

166

Nel progetto presentato, il giudizio delle leggi è strutturalmente costruito, come nel caso di Calamandrei, secondo il modello accentrato. Ma, a differenza di quest’ultimo, nel modello di Leone era prevista un’assai più estesa legittimazione ad adire la Corte e soprattutto, sul piano degli effetti delle sue pronunce, una più consistente efficacia. Esse sarebbero state di annullamento e avrebbero prodotto i propri effetti in via retroattiva.

Anche nella visione di Giovanni Leone, l’obiettivo del controllo di costituzionalità consisteva nella repressione degli abusi che la maggioranza avrebbe potuto commettere a danno della Costituzione, offendendone il fondamentale requisito della rigidità, ma rispetto a Calamandrei, nel progetto del Giurista napoletano il Parlamento sarebbe stato estromesso da qualsiasi titolarità nella funzione in esame.

Il giudizio di costituzionalità era costruito secondo la logica del controllo. Ne conseguiva, dunque, l’impossibilità (oltre che l’inopportunità) di confondere in un unico organo, il Parlamento, il ruolo del controllore e del controllato.

Nel progetto di Calamandrei, comunque non estraneo alla logica del controllo, le due funzioni si sarebbero potute contemperare perché la consapevolezza circa la natura politica del sindacato impediva di tagliare fuori il Parlamento da qualsiasi attività, financo giurisdizionale, che producesse effetti sul prodotto della sua volontà. Ove il giudice costituzionale avesse potuto rendere invalida una legge, senza alcun visto parlamentare, si sarebbe offeso non solo il primato del legislativo, ma si sarebbe ammessa apertis verbis una piena politicizzazione del giudice costituzionale.

Ma in ciò, per Leone, era il costo da sopportare una volta accettato il carattere anche politico del giudizio di costituzionalità.

Del progetto presentato da Leone è interessante notare l’enfasi che viene attribuita al concetto di “garanzia” e alla esigenza di dare un significato pregno alla rigidità della Carta costituzionale.

Come Kelsen, il processualista riconosce che in mancanza di una siffatta garanzia, tale innovativo attributo della Costituzione sarebbe rimasto privo di valore. Non si poteva quindi assegnare al Parlamento la prerogativa di controllare se stesso.

167

Certo, con il raggiungimento di questo obiettivo si sarebbe conseguita, di fatto, una limitazione della sovranità del popolo rappresentato in Parlamento e quella frattura dell’unità ordina mentale tanto cara ai giuristi positivi di epoca liberale.

Si avvertiva, quindi, anche nell’articolato suggerito da Leone, il dilemma di fondo relativo alla relazione tra legge e sentenza di incostituzionalità.

Ma in Leone, a differenza di Calamandrei, la questione non si pone in termini di prevalenza dell’una o dell’altra. Leone aveva accettato che il principio della tripartizione dei poteri fosse “inidoneo” a qualificare questo rapporto.

La visio che propugnava il Giurista guardava piuttosto a una Corte investita del limitato compito di sanzionare le lesioni che il Parlamento avrebbe potuto commettere a danno della rigidità costituzionale. E in questa attività la giurisprudenza della Corte avrebbe dovuto esprimere il massimo dell’obiettività e dell’indipendenza275.

Le sarebbe stata chiaramente preclusa qualsiasi “trascendenza” che potesse sconfinare in una vera e propria “cogestione” dell’indirizzo politico espresso nella legislazione.

Secondo Calamandrei – che invece rimaneva fermamente fedele allo schema concettuale discendente dalla tradizionale tripartizione dei poteri – occorreva tenere separati un controllo che sarebbe giocoforza sconfinato nel giudizio politico (controllo in via principale), da quello che poteva risolversi in un giudizio asseritamente solo tecnico (controllo in via incidentale, con natura intrinsecamente giurisdizionale). Secondo Leone – forte della consapevolezza riguardo all’alterità della funzione di controllo della legittimità costituzionale rispetto alla tripartizione dei poteri – era ben possibile riunire entrambi gli aspetti in un unico sindacato.

Non poteva, infatti, artatamente e mediante tecnicismi e sofisticazioni comprimesi la particolare natura del giudizio di costituzionalità, un autentico Giano bifronte che presentava allo stesso tempo aspetti di politica e tecnica.

Anzi, proprio la riunione di entrambi questi attributi costituisce la base del progetto Leone, conferendo al sindacato di costituzionalità un raggio di azione senz’altro più ampio rispetto al progetto Calamandrei. E ciò sebbene anche Leone rimase fermo nell’attribuire preminenza al valore dell’unità politica.

168

Lo fece immaginando una molteplicità di espedienti e meccanismi diretti ad impedire che il volto politico del sindacato comportasse il venir meno, o comunque un depotenziamento, del principio di centralità della legge nell’ordinamento costituzionale.

Per evitare che il Parlamento, in ragione del contenuto politico della sentenza di incostituzionalità, scivolasse in una posizione deteriore rispetto alla Corte, furono congegnati due strumenti concettuali.

Anzitutto, proprio in base alla distinzione organo di controllo/organo controllato, così com’era precluso al Parlamento l’autocontrollo sulla propria attività, allo stesso modo si impediva che l’organo di controllo si facesse organo “attivo”, propugnando orientamenti innovativi rispetto a quelli definiti in sede parlamentare. L’esercizio della funzione, insomma, non avrebbe dovuto risolversi in una compartecipazione alla gestione dell’indirizzo politico.

Essa si sarebbe dovuta, piuttosto, immaginare come attività di vigilanza: mediante lo strumento dell’annullamento retroattivo si sarebbe potuta circoscrivere l’area all’interno della quale il Parlamento avrebbe dovuto e potuto operare.

In secondo luogo – ed è forse questa la soluzione che avrebbe offerto maggiori possibilità nel perseguimento dell’obiettivo di contenere la politicità della Corte – è ancora una volta nella rigorosa giurisdizionalizzazione del relativo procedimento.

Ma se la strutturazione in senso strettamente processuale di tale funzione appare in Calamandrei, ancora una volta, come il precipitato di concezioni dei poteri pubblici fermamente ossequiose del primato della legge, così non fu nel caso di Leone.

Comprendendo di più dell’insigne Collega l’inedita natura che avrebbe connotato la nascente Corte costituzionale, Leone risolveva il problema dei rapporti tra Parlamento e Corte tramite una soluzione nella quale il garante avrebbe dovuto incidere il meno possibile sulle prerogative del garantito.

Quindi, seppure la qualificazione “giurisdizionale” del controllo di costituzionalità è certamente un dato comune, esso si declina però in modo diverso: in Calamandrei il giudizio di costituzionalità di una legge si manifestava come funzione sostanzialmente giurisdizionale configurandosi come la replica, sul piano costituzionale, del giudizio di legittimità che il giudice ordinario, sul piano

169

legislativo, già conduceva sulle fonti sott’ordinate alla legge. Diversamente, in Leone, il carattere giurisdizionale del controllo di costituzionalità fungeva da limite per una funzione che non veniva però ritenuta intrinsecamente tale.

Muovendo dal presupposto che tale forma di garanzia sarebbe stata in grado di produrre un impatto considerevole sulla preminenza della legge, essa allora avrebbe dovuto esprimersi in modo circoscritto. In concreto, quindi, le si sarebbero costruiti intorno gli argini del processo giurisdizionale.

Leone, inoltre non conveniva sulla scelta di attribuire alla Cassazione tale sindacato. E ciò rivela ulteriormente la considerazione dell’autentica originalità di siffatta funzione. Dice Leone: “se il giudice comune avesse potuto sindacare la costituzionalità delle leggi avrebbe finito col tradire un immagine di sé che trapassa indenne dall’età statutaria al nuovo regime repubblicano e che lo vuole dedito a un’attività di mera interpretazione ed applicazione della legge nella quale non sia concesso alcuno spazio per considerazioni di natura politica”276.

A ben vedere, infatti, tra i due giudizi – tecnico e politico – senz’altro quest’ultimo rappresentava per Leone l’aspetto davvero qualificante della nuova istituzione. Anzi, il giudizio di costituzionalità avrebbe dovuto considerarsi addirittura “soltanto” politico.

Non è, infatti, frutto del caso che nel suo progetto i componenti della Corte condividano sensibilità e linguaggio dell’organo soggetto a controllo: Leone immagina che i giudici costituzionali sarebbero stati tutti nominati solo ed esclusivamente dal Parlamento.

Anche sotto questo aspetto, poste a confronto le due proposte se ne comprende in fondo la rispettiva coerenza. Suddividendo il sindacato in un giudizio politico e in un giudizio tecnico-giuridico, Calamandrei immaginava una Corte a sua volta divisa tra membri eletti dalla magistratura e membri eletti dal parlamento. Leone, intuendo che il controllo avrebbe avuto carattere inevitabilmente politico, comunque lo si volesse organizzare, scelse di ancorarne i criteri di valutazione a quelli che presiedono la funzione legislativa, già a partire dalla composizione della Corte di soggetti eletti dal Parlamento.

170

Insomma, secondo il Giurista napoletano, soltanto restringendo l’incidenza del nuovo Organismo attraverso una stretta giurisdizionalizzazione del procedimento si sarebbe potuto predisporre una garanzia costituzionale avverso la legge senza sminuirne il primato.

Per Leone, tuttavia, la veste processuale della Corte costituzionale altro non era che una sorta di strumentalizzazione del procedimento giurisdizionale diretta a comprimerne la politicità della funzione di garanzia costituzionale. Leone, coerentemente, guardava alla Corte come un organo di garanzia, non tanto delle posizioni giuridiche soggettive dei singoli, quanto piuttosto dell’unità politica dell’ordinamento, la cui tutela al limite avrebbe potuto semmai, anche solo indirettamente, estendersi ai diritti fondamentali del cittadino.

Il Giurista napoletano era meno condizionato dal concetto sostanziale di giurisdizione, comprendendo invece che da un suo uso ortodosso sarebbe potuta derivare un’eccessiva enfasi della sostanza politica del giudizio di costituzionalità. Si sarebbe offerta al ceto magistratuale la possibilità di esprimere una politicità omogenea e, come tale, concorrenziale con quella del Parlamento.

Quanto alla soluzione propugnata da Calamandrei per stemperare la politicità del giudizio costituzionale – e cioè di intervenire sul parametro di tale giudizio – Leone se ne discosta preferendo la via della giurisdizionalizzazione del procedimento.

In questo modo il binomio politico/giurisdizionale non si sarebbe posto perché:

a) collocando la Corte in una sfera ben delimitata, b) prevedendo che la legge

incostituzionale non potesse essere impugnata oltre un termine di decadenza e, c) formandosi il giudicato su un eventuale rigetto della Corte, sarebbe stato capriccioso e superfluo soffermarsi sull’interrogativo se la Corte avesse avuto una natura politica o giurisdizionale.

Nella visione disincantata di Leone, sarebbe stato inutile agire sul parametro del giudizio di legittimità costituzionale (la Costituzione), ad esempio cercando di limitare il più possibile le norme a contenuto programmatico e anzi l’apparente

vulnus alla legge avrebbe, invece, prodotto il contrario: avrebbe garantito una

171

adeguato al nuovo contesto storico politico, delle costituzione lunghe e rigide, e al rinnovato valore della sovranità.

172

6. Generazioni a confronto: le posizioni di Luigi Ferrajoli e Gustavo