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Una lettura particolare del “Contrat social”

Il precetto suindicato è un segno abbastanza evidente della influenza di Rousseau sui rivoluzionari del 1789 o sarebbe forse meglio dire del rousseauisme o ancora della “mistica rousseauiste” che è poi risultata a lungo egemone nella dottrina politica francese e soprattutto nella vita istituzionale repubblicana, una egemonia e una influenza ancora ben presenti se ci si confronta con la occorrenza costante della formula della volontà generale25, la persistenza dei limiti alla sindacabilità tanto delle leggi costituzionali quanto delle leggi referendarie, la primautè assegnata alla volontà popolare riemergente anche nelle vicende fondative della V Repubblica, tanto nel 1958 quanto nel 1962, motivo ricorrente nella storia costituzionale francese (anche in forma plebiscitaria come nel I e II Impero o come prefigurata nella peraltro mai avvenuta approvazione della carta costituzionale prevista sotto il regime di Vichy).

Un tema che deve comunque essere affrontato è quello della influenza del pensiero di Rousseau sui rivoluzionari del 1789, perché essi lasceranno una impronta duratura nella cultura politica e giuridica della Francia repubblicana, alimentando un dibattito che come si vedrà non si è mai interrotto.

Le domande da porsi qui sono (1) perché la Rivoluzione scelga

Rousseau e (2) perché gli uomini della Rivoluzione scelgano una (e

solo una) delle possibili letture del “ Contratto sociale”.

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Anche quando si tratti di circoscriverne il significato, come in un

considérant del Conseil constitutionnel frequentemente citato: “La legge non

esprime la volontà generale che nel rispetto della Costituzione “ (85-197 DC, 23 Agosto 1985, Nouvelle Calédonie).

Sul primo punto si deve notare che i rivoluzionari del 1789 conoscevano le vicende e il pensiero di chi, con la Rivoluzione Americana, li aveva preceduti di pochi anni nella fondazione di un sistema politico costituzionale e sul punto non si può non ricordare come la demarcazione tra Costituzione e legge, tra potere costituente e poteri che da quello traggano legittimazione e ragion d’essere e dunque la possibilità di un giudizio sulla legge fondato su un parametro di costituzionalità fosse ben presente agli uomini d’oltre Atlantico del XVIII secolo. È difficile pensare a una sorta di ignoranza di quella prospettiva teorica da parte degli uomini della rivoluzione francese, tra i quali alcuni erano addirittura denominati “les Americains”, a causa della loro diretta partecipazione alle vicende della Rivoluzione americana e anche perché quella prospettiva doveva comunque molto al pensiero di Montesquieu, oltre che a quello di Locke.

Si tratta quindi di segnalare che i fattori storici influenzano le posizioni dottrinali, alle origini delle diverse scelte della Francia rivoluzionaria, molto più che non il contrario, e sono i motivi dei rivoluzionari a condurre a una prevalenza della prospettiva del

Rousseau del “Contratto sociale”, fondata su una concezione della

sovranità indivisibile e inalienabile, sulla visione più souple di

Montesquieu o anche del Diderot del saggio sull’autorità politica della Encyclopédie, fondata sulla concezione di un contratto bilaterale

inscindibile sia da parte del sovrano sia da parte del popolo).

La lezione di Rousseau così come appresa e applicata dai rivoluzionari del 1789, discende molto di più dalla loro volontà e dai loro obiettivi (fondamentalmente la necessità della instaurazione di un nuovo sistema politico e di un nuovo soggetto sovrano che non si vuole possa mai essere messo in discussione) che non dalla lettera dell’opera di Rousseau nel suo complesso.

Dell’autore del “Contrat social” si assumono le certezze e non le esitazioni, le affermazioni recise e non la complessità di un pensiero

che peraltro lo stesso Rousseau non sempre vuole controllare: quella che si impone a partire dal 1789 è la lettura che meglio sostiene l’esigenza di chi intendeva fondare un ordine politico radicalmente nuovo, nel quale l’onnipotenza del legislatore si configura come espressione della sovranità popolare inalienabile e di conseguenza non giudicabile da alcuno (meno che mai da un ceto di magistrati considerato compromesso con la monarchia).

Sarebbe quindi una influenza latamente giacobina, mai del tutto scomparsa, sintetizzata nell’articolo 6 della Dichiarazione del 1789, a essere decisiva nel determinare la peculiare lettura di Rousseau. Nella emergenza storica la questione della affermazione dei diritti è inscindibile dalla questione della spettanza del potere sovrano, della fondazione e della affermazione di un nuovo corpo politico ed è questa ultima esigenza che si impone come fondamentale.

In realtà in Rousseau la definizione della legge come espressione della volontà generale e il concetto della sua insindacabilità non sono sempre così nette e precise come si potrebbe pensare a giudicare dalle scelte dei suoi epigoni.

Anche se è innegabile che nel “Contrat social” figuri la più precisa affermazione della totale libertà del legislatore e del popolo sovrano da vincoli quali che siano, anche quelli posti da se stesso (vedi: “D’ailleurs, en tout état de cause, un peuple est toujours le maître de

changer ses lois, mêmes les meilleures” o ancora “. par où l’on voit qu’il n’y a ni ne peut y avoir nulle espèce de loi fondamentale obligatoire pour le corps du peuple, pas même le contrat social” (Libro I, cap. VII, “Del sovrano”26) e così pure per il futuro (in“Que la souverainété est inalienabile”, Libro II, cap. I27): “puisqu’il est absurde que la volonté se donne des chaînes pour l’avenir”) vi sono

26Cfr. ROUSSEAU, J. J., Du contrat social ou principes du droit politique,

Edition de 1762, in http: //un2sg4. unige. ch/athena/rousseau/jjr_cont. html, 10.

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però tre osservazioni (che nel contesto del presente lavoro non possono che rimanere tali) da proporre in merito: il tratto utopico del pensiero di Rousseau e la sua metodica ambiguità di fondo, i limiti posti dallo stesso Rousseau alla “onnipotenza della legge”, il richiamo alla superiorità di un “ patto originario” distinto dalla “legge”.

Per quanto riguarda il primo punto, lo stesso Rousseau è ben consapevole delle proprie contraddizioni e della propria ambiguità anche lessicale, come quando scrive nella lettera a Madame d’Epinay del marzo 1776, “apprendete il mio dizionario, mia buona amica”: 28 la libertà lessicale in Rousseau è assai grande. Anche per questo motivo si è tentati di concordare con Maurice Cranston nella definizione del

Contratto sociale come di un testo in cui “quel che è offerto con una

mano è tolto con l’altra”29.

A compensare la frustrazione può convenire forse ricordare le prime frasi del Contratto sociale30 nelle quali si va alla ricerca del “se” nella società politica possa esserci alcun legittimo e sicuro principio di governo, prendendo “gli uomini per ciò che sono” e “le leggi per quel

che potrebbero essere”, mostrando dunque la tensione tra le

considerazioni empiriche (e le condizioni storiche) e il modello di giustizia in cui utopicamente si incontrino “ciò che il diritto

permette”e ciò che “l’interesse prescrive”, in modo tale che “giustizia e utilità” non siano separate. Riconoscere il carattere di consapevole

utopia al disegno del “Contratto sociale” consentirebbe una lettura più sfumata del sistema ivi delineato e ammetterebbe una compatibilità con altre riflessioni di Rousseau su costituzione e sovranità, come quelle contenute negli scritti sulla costituzione polacca e sulla costituzione corsa. La complessità e la contraddittorietà rilevabili nel

28Cfr. CRANSTON, M., Introduction in ROUSSEAU, J. J., The social

contract, Penguin Classics, London, 1a ed. 1968, 30.

29Cfr. CRANSTON, M., cit.,43. 30Cfr. Rousseau, J. J., cit.,3.

pensiero di Rousseau sono testimoniate dalle reticenze e dalle consapevoli indecisioni come se ne trovano nel libro II, cap. V, Du

droit de vie et de mort31, quando, con riferimento al carattere di atto

particolare della condanna di un reo, rileva in sé una contraddizione e

allora sfugge affermando “Toutes mes idées se tiennent, mais je ne

saurais les exposer toutes à la fois” e nello stesso capitolo, discutendo

nella parte finale del potere di grazia, “Mais je sens que mon coeur

murmure et retient ma plume; laissons discuter ces questions à l’homme juste qui n’a point failli, et qui jamais n’eut lui-même besoin de grâce”, l’espressione del sentimento personale prende il

sopravvento sulla elaborazione teorica.

Per quanto riguarda il secondo punto, in più passi del Contrat social si pongono limiti intrinseci all’atto di sovranità, nell’ ordine di ciò che il sovrano non può comunque ordinare: la Volontà generale non si dà né come arbitrio né come provvedimento discriminatorio su base individuale (libro II, cap. IV e cap. VI). Vi sono poi come limite esterno tutti i casi in cui non si può parlare di Volontà generale ma semmai di volontà di tutti come somma delle volontà di individui o gruppi, non avendo nel caso autentica generalità poiché non dell’interesse comune si parlerebbe ma del coagulo, al massimo, di vari interessi parziali (Libro II, cap. III).

Per quanto concerne il terzo punto e cioè il richiamo alla superiorità di un “ patto originario” distinto dalla “legge” non si intende negare qui la evidente presenza nel “Contratto sociale” di una teoria del potere costituente sempre potenzialmente operante perché molti sono i punti in cui il discorso di Rousseau si impone in tal senso, tuttavia sia concesso di portare la attenzione sul capitolo intitolato “QU’IL FAUT TOUJOURS REMONTER A UNE PREMIERE CONVENTION (Libro I, capitolo V32): “Il y aura toujours une grande différence entre

31Cfr. ROUSSEAU, J. J., cit., 18.

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soumettre une multitude et régir une société... ”, in quanto una società

è tale per la associazione che si è creata, essendo la stessa esistenza di un bene pubblico e di un corpo politico il risultato di quel patto fondamentale senza il quale ognuno resta individuo privato. Concedendo a Grozio che un popolo si possa consegnare a un sovrano, ne deriva per Rousseau. che “…Ce don même est un acte civil, il

suppose une délibération publique. Avant donc que d’examiner l’acte par lequel un peuple élit un roi, il serait bon d’examiner l’acte par lequel un peuple est un peuple. Car cet acte étant nécessairement antérieur à l’autre est le vrai fondement de la société” e di seguito, sul

tema della deliberazione a maggioranza, “En effet, s’il n’y avait point

de convention antérieure, où serait, à moins que l’élection ne fût unanime, l’obligation pour le petit nombre de se soumettre au choix du grand... ? La loi de la pluralité des suffrages est elle-même un établissement de convention, et suppose au moins une fois l’unanimité”, l’unanimità, sembrerebbe, del patto originario, dell’acte primitif di cui si legge nel capitolo VII del libro I33: “Mais le corps politique ou le souverain ne tirant son être que de la sainteté du contrat ne peut jamais s’obliger, même envers autrui, à rien qui déroge à cet acte primitif, comme d’aliéner quelque portion de lui- même ou de se soumettre à un autre”.

In altro passo, si trova la definizione di quel che sarebbe la véritable

constitution de l’Etat, un patto originario che non sarebbe né legge

politica né civile né penale ma qualcosa di più ancora decisivo (nel LibroII, cap. XII34, « Division des lois ») che non riposa “ni sur le

marbre ni sur l’airain, mais dans les coeurs des citoyens; qui fait la véritable constitution de l’Etat; qui prend tous les jours de nouvelles forces; qui, lorsque les autres lois vieillissent ou s’éteignent, les ranime ou les supplée, conserve un peuple dans l’esprit de son

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Cfr. ROUSSEAU, J. J., cit., 10. 34

institution, et substitue insensiblement la force de l’habitude à celle de l’autorité”. Rousseau parla in prima persona, a sottolineare il carattere

di discorso partecipato e personale che lo porta a distinguere singoli provvedimenti dalla “veritable constitution de l’Etat”, la chiave di volta dell’intera costruzione: “Je parle des moeurs, des coutumes, et

surtout de l’opinion; partie inconnue à nos politiques, mais de laquelle dépend le succès de toutes les autres: partie dont le grand législateur s’occupe en secret, tandis qu’il paraît se borner à des règlements particuliers qui ne sont que le cintre de la voûte, dont les moeurs, plus lentes à naître, forment enfin l’inébranlable clef ”.

Accennando alla pluralità di letture dell’opera di Rousseau non si intende contrapporre una “buona interpretazione” a una “cattiva”, bensì segnalare come anche dal punto di vista dottrinale non ci si trovi di fronte a una teoria univoca e incontrovertibile e anche questo può contribuire a spiegare perché la lettura unilaterale e “rivoluzionaria” di

Rousseau, nel privilegiare la intangibilità degli atti dei rappresentanti

della nazione, conviva a sua volta con l’affermazione di un limite alla legge presente sin dalla Dichiarazione dei diritti del 1789, attraverso il duplice limite imposto alla legge dal divieto di proibire azioni che non ledano il pubblico interesse e dal principio della congruità della pena, come accade con l’art. 5 (“la legge non ha il diritto che di impedire le

azioni nocive alla società”) e l’art. 8 (“la legge non deve stabilire che pene strettamente e evidentemente necessarie”)35.

2.4 L’appello al popolo. Dall’autocontrollo al diritto di resistenza e di