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L’idoneità della pratica a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore

Una volta individuata l’area di operatività del criterio della diligenza professionale occorre procedere verso lo studio di un secondo parametro di valutazione della scorrettezza. In particolare, una pratica che non rientri nelle black list di cui agli articoli 23 e 26, Codice del consumo, può essere considerata scorretta se, oltre ad essere contraria alla diligenza professionale, “falsa o è idonea a falsare in misura apprezzabile724 il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”725. La formulazione del requisito in esame risulta estremamente ampia. Al riguardo sono in parte di ausilio le ulteriori precisazioni fornite dal Codice del consumo.

722 In realtà si trattava di operatori dell’Associazione Altroconsumo. 723 TAR Lazio, Sez. I, 6 aprile 2009, n. 3689.

724 Nell’art. 20, comma 2, Codice del consumo, il legislatore italiano ha preferito utilizzare

l’aggettivo “apprezzabile” invece di “rilevante” che si ritrova nella versione italiana della Direttiva 2005/29/CE, ma ha omesso (forse a causa di un’ulteriore svista) di adeguare a tale scelta la formulazione dell’art. 18, lett. e), Codice del consumo recante la definizione di “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”.

Tra queste si segnala la definizione fornita dall’art. 18, lett. e), secondo la quale “falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore” significa “impiegare una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo, pertanto, ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”726.

Quest’ultima definizione, se, da un lato, cerca di restringere il campo applicativo della disciplina in oggetto, dall’altro, lascia spazio a un nuovo quesito interpretativo concernente il significato di “decisione di natura commerciale”. Come rilevato in dottrina727, la tecnica di formulazione della disciplina in commento non sembra orientata verso l’uso di definizioni esaustive e chiarificatrici del dettato normativo, “ma privilegia l’impiego di rimandi a differenti concetti, quasi che l’individuazione del perimetro della fattispecie passi per un costante gioco di richiami e riferimenti”.

Volendo puntualizzare la portata e il significato di “decisione di natura commerciale”728 questa è definita dall’art. 18, lett. m) come la decisione presa da un consumatore relativa al se acquistare o meno un prodotto, alla modalità e alle condizioni in cui farlo, al pagamento parziale o integrale del prezzo, al se tenere un prodotto o disfarsene, al se esercitare un diritto in relazione al prodotto spettante al consumatore sulla base di un contratto concluso con il professionista. Ne consegue, che la condotta rilevante per la fattispecie in parola deve essere idonea a incidere sensibilmente sulla capacità del consumatore di compiere scelte di natura patrimoniale che, altrimenti, non avrebbe preso.

Sono ampi i margini di applicazione del criterio in esame. Il parametro dell’idoneità poggia, infatti, su una complessa verifica empirica729 che, in primo

726 Cfr. art. 18, lett. e, Codice del consumo.

727 F. LUCCHESI, sub art. 18, in Codice del Consumo. Aggiornamento. Pratiche commerciali

scorrette e azione collettiva, cit., p. 14 ss.

728 Secondo un orientamento maggioritario in dottrina (cfr. tra gli altriG. DE CRISTOFARO, Pratiche

commerciali scorrette e codice del consumo, il recepimento della direttiva 2005/29/CE nel diritto italiano (decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007), cit., p. 64 ss. La locuzione “decisione di natura commerciale” che costituisce una trasposizione del termine utilizzato nel testo francese di recepimento della direttiva, si rivela impropria. Sarebbe stato più opportuno sostituirla con “determinazione negoziale”. Quest’ultima espressione, peraltro, sarebbe più in linea con la formulazione utilizzata in altre versioni della direttiva.

729 P. BARTOLOMUCCI, L’attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali scorette e le

luogo, richiede all’Autorità di individuare l’ipotetico scenario di mercato realizzabile in assenza della pratica. Una volta terminata tale ricostruzione, occorrerà operare un raffronto con l’ipotesi concretamente verificatasi730 così da accertare se quest’ultima sia tale da falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio.

A quest’ultimo profilo, la dottrina è solita riferirsi adoperando l’espressione materiality test731. Sempre ai fini dell’applicazione del criterio in esame è utile chiedersi se siano sufficienti condotte oggettivamente suscettibili di falsare la capacità dei consumatori di adottare decisioni consapevoli, ovvero sia, altresì, necessario che tali condotte sul piano soggettivo siano state intenzionalmente poste in essere dai loro autori allo scopo di determinare siffatta alterazione. Ove si accogliesse la seconda delle interpretazioni prospettate, ne deriverebbe una consistente diminuzione delle concrete possibilità di vedere applicata la definizione generale di pratica commerciale scorretta di cui all’art. 20, Codice del consumo. E’ questa la ragione per la quale già il legislatore comunitario ha voluto escludere che allo stato soggettivo del professionista possa essere attribuita rilevanza in termini di slealtà ex art. 5, comma 2, della Direttiva 2005/29/CE (in termini di scorrettezza, cfr. art. 20, comma 2, Codice del consumo)732. Da ultimo, è necessaria una verifica sulla portata del termine “apprezzabile” (art. 20, comma 2, Codice del consumo) rispetto al quale le pratiche commerciali devono essere sottoposte a un vero e proprio test il quale prevede per le pratiche ingannevoli: i) la disapplicazione del divieto nei casi in cui l’infrazione sia puramente formale e l’inesattezza informativa sia, al di là di ogni ragionevole dubbio, inidonea a modificare la soglia di attenzione del destinatario del messaggio; ii) l’applicazione del divieto, con presunzione di “apprezzabilità”, in tutti gli altri casi, dunque, ogniqualvolta l’inesattezza sia idonea ad attirare una particolare attenzione; iii) la

730 F. LUCCHESI, sub art. 18, in Codice del Consumo. Aggiornamento. Pratiche commerciali

scorrette e azione collettiva, cit., p. 14 ss. Secondo l’A., “la valutazione della scorrettezza di una pratica dovrà essere svolta in concreto, ovvero in base alle circostanze del singolo caso e non secondo una valutazione condotta in termini di astrattezza”.

731 Cfr. M.LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche

commerciali scorrette, cit., p. 73 ss.

732 G. DE CRISTOFARO, Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo, il recepimento della

direttiva 2005/29/CE nel diritto italiano (decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007), cit., p. 64 ss.

possibilità, per l’impresa interessata, di dimostrare l’inidoneità in concreto del messaggio a incidere sulla libertà di scelta del consumatore.

Il test è applicabile in via parallela alle pratiche commerciali aggressive in relazione alle quali: “i) possono considerarsi estranee al divieto tutte le molestie, etc., che, secondo una valutazione di tipicità sociale, sono definibili bagatellari, cioè inidonee a influire sulla scelta del consumatore; ii) al di sopra di questa soglia minima la pratica può presumersi scorretta tutte le volte in cui questa sia idonea a suscitare una “tensione psicologica nel consumatore”733.