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Le omissioni ingannevol

Le norme in materia di pratiche commerciali scorrette trovano applicazione anche con riguardo alle condotte omissive.

Oltre alla specifica attenzione che la disciplina in commento riserva al numero, alla qualità e al contenuto delle informazioni offerte ai consumatori, parimenti

441 AGCM, PS 2720, provv. n. 20513, 25 novembre 2009, in Boll. 47/2009; AGCM, PS 182,

provv. 20583, 16 dicembre 2009, in Boll. 52/2009; AGCM, PS 1730, provv. n. 20493, 18 novembre 2009, in Boll. 47/2009; AGCM, PS 1314, provv. n. 20348, 1 ottobre 2009, in Boll. 40/2009; AGCM, PS 891, provv. n. 20284, 10 settembre 2009, in Boll. N. 36/2009.

442 Cfr. AGCM, PS 1228, provv. n. 20365, 7 ottobre 2009, in Boll. 40/2009; Sul punto, cfr., altresì,

TAR Lazio, sent. n. 6347, 1 luglio 2009.

443 TAR Lazio, sent. n. 3723, 9 aprile 2009.

rileva la circostanza che le stesse non vengano fornite affatto. In proposito, l’art. 22, comma 1, Codice del consumo, considera ingannevole “una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

Al fine di garantire la libera e consapevole determinazione del consumatore, nelle omissioni ingannevoli non viene annoverata soltanto la mancata concessione di informazioni necessarie, ma anche le “modalità attraverso le quali il professionista fornisca informazioni poco chiare e di fatto non intellegibili al consumatore”445. In

ragione dell’ampiezza del termine “omissione”, riferibile, dunque, alle modalità “oscure”446 con le quali certe informazioni vengono trasferite ai consumatori, sono suscettibili di essere ricomprese nella disposto di cui all’art. 22, Codice del consumo, le notizie graficamente poco leggibili; quelle poco chiare; quelle presentate in maniera ambigua; quelle che celino l’intento promozionale e commerciale447.

Solo in due ipotesi il legislatore stabilisce quali siano le informazioni rilevanti che ove omesse rendono una pratica commerciale ingannevole.

La prima ipotesi è quella prevista dall’art. 22, comma 4, in base al quale “nel caso di un invito all’acquisto” sono considerate rilevanti, ai sensi del comma 1, le informazioni concernenti i seguenti elementi: le caratteristiche principali del bene o del servizio, le quali devono essere descritte in maniera adeguata al mezzo di comunicazione utilizzato o alla natura dell’oggetto; l’indirizzo geografico e l’identità del professionista, così come la sua denominazione sociale e, se del caso, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli

445 R.CALVO, Le pratiche commerciali ingannevoli, cit., p. 223 ss. 446 Cfr. art. 22, comma 2, Codice del consumo.

447 F. LUCCHESI, sub art. 22, in Codice del Consumo. Aggiornamento. Pratiche commerciali

scorrette e azione collettiva, cit., p. 40 ss.; Cfr. art. 22, comma 2, Codice del consumo. “Una pratica commerciale è, altresì, considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa” […].

agisce; il prezzo, comprensivo degli oneri fiscali ovvero, se la natura del prodotto rende ragionevolmente impossibile determinarne in anticipo l’ammontare, le modalità con le quali il prezzo deve essere calcolato ovvero quelle relative al pagamento dello stesso; le modalità di consegna, esecuzione e trattamento dei reclami in caso di difformità dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale; l’esistenza di un diritto di recesso448.

La seconda ipotesi è quella considerata dal comma 5 dell’articolo in esame secondo cui “sono considerati rilevanti gli obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario e connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto”449.

Basti pensare, ad esempio, agli articoli 4 e 5 della Direttiva 97/7/CE (concernente la “protezione dei consumatori nei contratti a distanza”), all’art. 3 della Direttiva 90/314/CEE (relativa ai “viaggi, alle vacanze e ai circuiti tutto compreso”)450.

Escluse le predette due ipotesi, il Codice del consumo non precisa quali siano le informazioni che possano dirsi rilevanti ai fini della valutazione dell’ingannevolezza di una pratica omissiva451.

La rilevanza dell’informazione omessa andrà, dunque, valutata di volta in volta tenendo conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato452.

11. (segue) Le pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli

L’art. 23 del Codice del Consumo riporta un elenco d pratiche considerate in ogni caso ingannevoli. Si tratta di una “lista nera” di condotte di per sé vietate sulla base di un giudizio prognostico svolto dal legislatore.

La così detta black list non ha una mera finalità esemplificativa o di specificazione della clausola generale, ma richiama talune ipotesi tassative di

448 Cfr. art. 22, comma 4, Codice del consumo. 449 Art. 22, comma 5, Codice del consumo.

450 Possono essere, altresì, richiamati: l’art. 3, paragrafo 3, della direttiva 94/47/CE (tutela

dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili), gli articoli 3 e 4 della direttiva 2002/65/CE (commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori).

451 R.CALVO, Le pratiche commerciali ingannevoli, cit., p. 223 ss. 452 Cfr. art. 22, comma 1, Codice del consumo.

pratiche in ogni caso vietate a prescindere dalla loro concreta forza decettiva453. In questo caso, il criterio casistico, il quale trae origine dall’Allegato 1 della Direttiva 2005/29/CE, è stato, dunque, preferito rispetto alla tecnica legislativa “per principi generali”454 che aumenta inevitabilmente la discrezionalità e il potere dell’autorità chiamata ad accertare l’eventuale ingannevolezza di una pratica commerciale455.

Le condotte di cui all’art. 23 del Codice del consumo si caratterizzano, dunque, per una natura intrinsecamente negativa dinanzi alla quale l’autorità competente è legittimata a una valutazione di ingannevolezza della pratica senza ricorrere ai criteri generali della diligenza professionale e del consumatore medio di cui all’art. 20 del Codice del consumo456.

Il fine perseguito con la predisposizione dell’elenco in commento potrebbe ricondursi all’esigenza di ridurre il rischio che una fuga del legislatore nelle clausole generali determini un sistema di valutazione caso per caso che mal si adatta a un ordinamento giuridico fondato sul diritto positivo.

Strettamente connessa a questa ratio è la scelta già operata a livello comunitario “verso un modello descrittivo”457 volto a garantire un’applicazione maggiormente uniforme della disciplina e, al tempo stesso, come si chiarirà di seguito458, un notevole alleggerimento dell’onere probatorio gravante sui consumatori che intendano agire in giudizio contro il professionista che abbia posto in essere una pratica commerciale scorretta.

Questi ultimi, infatti, “saranno semplicemente chiamati a dar prova della pratica concretamente posta in essere dal professionista e della sua corrispondenza a una delle fattispecie descritte all’art. 23 del Codice del consumo”459.

Non è richiesta alcuna ulteriore indagine, circa la rispondenza di dette pratiche al modello di ingannevolezza ex artt. 20, 21 e 22 del Codice del consumo460.

453 V. MELI, Le pratiche sleali ingannevoli, in I decreti legislativi sulle pratiche commerciali

scorrette, cit., p. 109 ss.

454 M.DONA, L’elenco delle pratiche considerate in ogni caso sleali nell’allegato 1 della direttiva

2005/29/CE, in Le pratiche commerciali sleali, a cura di E. Minervini e Liliana Rossi Carleo, Milano, 2007, p. 196 ss.

455 EZIO GUERINONI, Le pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, cit., p. 126 ss. 456 EZIO GUERINONI,op. ult. cit., p. 129.

457 M.DONA, L’elenco delle pratiche considerate in ogni caso sleali nell’allegato 1 della direttiva

2005/29/CE, cit., p. 196 ss.

458 Cfr. cap. III del presente lavoro. 459 M.DONA, op. ult. cit., p. 193 ss.

Detto ciò, deve però ritenersi che il descritto obiettivo di maggiore certezza del diritto dei consumatori trova uno scarso riscontro nell’attuazione pratica della disciplina tenuto conto che la formulazione delle condotte di cui all’art. 23 del Codice del consumo non è estranea a profili di genericità che rendono difficile un’interpretazione uniforme e omogenea461.

Secondo taluni autori462, “si rivela in parte illusorio lo stesso assunto secondo il quale nel giudizio di ingannevolezza di una delle condotte richiamate nella black list si prescinde dai criteri i) della contrarietà alla diligenza professionale; ii) del consumatore medio; ii) dell’idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio”.

L’elenco di pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli prevede ipotesi nelle quali è per definizione “impossibile sottrarsi a una valutazione di contrarietà ala diligenza professionale e di idoneità all’inganno e in cui si ripropone il problema dei criteri oggettivi e soggettivi di valutazione”463.

Basti pensare ad alcune espressioni contenute nel suddetto elenco tra cui “generare l’impressione”, “fuorviare deliberatamente”, “dare la falsa impressione”464 le quali non possono non richiedere una valutazione del comportamento del professionista e della consapevolezza del consumatore465. Per quanto concerne il contenuto dell’art. 23 de Codice del consumo, taluni autori466 hanno ipotizzato una suddivisione in due macrocategorie distinguendo tra le pratiche commerciali fondate “sull’inganno dell’apparenza” (art.23, lett. a, b, c, d, h, i, l, n, o, r, s, aa, bb) e quelle basate “sull’inganno della propaganda” (art. 23, lett. e, f, g, m, p, q, t, u, v, z).

- La fattispecie di cui all’art. 23, lett. a, Codice del consumo

La pratica commerciale descritta dall’art. 23, lett. a, Codice del consumo rappresenta una “concretizzazione del precetto di cui all’art. 21, comma 2, lett. b

460 EZIO GUERINONI, Le pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, cit., p. 126 ss. 461 V.MELI, Le pratiche commercali ingannevoli, cit., p. 109 ss.

462 Cfr. tra gli altri V.MELI,op. ult. cit., p. 109 ss. 463 V.MELI,op. ult. cit., p. 109 ss

464 Cfr. art. 23. Lettere i), aa), bb).

465 EZIO GUERINONI, Le pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, cit., p. 127 ss 466 Cfr. tra gli altri F.LUCCHESI, sub art. 23, in Codice del Consumo. Aggiornamento. Pratiche

del medesimo codice467, che qualifica come azione ingannevole la condotta del professionista che dichiari di essere vincolato ad un codice di condotta senza rispettarne le regole. L’art. 23, lett. a, qualifica come “in ogni caso ingannevole l’affermazione non rispondente al vero, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta”468.

Questa falsa affermazione, può suscitare nel consumatore l’erroneo convincimento che il professionista sia vincolato agli standard di comportamento oggetto del codice di condotta e che sia soggetto alle relative procedure di controllo e sanzionatorie469.

Durante i lavori preparatori della Direttiva 2005/29/CE la Commissione ha accantonato l’idea di attribuire una vincolatività immediata ai codici di condotta470.

Per quanto riguarda più da vicino la fattispecie di cui all’art. 23, lett. a, è opportuno attribuire un senso molto lato al termine “affermazione”, includendovi ogni comportamento del professionista rivolto verso l’esterno, che produca l’effetto di diffondere informazioni sull’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale da esso svolta. La norma non richiede una specifica forma.

L’affermazione può, dunque, avvenire sia per iscritto, che oralmente, ovvero per fatti concludenti o immagini. In tal senso, la fattispecie in commento trova applicazione anche qualora “un professionista diffonda un filmato nel quale egli si faccia riprendere all’atto della sottoscrizione di un codice di condotta, senza tuttavia vincolarsi allo stesso471.

467 R.CALVO, Le pratiche commerciali ingannevoli, cit., p. 175 ss.

468 L’art. 18, lett. f, Codice del consumo, definisce “codice di condotta: un accordo o una

normativa che non è imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o a uno o più settori imprenditoriali specifici”

469 PHILIPP FABBIO, I codici di condotta, in I decreti legislativi sulle pratiche commerciali

scorrette, Attuazione e impatto sistematico della Direttiva 2005/29/CE, Anna Genovese (a cura di), Padova, 2008. p. 159 ss.

470 Cfr. Libro verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea, cit., p. 15 ss.

471 F. LUCCHESI, sub art. 23, in Codice del Consumo. Aggiornamento. Pratiche commerciali

scorrette e azione collettiva, cit., p. 53 ss.. Anche l’utilizzo di un logo al cui uso siano autorizzati solamente coloro che abbiano aderito a un determinato codice di condotta, ingenerando la falsa convinzione che il professionista sia vincolato a siffatto codice, rappresenta un’affermazione per fatti concludenti che in ogni caso potrebbe ricadere anche sotto la previsione di cui alla lettera b).

L’affermazione deve essere oggettivamente falsa472. Tale può dirsi, in tutte le ipotesi in cui il codice in questione sia inesistente, ovvero il professionista, contrariamente a quanto da lui affermato, non abbia di fatto sottoscritto il codice stesso473.

- La fattispecie di cui all’art. 23, lett. b, Codice del consumo

La previsione di cui all’art. 23, lett. b, qualifica come in ogni caso ingannevole “l’esibizione da parte del professionista di un marchio di fiducia, un marchio di qualità, o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione”474.

Nella prospettata ipotesi il consumatore è indotto a pensare che il prodotto in tal modo contrassegnato corrisponda a determinati standard di qualità, il cui rispetto venga accertato prima del rilascio dell’autorizzazione all’utilizzo del marchio e successivamente monitorato da un ente specializzato.

L’art. 23, lett. b, è destinato a trovare applicazione anche all’ipotesi in cui il prodotto oggetto di siffatta promozione possegga le qualità presupposte per il rilascio di detto marchio, ma la relativa autorizzazione non sia stata rilasciata. Ciò che rileva è, infatti, la circostanza che il professionista abbia ottenuto dall’ente a ciò preposto l’autorizzazione all’utilizzo del marchio.

La pratica commerciale in ogni caso ingannevole descritta dalla norma in esame si ravvisa nell’ipotesi in cui il marchio venga impiegato dal professionista in modo da ricollegare allo stesso l’attenzione del consumatore.

In proposito si è espressa l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale ha riscontrato la violazione della norma in commento rispetto a un messaggio pubblicitario che, promuovendo un servizio di assistenza tecnica per determinati prodotti, riportava i marchi di alcune ditte produttrici degli stessi senza aver a tale scopo ottenuto la relativa autorizzazione475.

E’ irrilevante ai fini dell’applicazione della disciplina in commento che il procedimento di rilascio dell’autorizzazione non sia stato mai avviato, ovvero che questo abbia avuto esito negativo o ancora che l’autorizzazione stessa fosse stata

472 R.CALVO, Le pratiche commerciali ingannevoli, cit., p. 175 ss

473 EZIO GUERINONI, Le pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, cit., p. 127 ss 474 Cfr. art. 23, lett. b, Codice del consumo.

all’inizio rilasciata e successivamente revocata476. Del pari irrilevante ai fini della previsione di cui alla lettera b) è la circostanza che il prodotto possegga effettivamente le qualità pubblicizzate477.

- La fattispecie di cui all’art. 23, lett. c, Codice del consumo

La previsione di cui all’art. 23, lett. c, individua come in ogni caso ingannevole la pratica attraverso la quale un professionista asserisce, contrariamente al vero, che un codice di condotta ha l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura. Il consumatore raggiunto da una siffatta pratica può essere indotto a credere che “il professionista che aderisce ad un codice garantito meriti maggiore fiducia o vada comunque premiato rispetto ai concorrenti”478.

L’affermazione è falsa ai fini di cui all’art. 23, lett. c, quando il codice in questione è inesistente, ipotesi assimilabile a quella in cui il professionista affermi genericamente “di essere firmatario di un codice senza però specificare di quale codice si tratti”479.

- La fattispecie di cui all’art. 23, lett. d, Codice del consumo

La lettera d dell’articolo 23 individua la condotta consistente “nell’asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto siano stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che siano state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta”.

La fattispecie è idonea a ricomprendere ad esempio ipotesi in cui un soggetto non abilitato all’esercizio della professione forense si dichiari avvocato, ovvero un professionista millanti riconoscimenti che non ha, invero, mai ottenuto.

Per quanto concerne la falsa affermazione relativa a pratiche commerciali, le lettera d si applica a tutte le ipotesi in cui il professionista non faccia riferimento direttamente a sé o ai suoi prodotti, bensì a riconoscimenti ottenuti dalle pratiche commerciali poste in essere dallo stesso480.

476 AGCM, PS 804, provv. n. 18998, 16 ottobre 2008, in Boll. N. 39/2008. 477 AGCM, PS 2443, provvedimento n. 19716, cit..

478 PHILIPP FABBIO, I codici di condotta, cit., p. 194 ss. 479 PHILIPP FABBIO, op. ult. cit, p. 194 ss.

480 R.CALVO, Le pratiche commerciali ingannevoli, cit., p. 175 ss. La formulazione dell’art. 23,

lett. d, induce a ricomprendere nel termine “approvazione” anche l’attribuzione di un riconoscimento o di un premio.

Nella prima ipotesi descritta dall’art. 23, lett. d, il consumatore viene tratto in inganno in merito al’esistenza dell’asserita autorizzazione, mentre nella seconda esso viene ingannato sul rispetto da parte del professionista degli standard presupposti per il corrispondente riconoscimento.

Tale fattispecie si applica anche alle ipotesi in cui, pur sussistendo un determinato riconoscimento, i suoi contenuti non corrispondano a quanto affermato dal professionista.

Ciò può verificarsi qualora, quest’ultimo affermi di essere abilitato a operare anche in aree per cui in realtà non ha ottenuto abilitazione, ovvero dichiari che certi prodotti oggetto della sua attività hanno ricevuto determinati riconoscimenti, mentre, in verità, questi ultimi sono stati attribuiti solamente ad altri prodotti dallo stesso commercializzati481.

- La fattispecie di cui all’art. 23, lett. e, Codice del consumo

L’art. 23, lett. e, considera pratica commerciale in ogni caso ingannevole l’invito “all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo e in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all’entità della pubblicità di quest’ultimo e al prezzo offerti”482.

La ratio di tale norma va ravvisata nel deficit informativo causato in capo al consumatore dalle lacunose affermazioni del professionista.

Ogniqualvolta il professionista preveda di non essere in grado di soddisfare la domanda, esso è dunque tenuto a fornire informazioni in misura tale da consentire al consumatore medio di comprendere come valutare realmente l’offerta.

La condotta descritta dalla norma in esame richiama il concetto di invito all’acquisto la cui definizione si rinviene nell’art. 18, lett. i, Codice del consumo483.

481R.CALVO,op. ult. cit., p. 179 ss.

482 Cfr. anche Direttiva 2005/29/CE, Allegato 1, n. 5. Il legislatore comunitario descrive tale

pratica come una “pubblicità propagandistica”.

483 Cfr. l’art. 18, lett. i, Codice del consumo, che definisce l’invito all’acquisto come “una

comunicazione commerciale indicante le caratteristiche e il prezzo del prodotto in forme appropriate rispetto al mezzo impiegato per la comunicazione commerciale e, pertanto, tale da consentire al consumatore di effettuare un acquisto”.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 23, lett. e, non basta una insufficienza delle scorte in quanto tali, ma si rende altresì necessario che il professionista violi l’obbligo di informare il consumatore che esso non dispone di un adeguato quantitativo di merce.

Si richiede al professionista di effettuare una valutazione prognostica che tenga conto dei futuri sviluppi dell’assetto delle proprie scorte e dell’idoneità delle stesse a soddisfare la domanda sorta in relazione alla propria offerta484.

I parametri che il professionista deve considerare al fine di orientare il suo comportamento ed evitare di incorrere nell’ipotesi di cui all’art. 23, lett. e, sono, pertanto, il prodotto, l’entità dell’attività promozionale e il prezzo a cui il prodotto è offerto.

Sul punto si è espressa l’AGCM, la quale sottolineando come l’art. 23, lett. e, richieda un’attenta analisi di natura e contenuto della campagna pubblicitaria, al fine di verificare se il prodotto oggetto di promozione sia stato reso disponibile in quantità ragionevoli in rapporto all’entità della promozione effettuata e della domanda sollecitata, nonché se il consumatore fosse in grado di percepire con sufficiente chiarezza l’esistenza di limitazioni della disponibilità del prodotto485. Dal testo della norma in commento si evince che l’ingannevolezza della pratica non è ravvisabile nell’ipotesi in cui il consumatore abbia a disposizione un prodotto equivalente al medesimo prezzo (e in quantità adeguata) di quello oggetto dell’invito all’acquisto.

Il prodotto che il professionista deve avere a disposizione in caso di “esaurimento delle scorte” deve, dunque, essere venduto al medesimo prezzo ed essere fungibile rispetto al bene pubblicizzato.

Come chiarito da taluni autori486, deve trattarsi di beni “intercambiabili”487. In sede di tale verifica può comunque rilevare anche la specifica volontà del

484 AGCM, PS 1434, provv. n. 19447, 22 gennaio 2009, in Boll. 4/2009.