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La diligenza professionale tra codice civile e codice del consumo

Nel paragrafo precedente ci si è soffermati sui principi di buona fede e correttezza richiamati all’interno della nozione di diligenza professionale di cui all’art. 18, lett. h, Codice del consumo. Detti principi690, non coincidono con la diligenza professionale, ma costituiscono soltanto i criteri di riferimento alla luce dei quali individuare “il livello di competenza, cura e attenzione che può considerarsi dovuto nel settore di attività del professionista e che ci si può legittimamente attendere venga da questi rispettato”691.

Ciò premesso, resta sempre da chiarire cosa debba intendersi per diligenza professionale, definita come “il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti […]”692. Con la definizione in commento, il legislatore ha inteso

individuare un criterio generale di condotta cui devono conformarsi i professionisti nell’esercizio della loro attività, a partire dal contatto sociale con i consumatori sino all’eventuale conclusione ed esecuzione del contratto. La misura del rispetto e della conformità a tali obblighi deve essere individuata alla luce dei principi generali di buona fede e correttezza693. A una prima lettura dell’art. 18, lett. h, non può negarsi che le locuzioni “diligenza professionale” e “grado della specifica competenza ed attenzione” evochino nel giurista italiano la diligenza cui il debitore è tenuto nell’adempimento delle obbligazioni ex art. 1176 c.c. Tuttavia, molteplici sono le differenze che impediscono di identificare i due concetti in esame.

690 Buona fede e correttezza.

691 Cfr. fra gli altri, M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina

delle pratiche commerciali scorrette, cit., p. 73 ss. L’A. conferma l’autonomia tra buona fede e diligenza professionale precisando che “il richiamo ai principi di correttezza e buona fede, con cui il legislatore ha voluto, impropriamente, precisare il contenuto del criterio di diligenza professionale, ha, invece, un’autonoma portata normativa in quanto consente di affermare la necessità di individuare un criterio valutativo oggettivo ed esterno dei comportamenti delle imprese volti a sollecitare scelte di acquisto dei consumatori”.

692 In sede di analisi della definizione in commento, taluni autori, hanno sottolineato che anche in

sede di recepimento, il legislatore italiano ha mantenuto l’aggettivo “normale” riferito al grado di competenza e attenzione professionale, criticando questa scelta poiché non se ne riscontrerebbero impieghi similari nelle altre versioni nazionali di recepimento. Sul punto cfr. C.LO SURDO, sub art. 20, […], cit., p. 103 ss.

693 A. PALLOTTA, Le pratiche commerciali aggressive, in Le pratiche commerciali sleali, E.

Anzitutto, mentre l’art. 1176 c.c. assume tale criterio come metro di valutazione del comportamento del debitore nell’adempimento di un’obbligazione, la disciplina delle pratiche commerciali lo utilizza come uno dei parametri per la valutazione della scorrettezza di una pratica, la quale non consiste necessariamente nell’adempimento di un obbligo giuridico694.

In ogni caso, anche in quest’ultima ipotesi si deve rilevare che la diligenza professionale svolge una funzione essenzialmente differente695. Mentre, quella sancita dal codice civile costituisce un parametro di valutazione del comportamento che deve essere assunto dal debitore per soddisfare concretamente l’interesse del creditore, la diligenza prevista dall’art. 18, lettera h, Codice del consumo, ha una funzione volta a valutare la scorrettezza in termini di alterazione, reale o potenziale del comportamento economico del consumatore696.

Nel primo caso, la diligenza richiesta è quella del buon padre di famiglia697. Il

tertium comparationis sarà, dunque, il comportamento che l’uomo medio avrebbe potuto concretamente tenere per soddisfare l’interesse del creditore698. Detta valutazione ha un carattere per un verso oggettivo699 perché compiuta alla stregua di un criterio generale assunto dal legislatore e applicabile a tutte le obbligazioni, e al tempo stesso relativo, in quanto strettamente connesso al giudizio riguardante singole fattispecie, di volta in volta considerate. Al contrario, il criterio di cui all’art. 18 lett. h, Codice del consumo, consiste, come già anticipato, nella valutazione del normale grado di competenza e attenzione compiuta non già alla stregua di un criterio generale meramente oggettivo, bensì in conformità “alle aspettative che i consumatori possono ragionevolmente attendersi, nel settore commerciale di riferimento, dal professionista”700.

Si potrebbe replicare che la diligenza richiesta nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette sembrerebbe richiamare il testo dell’art. 1176, comma 2, c.c. relativo alle obbligazioni da adempiere nell’esercizio di un’attività

694 M.SCALI, sub art. 18, lett. h, cit., p. 156 ss. 695 M.SCALI, op. ult. cit., 156 ss.

696 G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali scorrette e i parametri di valutazione

della scorrettezza, cit., p. 154 ss.

697 C.M.BIANCA,Diritto civile, 3. Il contratto, cit., p. 475 ss.

698 G.ALPA, Pretese del creditore e normativa di correttezza, cit., p. 277 ss. 699 F.GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., p. 548 ss.

professionale e, dunque, apprezzabile con riguardo “alla natura dell’attività esercitata”.

Tuttavia, come rilevato da taluni autori701, tale coincidenza è solo apparente tenuto conto che nella disciplina di diritto comune la diligenza professionale costituisce un criterio valutativo condotto in base a regole oggettive connesse all’attività nel cui ambito viene assunta l’obbligazione; nel contesto delle pratiche commerciali tale criterio “pur temperato alla luce delle regole professionali oggettive lato sensu intese, viene poi ricondotto alle aspettative che ragionevolmente i consumatori possono attendersi in relazione al settore commerciale di riferimento”702.

In sintesi, per l’applicazione del parametro di cui all’art. 18, lett. h, Codice del consumo, individuato il settore di attività del professionista, si dovranno tenere in considerazione le regole tecniche, le norme deontologiche, le best practices al fine di valutare cosa possano legittimamente attendersi i consumatori di riferimento alla luce del principio generale di buona fede e correttezza e, di conseguenza, verificare in concreto se il comportamento tenuto dal professionista sia stato conforme o meno a tali aspettative703.

Del resto, mentre la violazione della diligenza di diritto comune è apprezzabile in concreto, in quanto abbia determinato un danno effettivo al creditore dando luogo a una responsabilità ex art. 1218 c.c.704, la violazione della diligenza nelle pratiche commerciali è funzionale alla valutazione in termini di scorrettezza anche di condotte che non abbiano ancora prodotto alcun danno effettivo ai consumatori, ma che siano potenzialmente lesive della libertà di scelta di questi ultimi705.

701 Cfr. tra gli altri G.DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali scorrette e i parametri di

valutazione della scorrettezza, cit., p. 154 ss.

702 M.SCALI, sub art. 18, lett. h, cit., 2009, p. 156 ss;

703 P. BARTOLOMUCCI, L’attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali scorette e le

modifiche al codice civile, cit., p. 272 ss.

704 C.M.BIANCA,Diritto civile, 3. Il contratto, cit., p. 480 ss.

705 G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali scorrette e i parametri di valutazione

5. (segue) Pratiche commerciali scorrette e diligenza professionale: le valutazioni della giurisprudenza nel caso ‘Portabilità dei mutui ipotecari’

Tra le prime pronunce in cui i giudici amministrativi hanno preso posizione sull’interpretazione del criterio della diligenza professionale quale parametro di valutazione della scorrettezza di una pratica commerciale, è interessante soffermarsi sulla ricostruzione fornita dal TAR del Lazio706 nel caso “Portabilità dei mutui ipotecari”. Come sarà di seguito approfondito, con la sentenza in esame il TAR ha confermato i mobili confini della nozione di diligenza professionale. Il giudice amministrativo è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato da alcuni istituti di credito per l’annullamento del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adottato in data 8 agosto 2008 a conclusione del procedimento PS 1194 con il quale è stato ritenuto che la condotta posta in essere dalle parti a fronte di richieste provenienti da consumatori di effettuare l’operazione di portabilità del mutuo costituisse una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, 22, 23, comma 1, lett. t, Codice del consumo, comminando una sanzione amministrativa pecuniaria per ciascuno dei ricorrenti.

In particolare, veniva rilevata a carico di taluni operatori creditizi, una condotta “consistente nell’impedire o rendere onerosa per i consumatori, già titolari di un mutuo ipotecario, che si rivolgono all’operatore per ottenerne la surrogazione, la così detta operazione di portabilità, prevista dall’art. 8 del D.L. 31 gennaio 2007, n. 40 e dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244”707.

706 TAR Lazio, Sez. I, 6 aprile 2009, n. 3689, caso Portabilità dei mutui ipotecari, cit.

L’orientamento del TAR Lazio è stato confermato dal Consiglio di Stato, sent. n. 9322/2010.

707 L’art. 8, del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7 (come modificato dalla legge di conversione 2 aprile

2007, n. 40, stabilisce: al comma 1 che “in caso di mutuo, apertura di credito o altri contratti di finanziamento da parte di intermediari bancari e finanziari, la non esigibilità del credito o la pattuizione di un termine a favore del creditore non preclude al debitore l’esercizio della facoltà di cui all’art. 1202 del codice civile”; al comma 2 che “nell’ipotesi di surrogazione ai sensi del comma 1, il mutuante surrogato subentra nelle garanzie accessorie, personali e reali, al credito surrogato. L’annotamento di surrogazione può essere richiesto al conservatore senza formalità, allegando copia autentica dell’atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata”; nella prima parte del comma 3, che “ è nullo ogni patto anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l’esercizio della facoltà di surrogazione di cui al comma 1”, aggiungendo che “la nullità del patto non comporta la nullità del contratto”. L’articolo in esame ha subito, consistenti e ulteriori modifiche apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), per effetto delle quali la configurazione dell’assetto normativo della materia può così sintetizzarsi: i) Nella seconda parte del comma 3, è

Dalle risultanze dell’indagine sarebbe emerso, fra l’altro, che a fronte dell’esigenza manifestata dalla clientela, di rivolgersi a un diverso istituto di credito rispetto a quello erogante l’originario mutuo, sia stata in taluni casi offerta la soluzione più onerosa consistente nella sostituzione del mutuo in luogo della gratuita portabilità.

A fronte della richiesta dell’Autorità volta all’acquisizione di informazioni e documentazione riguardante la prassi societaria adottata con riferimento alle richieste di portabilità dei mutui, talune delle società ricorrenti evidenziavano “le incertezze di carattere giuridico inerenti all’istituto della surrogazione per volontà del debitore ex art. 1202 c.c. che avrebbe avuto “una scarsa diffusione, sia per le difficoltà interpretative del testo normativo, che per le incertezze fiscali legate alla sua applicazione”708. Nonostante i chiarimenti forniti dalle parti nella fase

istruttoria, l’Autorità perveniva all’accertamento della scorrettezza delle pratiche commerciali oggetto di indagine.

L’impianto argomentativo della decisione dell’Autorità è riconducibile a due autonomi profili motivazionali. L’Autorità, rilevava, in primo luogo, come la condotta degli operatori creditizi interessati dal procedimento risultava contraria al principio previsto dal nuovo sistema di tutela dettato dagli artt. 18 ss. del Codice del consumo, secondo il quale “la sostanza del rapporto tra consumatore e professionista deve essere improntata a buona fede, diligenza e tutela del soggetto con minore forza contrattuale e maggiore deficit informativo”709.

La motivazione in esame trae fondamento dalla ratio legis delle disposizioni di cui al decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, individuata nell’esigenza di “assicurare al risparmiatore che intendesse cambiare banca per sostenere più agevolmente il

stata introdotta la specifica per cui “resta salva la possibilità del creditore originario e del debitore di pattuire la variazione, senza spese, delle condizioni del contratto di mutuo in essere, mediante scrittura privata anche non autenticata”; ii) al comma 3 bis, risulta apportata la puntualizzazione per cui “la surrogazione di cui al comma 1 comporta il trasferimento del contratto di mutuo esistente alle condizioni stipulate tra il cliente e la banca subentrante e con l’esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura. Non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione del nuovo mutuo, per l’istruttoria e per gli accertamenti catastali, che si svolgono secondo procedure di collaborazione interbancaria improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi”.

708 TAR Lazio, Sez. I, 6 aprile 2009, n. 3689.

pagamento di rate di mutuo che gravavano sul proprio bilancio familiare in modo sempre più rilevante, di poterlo fare senza dover affrontare costi”710.

Nel rilevare come la risposta fornita dagli operatori creditizi oggetto di indagine alle esigenze della clientela si sia sostanziata nell’offerta della soluzione più onerosa, l’Autorità, ha ritenuto scorretto e, in particolare, contrario al canone della diligenza professionale ex art. 20, comma 2, Codice del consumo, che l’operatore creditizio “abbia inteso acquisire comunque il vantaggio economico derivante dall’incremento/mantenimento di clientela rendendo oneroso ciò che la legge prevede come gratuito”.

Il secondo profilo motivazionale del provvedimento dell’Autorità ha ad oggetto “la scorrettezza del comportamento delle banche sotto il profilo della violazione dei doveri di corretta informazione che gravano sulla stessa ai sensi degli articoli 20, 21, 22 e 23, comma 1, lett. t), Codice del consumo”.

Tale assunto muove dalla rilevanza della correttezza dell’informazione fornita dal professionista al consumatore, quale elemento cardine del dovere di diligenza professionale, come delineato dalla Direttiva 2005/29/CE. Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, l’Autorità precisa che “le finalità della nuova disciplina sulla portabilità dei mutui, come definita dal decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7 e dalle successive modificazioni, verrebbero frustrate ove i professionisti non rivelassero o rappresentassero in maniera inesatta ai consumatori le possibilità offerte dalla suddetta normativa”711.

Alla stregua di quanto sopra riportato, l’Autorità ha ritenuto contraria al predetto dovere di diligenza informativa, “la condotta delle banche diretta a scoraggiare le scelte dei consumatori in favore della portabilità del mutuo prospettando ingannevolmente la sostituzione dello stesso quale soluzione unica o preferibile”. In particolare, l’Autorità ha ravvisato la presenza di elementi gravi, precisi e concordanti idonei a provare la suddetta pratica commerciale scorretta.

Tra questi si segnalano: i) le evidenti anomalie nei comportamenti dei clienti delle banche che difficilmente si sarebbero verificate qualora agli stessi fosse stato offerto un quadro informativo completo e corretto; ii) “il numero superiore delle sostituzioni di mutuo rispetto al numero delle surrogazioni attive così da

710 AGCM, PS 1194, provv. n. 18734, 7 agosto 2008, cit. 711 AGCM, PS 1194, provv. n. 18734, 7 agosto 2008, cit.

presumere che il professionista, proseguendo una pratica preesistente, abbia continuato a rispondere all’esigenza della clientela proponendo prevalentemente mutui in sostituzione e omettendo di segnalare la possibilità meno onerosa della surrogazione gratuita prevista dalla legge”712.

Nell’escludere la condivisibilità della tesi, prospettata dagli operatori creditizi, circa la riconducibilità della mancata attuazione della disciplina della portabilità alla scarsa chiarezza dell’originario dettato normativo, l’Autorità ha conclusivamente ritenuto che, in ragione dell’omessa o falsa rappresentazione della disciplina della materia e delle opportunità offerte al cliente, gli istituti di credito interessati dal procedimento “hanno falsato in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore in relazione al prodotto i) omettendo informazioni rilevanti di cui il medesimo ha bisogno per prendere una decisione consapevole (art. 22, comma 1, Codice del consumo); ii) fornendo informazioni non rispondenti al vero sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto (art. 21, comma 1, Codice del consumo)713.

Come riferito dal TAR714, l’ingannevolezza della pratica commerciale, al fine di assumere rilevanza nel quadro degli interventi repressivi rimessi all’Autorità, deve, dunque, essere individuata alla stregua di tre fondamentali coordinate identificative ravvisabili: i) in una condotta negativamente connotata sotto il profilo della diligenza; ii) in un comportamento del consumatore diverso da quello che quest’ultimo avrebbe tenuto (rectius avrebbe potuto tenere); iii) in un nesso di implicazione causale fra il primo e il secondo degli elementi sopra posti in evidenza. Il primo dei rilevati profili di analisi impone di valutare l’esatta portata contenutistica dell’obbligo di diligenza, segnatamente con riferimento alla figura professionale dell’operatore bancario.

Ad avviso dei giudici amministrativi non è controvertibile che la diligenza ordinariamente richiesta viene ad assumere, quanto alla figura dell’operatore creditizio, carattere di accentuata rilevanza.

Nel contesto della dimensione polifunzionale che le banche e gli istituti di credito vanno sempre più assumendo, la diligenza del buon banchiere (qualificata dal

712 AGCM, PS 1194, provv. n. 18734, 7 agosto 2008, cit. 713 AGCM, PS 1194, provv. n. 18734, 7 agosto 2008, cit. 714 TAR Lazio, Sez. I, 6 aprile 2009, n. 3689.

maggior grado di prudenza e attenzione che la connotazione professionale dell’agente richiede) è correttamente invocabile non solo con riguardo all’attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione a ogni tipo di atto od operazione che sia comunque oggettivamente esplicato presso una struttura bancaria e soggettivamente svolto da un funzionario bancario.

Ai fini dell’adempimento, l’obbligo di diligenza va valutato non alla luce di criteri rigidi e predeterminati, ma tenendo conto delle cautele e degli accorgimenti che le circostanze del caso concreto suggeriscono e/o impongono. In altri termini, chiarisce il TAR, “se non esiste un astratto paradigma suscettibile di integrare un univoco termine di riferimento quanto all’individuazione di un comportamento diligente in capo all’operatore creditizio, la commisurazione del relativo obbligo andrà necessariamente parametrata con la condotta concretamente esigibile nella fattispecie in considerazione”715.

In particolare, la condotta diligente dovrà essere valutata avuto riguardo alle peculiarità della vicenda negoziale, al “complesso delle conoscenze riferibili all’operatore commerciale e alla qualificazione del contatto con la clientela (con particolare riferimento agli obblighi informativi non soltanto di carattere preliminare, ma anche contestuali e/o successivi al perfezionamento dell’operazione. In questi termini depone l’interpretazione della normativa comunitaria di riferimento716 nella parte in cui717 definisce la nozione di diligenza professionale “prendendo in considerazione rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista, il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori”. Con riguardo alla specifica condotta tenuta dagli operatori creditizi sanzionati dall’Autorità, i giudici amministrativi hanno rilevato come la sottoposta fattispecie non consenta di ravvisare la presenza delle necessarie coordinate identificative della pratica commerciale scorretta.

715 TAR Lazio, Sez. I, 6 aprile 2009, n. 3689, p. 12 ss.

716 Direttiva 2005/29/CE, Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato

interno.

Non è dato rinvenire, ad avviso del Collegio giudicante, una valenza decettiva della condotta posta in essere dagli istituti di credito. Secondo la ricostruzione del TAR Lazio, tale assunto718, invero indimostrato, è stato accolto dall’Autorità ritenendo che alla non tempestiva offerta di surrogazione719 si sia accompagnata la proposta di sostituzione720 del mutuo stesso secondo una modalità “diversa rispetto al paradigma introdotto dall’art. 8 del D.L. n. 7/2007 e soprattutto onerosa al fine di consentire all’operatore creditizio il conseguimento di utilità economiche che la gratuità della surrogazione avrebbe impedito di ottenere. L’esplicitato teorema sul quale poggia l’impianto accusatorio dell’Autorità, non è stato condiviso dai giudici amministrativi secondo i quali “il carattere totalmente e/o essenzialmente non oneroso della surrogazione non soltanto era estraneo all’originaria formulazione dell’art. 8 del D.L. n. 7/2007, ma neppure ha acquisito ulteriore chiarezza a seguito dell’intervento realizzato con la legge n. 244/2007 (finanziaria per il 2008).

In ogni caso, laddove una tale pratica sia stata effettivamente posta in essere da uno o più istituti di credito sul presupposto (peraltro indimostrato) di conseguire profitti economici per effetto della proposta operazione di sostituzione del mutuo, non è dato comprendere la portata concretamente decettiva o fuorviante di tale politica imprenditoriale ove si consideri: i) che il cliente avrebbe potuto rivolgersi altrove; ii) che in assenza di alcun obbligo legale a contrarre, ben avrebbe potuto qualunque istituto di credito, ancorchè in presenza di un chiaro quadro di riferimento, continuare a proporre alla clientela la sostituzione e non anche la surrogazione, ove ritenuta maggiormente conveniente sulla base di scelte professionali “ex se non interpretabili in termini di scorrettezza”.

Ciò anche alla luce del richiamo espressamente operato dal comma 1 dell’art. 8 del D.L. n. 7/2007 a quanto disposto dall’art. 1202 c.c., comma 1, c.c., ai sensi del quale “il debitore, che prende a mutuo una somma di danaro o altra cosa fungibile

718 Si fa riferimento alla valutazione di scorrettezza operata dall’Autorità.

719 La surroga, o portabilità, è la procedura introdotta dalla Legge Bersani n. 40/2007. La

surrogazione permette di “trasferire” a costo zero il proprio mutuo da una banca a un’altra e modificare i parametri del mutuo (senza variare il debito residuo)

720 Con la sostituzione che a differenza della surroga è a titolo oneroso, si procede alla stipula di un

nuovo mutuo con una nuova banca. Il capitale ottenuto viene utilizzato per estinguere il mutuo