4. LA TRASFORMAZIONE DELLA BOLOGNINA 81
4.8 I COSTI SOCIALI DEL CAMBIAMENTO URBANO E LE FORME DI RESISTENZA ABITATIVA 162
4.8.2 I differenti significati che gli attori sociali assegnano all'abitazione 169
nelle zone rurali. […] Poi certo c’è chi è fortunato e trova qualcos’altro solitamente nella periferia. In linea generale in questi casi c’è uno sradicamento dal contesto abitativo precedente” (3BA_m_38anni)
Se in questo caso i soggetti sono costretti a lasciare il quartiere, con possibili ripercussioni sullo sgretolamento di quei legami sociali che hanno costruito nel corso degli anni di residenza, in altri casi si assiste a strategie individuali che tentano di mantenere la localizzazione residenziale nella Bolognina. Chi percorre questa strada va alla ricerca di soluzioni meno onerose, che tuttavia possono contribuire a produrre situazioni di sovraffollamento o condizioni abitative inadeguate.
“Non sorprenderti. Accade e accadrà sempre. Le famiglie soprattutto straniere che non ce la fanno più finiscono per condividere l’abitazione con altre famiglie con evidenti problemi di sovraffollamento. Nei casi peggiori finiscono in tuguri dalle condizioni inumane, ricavati da cantine e garage da proprietari senza scrupoli.” (23BR_m_45anni)
Tali fenomeni sono stati ampiamente osservati dalla letteratura sul displacement e fanno da contraltare a strategie di ordine collettivo indirizzate a garantire la permanenza del quartiere (Newman & Wyly, 2006). In questo caso, la mobilitazione sociale svolge un ruolo di primaria importanza. Riserveremo alle prossime pagine la trattazione di queste pratiche collettive. Quello che al momento ci interessa sottolineare è che la crisi abitativa che abbiamo appena descritto viene percepita e interpretata in modo assai diverso dai residenti della Bolognina. Tali differenze sembrano portare a una diversità negli approcci e nell’agire sociale in rapporto a questo tema, trovando connessioni nelle associazioni di significato che i vari gruppi di abitanti assegnano alla casa.
Nel comprendere la questione abitativa della Bolognina appare quindi importante contestualizzarla all’interno della gentrification, andando a vedere i vari modi con i quali i gentrifiers e i residenti di lungo corso si rapportano a una vicenda che presenta degli stretti legami con il mutamento sociale del quartiere.
4.8.2 I differenti significati che gli attori sociali assegnano all'abitazione
Negli studi sulla gentrification si rinviene una vasta letteratura che mette in luce come la casa possa essere interpretata quale elemento associabile alle preferenze di consumo e alle scelte individuali della nuova classe media (Atkinson & Bridge, 2005; Lees et al., 2008; Ley 1996). In questa visione, l’abitazione è essenzialmente concepita come un bene di consumo che risulta in grado di conferire
elementi di distinzione ai gentrifiers, definendo attraverso le sue caratteristiche e la sua localizzazione i confini della loro appartenenza sociale (Jager 1986; Bridge, 2001).
I gentrifiers, tuttavia, non sono un gruppo sociale omogeneo e i significati che questi associano all’abitazione possono conoscere notevoli sfumature. Notiamo, in primo luogo, che gli established gentrifiers (Blasius et al., 2016) assegnano una decisa importanza ai caratteri estetici dell’abitazione e la concepiscono come un luogo piuttosto importante per la riproduzione della vita familiare.
“È un luogo molto importante perché è lì che viviamo gran parte del nostro tempo con i figli, è comoda perché vicino alla scuola, oltre ad essere bella perché è molto grande. […] Diciamo che si differenzia dalle altre case del quartiere un po’ decadenti.” (8BG_f_48anni)
Nelle interviste condotte con questi soggetti traspare anche una certa preferenza verso determinate tipologie di design interno, capaci anch’esse di denotare una diversità rispetto al resto del quartiere.
“Le modifiche che abbiamo fatto gli danno un tocco diverso rispetto al grigiore di alcuni palazzi qua intorno e alla bruttezza della disposizione delle stanze nelle classiche case della Bolognina.” (14BG_f_34anni)
Queste dichiarazioni sembrano confermare quanto riscontrato da Munt (1987) riguardo all’utilizzo di una certa estetica abitativa come mezzo di distinzione sociale. Il mercato abitativo costituire per questo gruppo un luogo di posizionamento dei propri successi economici, che si evidenziano sia nella tipologia residenziale sia nella sua localizzazione (Allen, 2008). Sebbene dalle interviste condotte con gli established gentrifiers emerga una rappresentazione della casa largamente associata a questi fattori, si osservano anche aspetti di tipo economico collegati all’interpretazione dell’abitazione come bene di investimento e, dunque, alla sua rendita potenziale.
“sembrava un buon investimento visto che c'erano grandi aspettative nei confronti della riqualificazione […], poi uno compra adesso e magari tra 15 anni quando tutti i figli escono di casa va a vivere in campagna e la casa la vende.” (8BG_f_48anni)
Una tale visione della casa come bene di investimento risulta meno marcata tra gli early gentrifiers, che come abbiamo visto presentano un rapporto differente con il quartiere e si pongono in una posizione di colonizzatori piuttosto che di conquistatori (Schlichtman et al., 2017). Per questi soggetti l’abitazione è un luogo importante principalmente in funzione della sua localizzazione e del legame affettivo che intrattengono con il quartiere.
“[aver acquistato una casa nel quartiere] è un discorso di affetto e non è legato a strategie di speculazione economica. […] Il fatto che sia nel quartiere e attaccata al lavoro è fondamentale per me perché qua conosco molte persone e diciamocelo, è comodissima.” (10BG_m_30anni)
Per gli early gentrifiers i connotati estetici dell’abitazione e la sua redditività economica risultano secondari alla posizione. La casa, inoltre, non sembra svolgere quella funzione di crogiuolo delle relazioni familiari come per gli established gentrifiers intervistati, poiché gli appartenenti a questo gruppo si trovano in un momento del ciclo di vita marginalmente toccato dallo sviluppo di legami famigliari.
I pionieri conoscono un elevato grado di differenziazione in merito ai significati assegnati all’abitazione. Trattandosi di affittuari, l’elemento legato alla redditività economica non viene preso in considerazione e le loro visioni si incentrano principalmente sulle funzioni sociali e logistiche della residenza.
“Per me la casa non conta tanto come è fatta ma dove si trova perché io sono un gran camminatore, non uso la macchina e se abito in un quartiere come questo posso stringere tante amicizie. In periferia è più difficile.” (13BG_m_61anni)
I pionieri, inoltre, non percepiscono l’abitazione come un elemento in grado di svolgere una funzione di distinzione sociale che passa attraverso l’estetica. Il design interno, piuttosto, è percepito in relazione al soddisfacimento dei propri gusti e delle esigenze quotidiane.
“Vabè io poi sono una maniaca del design e come è disposta casa e i mobili che ci sono dentro lo ritengo importante perché se in un posto ci vivo deve un po’ rispecchiare i miei gusti e essere funzionale.” (11BG_f_32anni)
Un aspetto che contraddistingue i pionieri, specialmente quelli che svolgono la funzione di connettori, è la spiccata sensibilità nei confronti del valore concettuale dell’abitazione quale diritto sociale costituzionalmente garantito.
“La casa, non ce lo scordiamo, è anche un diritto. Tutti devono avere modo di vivere dove desiderano e dove magari stanno da diversi anni.” (12BG_m_28anni)
Una simile concezione è pervasa da una certa attenzione nei confronti delle problematiche abitative che interessano la Bolognina. La percezione della casa come un diritto è condivisa anche dalla maggioranza dei residenti di lungo corso intervistati e appare come un tema ricorrente specialmente tra quanti, per la propria posizione sociale, possono sperimentare sulla propria pelle o su quella di soggetti a loro vicini problemi abitativi di varia natura.
“La casa è un diritto che deve essere garantito e invece sembra sempre più negato” (16BLT_m_21anni)
Tra i residenti di lungo corso emergono anche altre rappresentazioni dell’abitazione come quella che la inquadra nella sua funzione di luogo di socializzazione.
“Qua torno ogni sera dopo il lavoro e mi riposo […] e con le mie coinquiline parliamo e facciamo cene con amici” (20BLT_f_32anni)
In questa dichiarazione osserviamo che la casa, oltre a fornire un contesto in cui sviluppare interazioni e relazioni sociali, costituisce anche il luogo di riposo dalle fatiche della vita quotidiana. Una simile interpretazione è del tutto assente all’interno dei gentrifiers mentre risulta largamente condivisa tra i residenti di lungo corso, indipendentemente dalla condizione professionale e dalle caratteristiche socio-demografiche.
“Per me [la casa] è un posto in cui torno giusto per dormire dopo che finisco di lavorare. Sto lì con i bambini e la moglie tutti insieme e è bello.” (15BLT_m_29anni)
“È un posto in cui stai, ti riposi e ci mangi. Quelle quattro mura servono a questo.” (17BLT[1]_f_68anni)
Nei residenti di lungo corso osserviamo un’associazione dell'abitazione agli elementi materiali e una difficoltà a concepirla oltre i bisogni pratici della vita quotidiana. Un simile riscontro sembrerebbe confermare l’ipotesi che i gruppi sociali con una limitata disposizione di capitale economico e culturale interpretino principalmente lo spazio abitativo attraverso le sue funzioni di luogo preposto al riposo e alla socializzazione primaria (Allen, 2008). Bisogna tuttavia evidenziare che tra i residenti di lungo corso vi è anche chi possiede sia un elevato livello formativo sia una discreta disponibilità di risorse economiche. Tali caratteristiche sembrano incidere sulla
rappresentazione dell’abitazione, stabilendo una differenziazione di questi soggetti dagli altri abitanti di lunga data.
“Si vedi io la casa l’ho comprata tanti anni fa per stare vicino al lavoro, poi l’ho ristrutturata e adesso non la vendo perché ancora mi fa comodo ma tra qualche anno la metto nel mercato e penso di tirarci su un po’ di soldi per andare prima in pensione.” (18BLT_m_56anni)
“Alla fine considera anche che qua i valori da quando la casa è stata acquistata sono cresciuti molto e anche se c’è stata la crisi oggi l’appartamento vale più di quando lo abbiamo acquistato. Quindi anche nei termini di un investimento non è da sottovalutare.” (22BLT_f_43anni)
Dalle interviste condotte emerge come le rappresentazioni dell’abitazione fornite dagli abitanti della Bolognina non differiscano tanto tra gentrifiers e residenti di lungo corso quanto, piuttosto, sulla base delle diverse disposizioni di capitale che caratterizzano gli individui. Questa pluralità di concezioni pone in luce un quadro pervaso da una forte complessità che lega la casa a molteplici assegnazioni di valore. In questa situazione assistiamo a una tensione che pervade il discorso abitativo nella quale si rinvengono interessi individuali e collettivi, propri di un gruppo o di una categoria. In particolare, la percezione della casa come elemento di distinzione e bene di investimento sembra scontrarsi con quella che la concepisce essenzialmente come diritto sociale. Visioni diverse che informano altrettanto differenti pratiche sociali.
Un atteggiamento che è possibile riscontrare tra gli established gentrifiers è quello di una generale indifferenza nei confronti della questione degli sfratti. Questi soggetti, infatti, giudicano il processo di trasformazione e il ricambio sociale in maniera piuttosto positiva e fanno ricadere nell’ambito delle responsabilità individuali i problemi abitativi sperimentati da una parte dei residenti.
“Si poverini ma voglio dire se più di quello lo Stato non può fare non vorremmo mica tassarci ancora di più? A volte ho come l’impressione che ci sia una scarsa volontà di cercare lavoro perché tanto qualcuno ti mantiene lo stesso. ” (14BG_f_34anni)
Questa concezione sembra diffusa anche tra i residenti di lungo corso con maggiori disponibilità economiche, che tuttavia scindono in modo sostanziale la questione di chi ha diritto a tutele sociali sulla base della nazionalità.
“Questa è diventata tipo una zona solo di stranieri. So che tanti hanno bisogno ma se vieni qua e non c’è lavoro per te non si può pensare che il peso ricada sulle spalle di chi invece lavora tutto il giorno. La casa devi mantenertela in qualche modo.” (22BLT_f_43anni)
In entrambi i casi ci troviamo di fronte a soggetti che interpretano la casa quale bene di investimento e/o elemento di possibile distinzione sociale. Un atteggiamento invece più comprensivo è mostrato dai residenti di lungo corso meno abbienti. Sebbene anche in questo caso vi siano soggetti che pongano in luce la necessità di stabilire una differenza nelle tutele sociali sulla base della nazionalità assistiamo a una certa empatia verso chi sperimenta problemi abitativi. Una simile posizione appare condivisa sia da questi residenti di lungo corso sia dagli early gentrifiers e da una parte dei pionieri, informando un atteggiamento di tiepido e distante supporto morale nei confronti di quanti risultano interessati dagli sfratti e, in generale, dalla povertà.
Una sostanziale discontinuità con queste posizioni è rappresentata da quanti assegnano alla casa il valore di diritto sociale. In questo raggruppamento troviamo una parte dei pionieri e la componente meno abbiente dei residenti di lungo corso, in gran parte rappresentata da immigrati stranieri residenti da diversi anni nella Bolognina.
“È la collettività attraverso il settore pubblico che dovrebbe farsi carico di chi sta peggio. Ma anche le tante piccole organizzazioni sociali possono fare qualcosa. Insomma si dovrebbe lavorare tutti assieme per dare una casa a chi non ce l’ha o a chi si vede minacciato dal perderla.” (12BG_m_28anni)
Per questi soggetti la casa rappresenta la base di un’esistenza dignitosa che dovrebbe essere garantita a qualsiasi soggetto, indipendentemente dalla sua nazionalità. Ciò che appare interessante osservare è che una tale lettura dei problemi abitativi si tramuta solitamente in pratiche individuali e collettive di carattere trasformativo. Si tratta, nello specifico, di piccoli gesti di solidarietà quotidiana a quanti versano in una condizione di criticità abitativa o di vere e proprie azioni di carattere collettivo.
“Che poi io sono sempre in chiesa e questi poverini so che è giusto aiutarli. Magari non glie lo dico che l’ho comprato ma capita spesso che prendo il pane e i dolci la sera al forno che costano meno e poi glie li regalo. Sono piccole cose ma penso di aiutare in qualche modo i miei vicini che tante volte devono decidere se pagare l’affitto o le bollette.” (19BLT_f_70anni)
“Guarda io supporto in pieno la lotta che stanno portando avanti. Sono stato alle manifestazioni e mi sento anche umanamente molto vicino a queste situazioni.” (12BG_m_28anni)
Possiamo quindi notare come tra i residenti della Bolognina esistano varie concezioni e differenti modalità di rapportarsi all’abitazione e ai problemi abitativi del quartiere, che travalicano la classica dicotomia tra gentrifiers e residenti di lungo corso. Assistiamo, infatti, a interpretazioni e pratiche che non si basano su una rigida suddivisione dei residenti in questi due insiemi, ma si addentrano tra le loro sottocategorie. In particolare, troviamo una parte dei pionieri e dei residenti di lungo corso porsi attivamente al fianco delle mobilitazioni sociali che ruotano attorno al tema della casa, nell’intento di far prevalere quella visione dell’abitazione quale diritto sociale sulle logiche di valorizzazione economica del bene. Queste mobilitazioni vedono coinvolti in prima persona alcuni soggetti intervistati che per ragioni economiche rischiano di perdere la propria abitazione. Si tratta di un fenomeno di centrale interesse per la ricerca, poiché riguarda quelle forme di mobilitazione che possono ascriversi alle forme di resistenza alla gentrification.
4.8.3 La produzione di commons urbani
Le lotte in campo abitativo hanno una lunga tradizione in Italia e sono un fenomeno che trova le sue radici nelle forme di organizzazione sociale e politica che si sono diffuse dagli anni Settanta (Bosi & Zamponi, 2015; Mudu, 2004). Sebbene non esista una mappatura dell'attuale distribuzione di questo fenomeno, è possibile riscontrare nella cronaca, nel dibattito pubblico e nel recente sviluppo di vari network una rinnovata enfasi per le lotte abitative nelle principali città italiane (Bosi & Zamponi, 2015). Questo fenomeno viene a connettersi a un crescente disagio abitativo nel nostro paese (Pittini et al., 2015), correlato alla congiunta azione della crisi economica e dal presentarsi di politiche urbane influenzate dall’ideologia neoliberale (Bazzoli, 2016).
La Bolognina appare come un contesto nel quale si rinvengono forti ripercussioni sociali in campo abitativo, legate a un mix di fattori di varia natura: ristrutturazione dei settori economici, crescita disoccupazione, offerta di abitazioni sociali inadatta alla domanda, politiche di valorizzazione del quartiere, crescita generalizzata dei bisogni sociali. In questo quartiere si assiste a difficoltà abitative diffuse, che vedono nell’incremento degli sfratti conosciuto nel corso degli ultimi dieci anni una fonte sostanziale di criticità sociale. Le richieste di rilascio degli immobili, infatti, rappresentano una minaccia alla capacità dei gruppi sociali meno abbienti di permanere in questo contesto insediativo e costituiscono uno dei mezzi attraverso i quali si sta manifestando il ricambio sociale dell’area. L’incapacità e l’impossibilità da parte del sistema di welfare locale di far fronte a un aumento considerevole dei bisogni abitativi ha quindi favorito il diffondersi di forme di