Pur senza rimuovere del tutto la tradizione di ostilità a un controllo giurisdizionale, durante la III Repubblica (1871/1946) vi furono numerosi momenti di dibattito sulla questione del controllo di costituzionalità. È un dibattito dottrinale, centrato sulla possibile istituzione di un sistema di giustizia costituzionale, proprio in ragione della squalifica del controllo politico maturata nel tempo.
La contestazione di un preteso feticismo della legge è, almeno in parte, una invenzione dei novatori della fine del XIX secolo, in particolare il Geny42 che evocando un controllo di costituzionalità da
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Cfr. GICQUEL, J., Droit Constitutionnel e institutions politiques, Paris, 1989, 213: « Leur domestication donne la mesure de la perversion de leur
mission ».
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Gény, François - Filosofo del diritto (1861 - 1959). Nelle opere Méthode
d’interprétation et sources en droit privé positif, essai critique (1899), e Science et technique en droit privé positif (4 voll., 1913-24), reagendo al pensiero dei
cosiddetti esegeti del codice napoleonico, escluse che l’ordine giuridico possa esaurirsi nella legge, sempre più incapace a disciplinare il numero crescente di rapporti umani, e rivendicò al l’in terprete una funzione attiva; per G. il giurista può rinnovare lo spirito della legge prima che la lettera sia modificata dall’intervento, spesso tardo, del legislatore.
parte giudiziaria nel 1899 cercava in realtà di porre un argine (di stampo conservatore) a fronte delle maggioranze progressiste parlamentari della III Repubblica, ma un movimento generale di critica del legislatore può spiegare il fiorire, a partire dai primi scritti di Jéze nel 1895 (in quel momento favorevole alla eccezione di incostituzionalità), delle prese di posizione dei più grandi autori della dottrina pubblicista francese (Esmein, Larnaude, Duguit, Hauriou,
Berthélemy, Duez, Carré de Malberg) sulla questione del controllo
della costituzionalità della legge ad opera dei giudici ordinari o amministrativi.
Nel 1903 due diverse proposte, una di Charles Benoist, l’altra di
Jules Roche parlamentari di estrazione conservatrice, sono presentate
al fine di ottenere il riconoscimento della dichiarazione del 1789 come facente parte del complesso costituzionale, assieme alle leggi costituzionali del 1875 (va ricordato che la III repubblica non aveva un testo costituzionale unico, “lungo”) proponendosi due diversi sistemi di controllo di costituzionalità:
il primo con la previsione di una Cour jurisdictionelle spéciale (un Presidente, otto giudici, provenienti dalla più alte magistrature, università, avvocatura) quindi composizione tecnica, tribunale al vertice ma adito con ricorsi individuali;
il secondo con la previsione di un controllo di costituzionalità affidato alla Corte di Cassazione a sezioni unite, con un parallelismo con il ricorso per eccesso di potere dinanzi al Consiglio di Stato, qui invece per incostituzionalità. Riprese in forme analoghe nel 1907 e 1909, tutte le proposte verranno insabbiate.
Il perché degli insuccessi si può riassumere tanto nel permanere della diffidenza per il controllo giurisdizionale quanto nelle caratteristiche delle leggi costituzionali sopra ricordate, comportando ciò la assenza di una vera e propria Carta costituzionale della III Repubblica, e nel fatto che fosse ben saldo il principio della
insindacabilità della legge.
Da qui l’orientarsi del dibattito dottrinario su altre linee, diverse da quelle della istituzione effettiva di un controllo di costituzionalità o meglio ancora: la questione si sposta tutta nell’ambito della discussione all’interno della dottrina e non in ambito direttamente politico istituzionale.
Nel dibattito dottrinario, emerge allora una diversa possibilità, quella del ricorso per via di eccezione all’interno del controllo giurisdizionale diffuso, grazie anche alla diffusione di una maggiore conoscenza dell’operato della Corte suprema degli Stati Uniti, con una comunicazione di Lamaude alla Société de législation comparée nel 1902, la pubblicazione dell’opera “Gouvernement des juges” di
Eduard Lambert nel 1921 e i lavori di Roger Pinto che giovanissimo
nel 1933 pubblica la propria tesi intitolata “Des Juges qui ne
gouvernent pas”, uno studio sulla Corte suprema statunitense per
“apprecier, a la lumiere de ces recerches positives, la valeur du
controle judiciaire des lois” e tutto ciò in un clima di timore nei
confronti dello stato interventista come si era venuto manifestando durante e dopo la prima guerra mondiale.
Si possono citare ad esempio, gli articoli pubblicati nel 1925 sul quotidiano “Le temps”, nel novembre e dicembre di quell’anno, da giuristi come Berthélémy, Duguit, Mestre, Hariou o ancora, opere come quella di Leblanc, Du pouvoir des tribunaux d’apprecier, en
France, la constitutionnalité des lois, Thèse, Paris, 1924 o ancora, i
numerosi articoli apparsi nella R. D. P e nella R. P. P nello stesso periodo43. Si trattava di posizioni che in maggioranza erano favorevoli alla tesi di un esercizio diffuso del controllo di costituzionalità affidato ai giudici, una possibilità che secondo alcuni esisteva già nell’ordinamento, in un dibattito che toccava anche la questione della separazione dei poteri.
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L’intensità del dibattito intorno al 1925 si comprende anche per la occasione fornita dal cd affaire Ratier, [senatore arrestato per violazione della loi Rochette del 1914(legge espressione dello stato interventista della I guerra mondiale) essendosi rifiutato di giurare di fronte a una commissione d’inchiesta parlamentare in merito a una vicenda di fondi elettorali] in cui si contestano i poteri paragiurisdizionali delle commissioni di inchiesta parlamentari come incostituzionalmente attribuiti dalla legge Rochette per l’appunto: i più eminenti costituzionalisti del tempo (Esmein, J. Barthelémy, Hauriou etc. ) ritengono praticabile la via del judicial review of
constitutionality. Alcuni (J. Barthelémy, Jéze, Duez) valutano la legge Rochette da disapplicare perché promulgata in modo non rispettoso
delle procedure costituzionalmente previste; altri invece (H.
Berthelemy, Duguit, Hariou) ritengono che il controllo di
costituzionalità debba essere anche materiale, ricomprendendo nel parametro di costituzionalità anche quei testi come la Dichiarazione del 1789 da considerarsi “des monuments constitutionnels du droit
public moderne”(così Esmein) riconoscendo rango superiore alle leggi
costituzionali e ammettendo la possibilità di un sindacato di costituzionalità diffuso. Il dibattito si spinge poi fino alla questione del riconoscimento della Dichiarazione dei diritti come costituzionale e vincolante. In effetti, la discussione trova alimento anche dalle comunicazioni di Kelsen presso l’Institut international de droit public nel 1928. Il testo di Kelsen sarà pubblicato assieme alla replica di
Carré de Malberg che contrappone la eccezione di incostituzionalità al
principio della « loi, expression de la volonté générale », concepito come Grundnorm del diritto francese.
Nell’insieme l’avanzare, sul piano della riflessione giuridica, di un favore per il controllo di costituzionalità affidato ai giudici si arrestava comunque di fronte a quello che veniva considerato lo “ spirito
pubblico “ della tradizione francese espresso dalla scienza politica (così Charles Eisenmann nelle sue note sull’ arrêt Arrighi).