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La diffusione del culto di San Mena

Karm Abu Mina divenne nel VI secolo una delle più note e visitate mete di pellegrinaggio di tutta la cristianità. Il grande flusso di pellegrini è documentato non solo dalle grandi opere edificate nella città-santuario per la loro accoglienza ed il loro soggiorno, ma pure dall’enorme quantità di ampolle rinvenute in molte parti del Mediterraneo che ne testimoniano la visita. Le ampolle appunto, i luoghi di culto intitolati al martire Mena, ma pure tutte quelle chiese che ne conservano l’effige, saranno qui considerati per comprendere fin dove il culto, o almeno la memoria di San Mena, possa essere giunto.

Naturalmente non si vuole qui affermare che il rinvenimento di una singola ampolla possa essere indice di un culto legato al luogo del rinvenimento; ma essa potrebbe essere comunque la testimonianza di un pellegrinaggio e di un ricordo legato al martire egiziano.

A partire dal IV secolo, assieme all’affermazione pubblica del Cristianesimo, nacquero i primi itinerari di pellegrinaggio verso i luoghi più importanti della cristianità. Il viaggio, solitamente intrapreso da fedeli che erano originari della parte occidentale dell’Impero Romano, toccava Roma, Costantinopoli, fino a giungere in Oriente ed a Gerusalemme. Lungo il pellegrinaggio venivano visitati i luoghi citati dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, ma pure le tombe dei più noti santi e martiri cristiani. Legati a questi itinerari devozionali nacquero anche delle opere letterarie che li descrivevano, segnando le distanza tra le tappe ed i luoghi visitati. Solitamente l’attenzione maggiore veniva data alla descrizione del viaggio di andata, soprattutto una volta giunti in Medio Oriente, mentre i testi si mostrava molto più scarni per il viaggio di ritorno.

Il più antico di questi è l’Itinerarium Burdigalense, databile alla prima metà del IV secolo. L’autore anonimo descrive e cita le città che attraversa, note e meno note, fornendo un documento importante anche per il funzionamento e lo stato di conservazione del sistema viario tardo romano. 227 Il breve saggio già citato di Lambert e Pedemonte Demeglio analizza nella sua seconda parte i cambiamenti occorsi agli itinerari nel corso dei secoli. Un aspetto molto interessante è che essi si modificarono nel corso dei secoli andando a toccare luoghi diversi, ferme restando città come Roma, Costantinopoli e Gerusalemme.

227

L’itinerario di Egeria, di circa mezzo secolo posteriore a quello Burdigalense, dimostra un desiderio di visitare non solo i luoghi descritti dalle sacre scritture, ma anche santuari e luoghi legati al monachesimo. È la curiosità di Egeria verso questi nuovi centri spirituali caratteristici del cristianesimo delle origini a portare il suo viaggio oltre la Palestina, visitando la Siria, l’Egitto e la Mesopotamia.228 Il primo testo di un pellegrinaggio a citare espressamente Karm Abu Mina fu l’Itinerarium Antonini Placentini. Questo itinerario fu intrapreso quasi due secolo dopo quello di Egeria, tra il 560 ed il 570, da un fedele piacentino e da un gruppo di compagni. In ogni modo il Piacentino dopo aver attraversato Fenicia, Palestina ed il Sinai scrive “Descendentes per Aegyptum

venimus in civitatem Athlefi et perambulavimus usque ad sanctum Mennatem, qui multas virtutes ibi operatur.”.229 L’itinerario pur toccando quasi tutti i luoghi visitati già da Egeria, se ne differenzia nel mancato attraversamento dell’Asia Minore via terra, a favore di una viaggio per mare. Le ragioni di questi cambiamenti possono essere molteplici230 ma è comunque un segnale importante di come si evolvesse il pellegrinaggio, non solo nelle mete ma anche nel modo in cui esso avveniva, in corrispondenza di mutamenti politico-sociali nelle regioni attraversate.

L’itinerarium di Arculfo, trascritto dal monaco Adamnano da cui prese il nome di Adamnani de locis

sanctis, risale al finire del VII secolo ed è testimone di numerosi cambiamenti rispetto a quello del

Piacentino. Egli rinuncia a visitare il Sinai e la Mesopotamia ed in Egitto egli si sofferma esclusivamente sulla tomba di San Marco ad Alessandria. Arculfo non da indicazioni circa eventuali difficoltà dovute alla recente conquista islamica dell’Egitto e del Medio Oriente, malgrado egli ne faccia cenno. In ogni modo il viaggio doveva essere divenuto più difficile se anche le indicazioni provenienti dagli scavi archeologici di Karm Abu Mina confermano che il flusso di pellegrini era notevolmente diminuito, e malgrado non si fosse mai completamente arrestato presto fu abbandonato.231 Fu proprio attraverso questi itinerari che si diffuse, grazie soprattutto alle ampolle, il culto di San Mena.

228

Ivi.; p. 228.

229

J. A. Gildemeister (a cura di), Antonini piacentini itinerarium, Berlino 1889, p. 32.

230 Lambert, Pedemonte Demeglio, Ampolle devozionali…, cit.; p. 229. 231

Egitto

San Mena fu uno dei santi più noti e conosciuti nella tarda antichità non solo in tutto il Mediterraneo Orientale, ma fu considerato anche una sorta di patrono d’Egitto.232

Gli affreschi di Bawît, Medinet Habu e Kellia sono un’ulteriore prova della radicata attenzione dei fedeli, in questo caso copti, per il culto di San Mena. Anche a Il Cairo esisteva una chiesa intitolata al martire, edificata tra il IV ed il V secolo, forse il secondo luogo a lui intitolato in Egitto. Da allora ha subito numerose modifiche e ricostruzioni.233

Anche i rilievi del museo di Alessandria e di Vienna, assieme alla pisside di Londra confermano una particolare venerazione del Santo e della sua vita. Al contrario delle ampolle di Terrasanta, il cui riscontro in Palestina non è significativo, le ampolle di San Mena in Egitto sono state rinvenute numerose, dimostrando una forte venerazione locale.234

Karm Abu Mina rimarrà il più importante luogo di culto di San Mena sino al XIV secolo, quando attraverso lo spostamento delle sue reliquie, il suo culto fu trasferito da Karm Abu Mina alla chiesa a Il Cairo.

Africa

Alcune ampolle di San Mena sono state rinvenute a Ippona sulla collina detta di Sant’Agostino.235 Altre ampolle sono state rinvenute a Cartagine, dove sono state scavate anche due lampade in terracotta con la raffigurazione tipica di San Mena tra i cammelli: una di esse si trova a Londra236, l’altra a Cartagine.237 Al Louvre sono invece conservate due iscrizioni. La prima è scolpita su di un blocco di marmo ed è stata rinvenuta in Algeria, la quale testimonierebbe l’esistenza di una piccola chiesa nel 435 nella quale erano conservate le reliquie di San Lorenzo, Sant’Ippolito, Sant’Eufemia e San Mena.238.La seconda iscrizione proviene dalla Valle Siliana in Tunisia, e si trova su di un tavolo

232

Michon, Nouvelles ampoules…, cit.; pp. 296 – 297.

233

R. Habib, The ancient coptic churches of Cairo: a short account, Cairo 1907, pp. 82 – 85.

234 Lambert, Pedemonte Demeglio, Ampolle devozionali…, cit.; p. 218. 235

H. Leclerq, Hippone, in “DACL”, v. 6, col. 2497.

236

Michon, Nouvelles ampoules…, cit.; p. 299.

237 Leclerq, Saint Mènas…, cit.; coll. 388 – 389. 238

d’altare in marmo, il quale poggia delle reliquie. Sulla facciata anteriore sono state rinvenute le parole,

ME(n)SA M[artyrum]

mentre su quella superiore l’iscrizione parla delle reliquie di San Mena e Sebastiano, deposte in quel luogo l’11 novembre dal presbitero Giuliano e dal monaco Vittore.239