• Non ci sono risultati.

Ferrajoli e la giustizia costituzionale, la vicinanza alla

6. Generazioni a confronto: le posizioni di Luigi Ferrajoli e

6.2. Ferrajoli e la giustizia costituzionale, la vicinanza alla

Ferrajoli è cosciente che l’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale segna se non proprio una scissione, almeno l’instaurarsi di una tensione tra

gubernaculum e jurisdicitio – tra funzioni di governo e funzioni di garanzia, per

usare il lessico di Ferrajoli – circa la titolarità nell’assunzione delle decisioni politiche fondamentali282.

Una tensione che vede il proprio fulcro nel concetto stesso di rigidità della costituzione e nel fatto che vengano posti limiti alla discrezionalità politica del Parlamento283, sino a sottrarre completamente al suo potere di decisione una “sfera dell’indecidibile”284; quest’ultima posta a salvaguardia della democraticità

282

FERRAJOLI, L., Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia, 3 voll., Laterza, Roma- Bari, 2007, Vol. 1, Teoria del diritto, pagg. 525 e 881

283

FERRAJOLI, Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Vol. II pag. 6 e ss. dove l’Autore osserva che la novità introdotta dal paradigma dello stato costituzionale di diritto è, pertanto, che «anche il supremo potere legislativo è giuridicamente disciplinato e limitato, con riguardo non solo alle forme, predisposte a garanzia dell’affermazione della volontà della maggioranza, ma anche della sostanza del suo esercizio, vincolato al rispetto di quelle specifiche norme costituzionali che sono il principio di eguaglianza e i diritti fondamentali».

284Dice l’Autore, «questa sfera dell’indecidibile altro non è che la sfera pubblica degli interessi di

175

dell’ordinamento. Di fianco a ciò, il rilievo che vi sia la necessita di porre a presidio di questi limiti un organo di giustizia costituzionale, con il compito di dichiarare nulle tutte le leggi, ordinarie e costituzionali, che tali limiti oltrepassino285.

A monte sta la questione ancora più risalente – sia dal punto di vista logico che cronologico – sul rapporto tra democrazia politica e costituzione, riassumibile nell’interrogativo se una generazione possa vincolare le generazioni future alle proprie decisioni, rese immodificabili perché calate in una costituzione rigida286.

Come Piero Calamandrei, nell’approcciarsi al tema della giustizia costituzionale il Prof. Ferrajoli impiega consapevolmente il concetto di giurisdizione mostrandosi altresì consapevole che questo impiego comporta che da una parte il ragionamento giudiziario debba essere vincolato e, d’altra parte, che qualsiasi operazione teorica su tale reasoning implichi la necessita di verniciare le conseguenze che impattano su detta qualificazione.

La giurisdizione è e deve rimanere ratio e non auctoritas.287 Essa si caratterizza, come nella visione schmittiana (la “sussunzione conforme alla fattispecie” quale elemento qualificante della funzione giurisdizionale), per le connotazioni intrinseche della funzione, e non perché è esercitata da un funzionario denominato

judex.

285 Sul punto cfr. TRIPODINA, C., “È la corte costituzionale l’unico potere buono? Una domanda a

Luigi Ferrajoli. Ovvero, sui vincoli e sui limiti del giudice delle leggi”, in Costituzionalismo.it,

Fascicolo 2, 2010, pagg. 3 e ss. Della stessa Autrice è celebre il saggio, ID., Elia e il posto della

giustizia costituzionale: remedium omnipotentae et impotentiae ,in Diritto pubblico, Fascicolo 2,

maggio-agosto 2009.

286 Ferrajoli sostiene a riguardo che la rigidità della costituzione è al tempo stesso espressione e

garanzia della sovranità popolare delle generazioni future e degli stessi poteri delle future maggioranze. FERRAJOLI, L., Principia Iuris. Vol. II, pag. 88

287 Il binomio ratio/auctoritas è utilizzato da Carl Schmitt per descrivere il concetto di giurisdizione

in senso sostanziale. Ricorda BISOGNI, G., La politicità del giudizio sulle leggi, cit. pag. 15 e ss. come “Per Schmitt la funzione giurisdizionale è tale non per la forma attraverso cui è esercitata, ma per la sua natura applicativa essendo i giudici chiamati ad applicare norme al caso concreto. La decisione del giudice deve essere essenzialmente il frutto di ratio e non di auctoritas. La sua controllabilità razionale non passa attraverso le modalità con le quali si forma il giudicante e i vincoli procedurali per mezzo dei quali la sentenza è prodotta, ma per il tramite del suo contenuto che non può mai essere deciso dal giudice, ma deve essere predeterminato ovvero vincolato dalle norme.

176

Dette connotazioni, o qualità, sono riassunte nella verificabilità razionale del procedimento intellettuale che produce l’atto di espressione della giurisdizione, la sentenza.

Questa è, infatti, un atto di accertamento288 che deve presentare il carattere della coerenza con le norme sostanziali da applicare e che, necessariamente, postula la sussunzione in esse.

Rispetto a Schmitt, Ferrajoli si mostra distante dell’ambiguità relativa al margine di tolleranza sulla discrezionalità del giudice, sostenendo che essa esprima fenomeno normale e soprattutto che si risolva, teoreticamente, quale carattere intrinseco a qualsiasi esercizio della funzione giurisdizionale289.

Anche ad avviso di Ferrajoli, infatti, qualsiasi operazione di sussunzione alle norme sostanziali da applicare, operata dalla sentenza, non elide comunque un margine o un momento di opinabilità290. Si tratta, infatti, di attività nella quale è inclusa l’interpretazione e in cui rileva la probabilità (e mai la certezza) della prova dei fatti rilevanti.

Il Filosofo fiorentino aggiunge che nell’esercizio della giurisdizione occorre considerare anche l’immancabile questione della “comprensione equitativa” del

288

FERRAJOLI, L., Principia Iuris. Vol. 1, Teoria del diritto, cit. pagg. 525 e 881.

289

La tesi di Ferrajoli si avvicina alla posizione di KELSEN, H., Chi dev’essere il custode della

costituzione?, in La giustizia costituzionale, cit., pag. 241, dove afferma che è errato presupporre che

«l’esercizio del potere si esaurisca nel procedimento legislativo. Non si vede o non si vuole vedere che esso trova la sua sostanziale continuazione e talora perfino il suo effettivo inizio nella giurisdizione non meno che nell’altro ramo dell’esecutivo, l’amministrazione. Se si individua il “politico” nella risoluzione dei conflitti d’interessi, nella “decisione” (dezision) – per usare la terminologia di Schmitt –, in ogni sentenza giudiziaria è presente, in varia misura, un elemento derisorio, una dose di esercizio del potere. Il carattere politico della giurisdizione è tanto più marcato quanto più ampio è il potere discrezionale che la legislazione, generale per sua natura, le deve necessariamente lasciare. L’opinione che solo la legislazione sia politica ma non la “vera” giurisdizione è tanto errata quanto l’opinione che solo la legislazione sia produttiva creazione del diritto e la giurisdizione ne sia, invece, mera applicazione riproduttiva. Quando il legislatore autorizza il giudice a valutare, entro certi limiti, interessi tra loro contrastanti e a decidere il contrasto in favore dell’uno o dell’altro, gli attribuisce un potere di creazione del diritto e quindi un potere che dà alla funzione giudiziaria lo stesso carattere “politico” che ha la legislazione. Il carattere politico dell’una e dell’altra presenta una differenza puramente quantitativa e non già qualitativa». E con riferimento in particolare alla funzione giurisdizionale costituzionale, IBIDEM, pagg. 249 s.: «tra legge e sentenza giudiziaria non c’è differenza qualitativa, che questa produce diritto al pari di quella, che la sentenza di un tribunale costituzionale, per il fatto di essere un atto di legislazione, cioè di produzione del diritto, non cessa di essere un atto di giurisdizione, cioè di applicazione del diritto, e, non da ultimo, che, poiché l’elemento della “decisione” non è affatto limitato alla funzione legislativa ma è anche - e necessariamente - contenuto nella funzione giurisdizionale, questa deve avere carattere “politico” al pari di quella».

177

fatto accertato costituisce ulteriore elemento che conferisce alle sentenze, irrimediabilmente, un certo grado di discrezionalità.

Ciò, però, secondo Ferrajoli non può condurre alla conclusione kelseniana secondo la quale l’applicazione di norme, indipendentemente che essa sia svolta dal legislatore o dal giudice, sia un’attività funzionalmente omogenea291.

Per Kelsen la giurisdizione si distingue dalla legislazione su base meramente procedurale. Ma se le differenti procedure sono considerate nella prospettiva del concetto di fonte del diritto e alla luce della distinzione tra produzione e applicazione di norme, allora giurisdizione e legislazione sono perfettamente omogenee.

Infatti, entrambe applicano norme ed entrambe, applicandole, ne producono di nuove. Solo reinterpretando la funzione della Corte costituzionale in questa chiave sarebbe possibile un utile impiego della giustizia costituzionale, sindacando i dubbi e le divergenze di opinione che il concetto sostanziale schmittiano di giurisdizione le preclude.

Per Kelsen, infatti, la funzione giurisdizionale non è nella sua essenza ratio, ma auctoritas e dunque la precostituzione del contenuto cessa di essere un elemento qualificante della funzione giurisdizionale.

Anche in Kelsen, dunque, la discrezionalità non è fenomeno occasionale, ma rappresenta invece una manifestazione regolare della funzione giurisdizionale292.

291

BISOGNI, G., ne La politicità del giudizio sulle leggi, ricostruisce e sintetizza il pensiero kelseniano, utilizzandolo come sponda per analizzare le posizioni che sul tema della giustizia costituzionale si sono manifestate in Assemblea costituente e che, successivamente hanno alimentato il dibattito teorico che su tale tema si è sviluppato in Italia e nel mondo. In particolare, con riferimento all alle teorie di Kelsen, ricorda (pag. 55) che “La Verfassungsgerichtbarkeit non è riconducibile al concetto sostanziale di giurisdizione: il giudizio delle leggi, se non vuole limitarsi a rilevare evidenti casi di incostituzionalità, deve essere politico ovvero deve esercitare discrezionalità e ciò è possibile soltanto se ci si discosta da un concetto di giurisdizione che tende a vederla come funzione essenzialmente vincolata. Per Kelsen la giustizia costituzionale in tanto conta in quanto il suo giudizio non sia surrogabile da parte di qualsiasi altro giudice e disponga di quella legittimazione procedutale tale da compensare un’interpretazione costituzionale che per lo più non è e non deve essere una mera sussunzione conforme alla fattispecie. Non è dunque possibile per Kelsen conservare una legittimazione solo razionalistica del giudice costituzionale quanto si vuole che la sua interpretazione della costituzione sia essenzialmente discrezionale e di conseguenza tale interpretazione dovrà essere considerata sotto il profilo teorico in funzione dell’auctoritas che esso esprime.

292

La mediazione che il giudice offre non sarebbe più “nulla o minimale”, non si legittimerebbe più in chiave razionale, ma proceduralmente e quindi in quanto svolta conformemente alle norme che

178

Secondo Ferrajoli, però, l’assimilazione tra legislazione e giurisdizione emergente dal pensiero di Kelsen, trascura una necessaria distinzione tra tipologie di norme.

Occorrerebbe, infatti, tracciare una demarcazione tra il tipo di discrezionalità offerta dalle norme delle quali è richiesto unicamente il rispetto, dalla discrezionalità lasciata a norme delle quali è richiesta l’applicazione sostanziale.

Se, nel primo caso, il momento applicativo può esprimere tutto il contenuto che non è vietato dalla norma sostanziale da applicare, nel secondo, quello stesso atto è assolutamente vincolato all’assunzione di un preciso contenuto prescritto dalla norma.

In tal caso, quel poco di discrezionalità che residua, si colloca soltanto sul piano interpretativo, in relazione al significato proprio delle norme sostanziali da applicare.

Si può dire che Ferrajoli sviluppa ciò che nella teoria di Schmitt rimane in sospeso: e, cioè, che il giudice esercita in fondo una scarsa discrezionalità, suggerendo una mediazione minima; e ciò in quanto le norme che si trova ad utilizzare sono dotate di caratteristiche strutturali idonee a consentire un tipo di discrezionalità qualitativamente differente (più stretto e circoscritto) rispetto a quello esercitato con le norme di cui si chiede solo il rispetto.

Divengono, da questo punto di vista, inammissibili tentativi teorici che tendono, al contrario, ad ampliare di molto il margine di discrezionalità interpretativa di cui gode il giudice (ad esempio, sulla base della esaminata distinzione tra regole e principi).

Per Ferrajoli, tali tentativi, oltre ad annebbiare la differenza che corre tra le varie tipologie di norme, si mostrano infatti indifferenti alla teoria costituzionale, finendo con lo smarrire la distinzione tra legislatore e giudice293.

disciplinano l’ufficio del giudice e la procedura da seguire KELSEN, H. Dottrina pura dle diritto, cit. pag. 267 e ss.

293 Ferrajoli identifica essenzialmente due funzioni pubbliche, che devono essere necessariamente

separate perché una costituzione possa dirsi democratica: le “funzioni di governo” e le “funzioni di garanzia”, «riconducibili grosso modo alle due grandi dimensioni della fenomenologia della produzione giuridica: volontà e conoscenza, potere e sapere, forma e sostanza, innovazione e conservazione, disposizione e accertamento, legis-latio e iuris-dictio». FERRAJOLI, L., Principia Iuris, Vol. I Teoria

179

Tali funzioni hanno rispettivamente un legame stretto con le sfere del decidibile e dell’indecidibile, nel senso che «sono espressione della sfera discrezionale del decidibile quelle che chiamerò funzioni di governo e che includono sia le funzioni legislative che quelle governative di indirizzo politico e amministrativo. Sono invece istituite a difesa della sfera vincolata dell’indecidibile quelle che chiamerò funzioni di garanzia e che includono, oltre alla funzione giudiziaria di garanzia secondaria, le funzioni di controllo e tutte le funzioni di garanzia primaria dei diritti di libertà e dei diritti sociali»294.

Al fine di poter tracciare, concettualmente, una linea distintiva tra le due figure e, soprattutto, per non confondere i due tipi di discrezionalità da essi rispettivamente esercitati, è imprescindibile comprendere lo scarto che insiste tra rispetto e applicazione sostanziale. Infatti, secondo Ferrajoli, sebbene una sfera del decidibile sia sempre legata all’esercizio di qualunque potere, veritas, non

auctoritas facit iudicium mentre auctoritas, non veritas facit legem295.

La prima formula qualifica quella che Ferrajoli chiama “funzione di garanzia” e che viene da questi attribuita alla giustizia costituzionale (caratterizzata dalla vincolatività degli atti in cui le regole si estrinsecano); l’altra è, invece, propria delle funzioni di governo, tenute esclusivamente al rispetto delle norme sostanziali, disponendo, per il resto, di una naturale e legittima discrezionalità.

La discrezionalità del legislatore, quale manifestazione di auctoritas presuppone una legittimazione “forte”, di tipo politico. Essa, semplicemente consiste (rectius deriva) dalla diretta rappresentatività democratica che l’organo legislativo trae dal principio democratico e di rappresentatività.

Al contrario, nel caso delle istituzioni in cui si esprime l’esercizio della funzione giurisdizionale, il punto di riferimento è la veritas.

Essa non ha bisogno – né deve averne – di una sponda rappresentativa: non perché Ferrajoli si accontenti di ricorrere all’argomento tradizionale secondo il quale il legislatore esprime l’unità politica di un popolo, ma semplicemente perché è assoggettata a norme suscettibili di applicazione sostanziale.

294

FERRAJOLI, L., Principia Iuris, Vol. I Teoria del diritto, cit. pag. 872

180

L’applicazione di tali norme è, infatti, sostanzialmente vincolata, producendo quel vincolo al testo normativo che per Schmitt giustifica la piena indipendenza funzionale e organizzativa della giurisdizione.

Sicché, se è evidente che l’unica fonte di legittimazione delle funzioni di governo è la rappresentanza politica (da cui la volontà popolare è necessariamente mediata); e l’unico criterio di scelta legittimo, oltre che razionale, all’interno della sfera del decidibile è la volontà della maggioranza di governo, allora è altrettanto evidente che «le funzioni e le istituzioni di garanzia sono antimaggioritarie; perché devono garantire parimenti i diritti fondamentali di tutti; perché devono accertare e sanzionare gli atti invalidi o illeciti dei titolari dei pubblici poteri, i quali equivalgono agli spazi illegittimi della politica; perché, infine, la loro fonte di legittimazione non è la contingente volontà popolare, ma la volontà popolare che si è espressa nella legge [costituzione], e perciò la “verità giuridica” dei presupposti delle decisioni che ne sono esercizio»296.

Per Ferrajoli la separazione funzionale del potere giudiziario rispetto al potere legislativo – e la separazione organica fra questi con il correlato divieto di cogestire l’esercizio della funzione giurisdizionale e con la conseguente “sussunzione” di quest’ultima unicamente ed esclusivamente alla legge – sta nel divieto che i funzionari del potere giudiziario siano designati dal potere esecutivo/legislativo.

Infatti, riguardo all’articolazione organizzativa di un sistema di giustizia costituzionale, Ferrajoli mostra il proprio disfavore per il modello statunitense ove la designazione dei justices avviene da parte dell’esecutivo. E ciò lo induce a mettere addirittura in discussione la stessa natura giurisdizionale, finendo la

Supreme Court per l’applicare il diritti in maniera notevolmente discrezionale.

La tipologia organizzativa della giustizia costituzionale preferita da Ferrajoli è infatti costruita secondo il modello accentrato. E ciò, non soltanto per la critica

296

FERRAJOLI, L., Principia Iuris, Vol. I Teoria del diritto, cit. pagg. 876 e ss., dove si vede che la funzione giudiziaria (costituzionale e non), e più in generale la funzione di garanzia, si configura come «contro-potere, deputato al controllo sull’illegale esercizio degli altri poteri». Ma il fatto che le funzioni di garanzia siano, per fonte di legittimazione, antimaggioritarie non le rende meno democratiche di quanto non lo siano le funzioni di governo, nel senso che, «garantendo tutti, esse riguardano il popolo intero, non già quale rappresentanza della sua maggioranza, ma quale insieme di tutte le persone che lo compongono».

181

rivolta al judicial review, ma anche e specificamente, sulla base di un ulteriore argomento di natura tecnica: un sindacato accentrato di costituzionalità è preferibile anche sotto il profilo della certezza del diritto, garantendo il vantaggio di un indiscusso e generale annullamento della legge incostituzionale297.

Sullo specifico tema della politicità del giudizio sulle leggi, Ferrajoli comprende che si tratta di una questione ineludibile della teoria della giustizia costituzionale, ma ad un approfondimento dedicato l’Autore preferisce sostituire la tesi per la quale “l’unica forma di legittimazione che si addice alla giurisdizione sia l’integrale sottoposizione alla legge e la correlativa integrale separazione organica rispetto al legislativo e all’esecutivo, enfatizzando la natura autenticamente giudiziaria dell’interpretazione costituzionale”.

In questa misura Ferrajoli mostra il proprio dissenso con il costituzionalismo principialista298: la concezione che questa Scuola propugna dell’interpretazione giuridica come scarsamente sussuntiva (riconducendola piuttosto a un’impresa valutativa) secondo il Giusfilosofo pecca nel conferire al giudice, a qualsiasi giudice anche quello costituzionale, una funzione per la quale esso non è giuridicamente attrezzato.

Peraltro, tale contrarietà discende non tanto dall’esigenza di tutelare una normatività piena della Costituzione, ma soprattutto per evitare che l’applicazione di quella finisca per il transitare per la maggior parte attraverso istituzioni che non hanno quella legittimazione politica necessaria e sufficiente per farlo.

Proprio perché ritiene che la giustizia costituzionale non faccia e non debba fare politica Ferrajoli, riprendendo la visione schmittiana, la considera quale istituzione acconcia ad esercitare una tutela meramente emergenziale della costituzione. Tutela che dovrebbe essere sostanzialmente giurisdizionale e quindi basata su presupposti tassativamente determinati e su contenuti normativi della decisione anch’essi predefiniti.

È evidente dunque che ravvisando nelle norme di principio che affollano la Costituzione una peculiare (ma pur presente) giuridicità, in sede di applicazione di

297 FERRAJOLI, L., Principia Iuris, Vol. II Teoria del diritto, cit. pag. 37 e 93

298 FERRAJOLI, Costituzionalismo principia lista e costituzionalismo garantista, in

182

quelle norme (che una sensibilità teorica ottocentesca e primo novecentesca ancora considerava prive di significato giuridico) vi sia il tentativo di attribuire peso alla

ratio (e non all’auctoritas) della giurisdizione

Insomma, Ferrajoli non nega che un controllo di costituzionalità svolto all’interno di un tale quadro normativo richieda complesse operazioni interpretative e un’adeguata ponderazione tra i vari diritti fondamentali. Ma la conseguenza che ne fa discendere è che il giudizio costituzionale ponderato299 comporterà uno spazio maggiore di discrezionalità del giudizio costituzionale rispetto al giudizio ordinario di sussunzione, pur rimanendo all’interno di una logica strettamente giurisdizionale.

Per evitare il dilemma tra una giurisdizione inutile che si limiti a mere sussunzioni conformi alla fattispecie, restando nell’ambito dei confini che il suo concetto sostanziale esprime, e una giurisdizione che si occupi di “dubbi e divergenze di opinione”, trasformandosi fatalmente in una Corte politica, come abbiamo visto nel caso del progetto Calamandrei, Ferrajoli si rifugia nella necessità che si provveda a una riformulazione della stessa legalità costituzionale attraverso una formulazione più precisa delle norme costituzionali e in particolare dei diritti fondamentali.

Andando oltre, e volendoci domandare quale sia effettivamente la posizione di Ferrajoli sulla Corte, certo questi non teorizza mai espressamente la Corte costituzionale come potere buono; anzi, pone a fondamento del paradigma della democrazia costituzionale il «rifiuto dell’idea stessa dell’esistenza di un “potere buono”»300

.

299 A proposito del giudizio di bilanciamento per risolvere conflitti tra diritti, FERRAJOLI, L.,

Principia iuris, vol. II, cit, pag. 74 e ss., riconosce che «tale giudizio, di solito affidato alla giurisdizione costituzionale, è inevitabilmente caratterizzato da un grado più o meno ampio di discrezionalità interpretativa» e che, più in generale, «anche la giurisdizione, sia essa ordinaria o costituzionale,