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Una possibile via d’uscita per l’affermazione di politiche volte alla sostenibilità locale è quella che mira a restituire autonomia ai territori e ai rispettivi organi di governo, rispetto alle forme di governo basate sull’eterodirezione, garantendo al contempo alle collettività locali forme stabili e strutture di partecipazione al governo delle decisioni d’interesse collettivo. Tale approccio alla sostenibilità e alla partecipazione si fonde nel concetto di autosostenibilità, ovvero: <<la capacità di un sistema territoriale locale di produrre benessere in forme durevoli, consentendo la riproduzione valorizzata allargata delle proprie risorse patrimoniali (ambientali, territoriali, umane), senza sostegni esterni (vedi impronta ecologica) e con scambi solidali e non di sfruttamento; esso è praticabile solo a condizione che gli attori locali cooperino attivamente e responsabilmente al processo, mobilitando all’interno del sistema le energie sociali per la sua condizione>> (Magnaghi, 2005, pag. 102).

Come vedremo, tale approccio affonda le proprie radici teoriche nell’ambito degli studi portati avanti dalla <<scuola territorialista>>, la quale, all’interno delle dinamiche evolutive della modernità, di cui la globalizzazione è il portato più rilevante, assegna un ruolo fondamentale ai rapporti transcalari che si instaurano tra il livello locale e quello globale.

13 Fatto vero non solo per le grandi conurbazioni, ma che si estende anche alla rete delle piccole e medie città nella

quali il processo di occupazione di suolo e di crescita delle periferie è andato di pari passo con l’affermazione progressiva di modelli culturali e di consumi individuali di tipo metropolitano.

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Secondo tale approccio, in talune circostanze determinati ambiti territoriali, le reti locali dei soggetti, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra di loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. In tali ambiti, denominati anche Sistemi Locali Territoriali (Dematteis, Governa, 2005), si ha autoriproduzione sostenibile delle rispose territoriali se l’attore collettivo territoriale, interagendo con altri sistemi locali e con altri livelli sovralocali, crea valore mobilitando il potenziale di risorse specifiche del proprio territorio, senza ridurre il capitale territoriale, ne quello locale, ne quello di altri territori esterni coinvolti nel processo (Ibidem).

Promuovere lo sviluppo locale autosostenibile implica pertanto un approccio che metta il territorio in primo piano. Territorio non più pensato come contenitore di risorse, spazio indifferenziato e supporto tecnico a servizio della produzione, ma come luogo di vita, accumulatore di relazioni e generatore di processi sociali, <<soggetto vivente ad alta complessità […] prodotto dell’interazione di lunga durata tra insediamento umano e ambiente>> (Magnaghi, 2000).

È indispensabile ricostruire l’identità dei luoghi14 (ibidem). Difatti,

l’identificazione di lunga durata è fondamentale per avviare nuovi processi di territorializzazione (Ibidem). È necessario che la società locale riconosca il proprio territorio e lo valorizzi costruendo “socialità”.

L’autoriconoscimento e la crescita dell’identità locale, la sua capacità di ri- pensarsi (Cassano, 1996) sono la matrice più profonda dello sviluppo sostenibile. Il territorio ha bisogno di riappropriarsi della sua dimensione originaria di soggetto vivente ad alta complessità attraverso un processo di “bonifica” finalizzato a ricostruire sistemi ambientali e territoriali. Questo processo non può avvenire in forme tecnocratiche; esso richiede nuove forme di democrazia che sviluppino l’autogoverno delle comunità insediate. Riabilitare e riabitare i luoghi significa nuovamente voler prendersene cura

14 In molte aree, il sistema sociale si è frantumato in mille pezzi disperdendosi altrove. Inevitabilmente si è assistito

alla scomparsa o all’indebolimento delle reti amicali e parentali che costruivano e costituivano significative forme di economia; nonché al venir meno dei contadini, degli artigiani e di tutte quelle figure di leader che con il loro operato riuscivano a tenere insieme la comunità con forme più o meno forti di controllo sociale. La distruzione dei mondi tradizionali ha, dunque, stravolto le relazioni sociali, affettive, culturali, simboliche che legavano in un tutto inscindibile le comunità e i territori con le conseguenze, fin troppo visibili, di vanificare gli alti intenti di coesione e di identità non riuscendo a costruire nuove relazioni altrettanto coerenti e significanti nelle proprie connotazioni.

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quotidianamente da parte di chi ci vive, con il supporto di rinnovate sapienze ambientali, tecniche e di governo.

Perché ciò, quindi, avvenga, è necessario “fare società locale” (ibidem), ovvero ricreare le condizioni per costituire una società sufficientemente complessa e articolata che sia in grado di adoperarsi per il proprio ambiente, nonché territorio. Gli abitanti possono diventare i principali attori dello sviluppo locale autosostenibile, sia attraverso la loro capacità di autorganizzazione che in qualità di produttori e fruitori.

Al fine di superare il modello centro-periferico basato sulla forte dipendenza gerarchica dei piccoli comuni dai centri metropolitani, è necessario, inoltre, valorizzare le peculiarità insediative dei sistemi territoriali che compongono la “regione”, esaltandone la vocazione reticolare policentrica (ibidem)15.

Per la costruzione di questo scenario ideale, è importante valorizzare e potenziare le identità e le relazioni di questi sistemi territoriali che, resi marginali, rispetto alla principali dinamiche dello sviluppo quantitativo, conservano – proprio per il loro ruolo di marginalità – livelli qualitativi elevati sotto il profilo urbano, identitario, paesaggistico e ambientale.

È indispensabile ribadire una rivalutazione della profondità dei territori regionali non in quanto sede di decentramento degli attuali modelli insediativi, ma, al contrario, come luoghi di sperimentazione di modelli originali di sviluppo locale sostenibile16.

Altri autori, come Fusco Girard e Nijkamp, partendo dalla considerazione che tutte le città sono soggette a processi evolutivi di cambiamento17,

interpretano la sostenibilità locale come un processo dinamico frutto della

15 In una visione idealtipica si potrebbe valorizzare l’atomizzazione territoriale degli insediamenti periferici (borghi

rurali, periferie urbane, quartieri, ecc.) per dar vita ad orizzonti strategici basati sulla progettazione di sistemi territoriali reticolari non gerarchici di piccoli centri “perfettamente sintonizzati con l’ecosistema in cui si trovano” (Bookchin, 1989), in cui ogni centro urbano è separato dagli altri centri da paesaggi agrari tessuti da trame ambientali complesse che intrecciano in un disegno unitario la salvaguardia idrogeologica, il mantenimento dei microclimi, il restauro delle reti ecologiche, il restauro degli ecomosaici più antropizzati, il trattamento dei rifiuti, la biodepurazione, la produzione di energia, il recupero della complessità ecosistemica del paesaggio storico. Lo spazio rurale diviene nuovamente parte integrante dello spazio urbano.

16 Anche Latouche vede nella rivitalizzazione dei sistemi locali, nel <<localismo>>, la possibilità di pervenire ad una

decolonizzazione dell’immaginario finalizzata all’affermazione di un modello di vita sociale, alternativo a quello governato esclusivamente dalle leggi del mercato. Un’alternativa forte che si contrappone ai limiti termodinamici insiti nel modello socio-economico dominante, attraverso l’affermazione delle decrescita conviviale, intesa, quest’ultima, come l’abbandono del feticcio dello sviluppo e la ricerca di modi di realizzazione collettiva nei quali non viene privilegiato un benessere materiale distruttivo dell’ambiente e dei legami sociali (Latousce S., 2004).

17 Il cambiamento può essere dato da un nuovo ruolo assunto dalla città (industriale, universitario, terziario,

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capacità delle stesse di reagire alle pressioni indotte dai processi di trasformazione, mantenendo o raggiungendo, nel medio-lungo termine, nuovi livelli di equilibrio dinamico.

<<Lo sviluppo sostenibile di una città non rappresenta uno stato finale ma è il risultato di un processo adattivo e di equilibrio dinamico, che esprime la sua capacità di resilienza rispetto alle pressioni esterne, cioè la sua capacità di mantenere le sue caratteristiche di auto-organizazione nel resistere a processi che potrebbero portarla al declino>> (Fusco Girard, Nijkamp 2004, pag. 22).

La sostenibilità, pertanto, esprime <<la capacità di una città di garantire nel tempo la continuità del proprio sistema complessivo in un contesto di cambiamento in presenza di forze esterne anche violente, di conflitti crescenti ed incompatibilità18>>.

Il raggiungimento di un nuovo equilibrio sistemico è fondata sull’innovazione, sulla creatività, sull’originalità nell’identificare un nuovo ruolo rispetto a quelli tradizionalmente svolti ma, soprattutto sulla capacità di costruire una visione strategica condivisa, costruita dal basso attraverso processi di tipo partecipativo19.

L’idea di sviluppo locale autosostenibile appena delineata va inquadrata nel tentativo di rispondere alla sfida della globalizzazione attraverso il superamento della schizofrenia di comportamenti che essa genera. Da una parte la resistenza autoescludente di alcune comunità locali che difendono la propria identità attraverso la chiusura; dall’altra la corsa competitiva di alcuni sistemi locali che porta allo sfruttamento e allo snaturamento del proprio territorio. Entrambe le situazioni generano scenari che vedono nella destrutturazione sociale e ambientale del territorio uno dei tratti comuni. Stretta in questa contraddizione, una società locale che si proponga di superarla dovrà ricercare l’equilibrio tra chiusura ed apertura, attraverso la reinterpretazione e la valorizzazione della propria identità, della propria unicità, dei propri valori territoriali e ambientali alla luce della modernità ed in un contesto aperto di relazioni e di scambi.

18 Di contro è insostenibile una città che è incapace di trovare un suo nuovo equilibrio.

19 Sinteticamente gli autori individuano tre dimensioni, ciascuna delle quali individua le azioni e le scelte vero cui

indirizzare le politiche di sviluppo sostenibile della città/comunità. Tali dimensioni sono quella culturale (nuova domanda, valori, cambiamento negli stili di vita, accettazione del cambiamento); tecnologica (nuove e più efficienti tecnologie), istituzionale (nuove politiche sostenibili, nuove istituzioni per stimolare la partecipazione democratica della comunità).

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Avviare percorsi di sviluppo sostenibile implica la transizione verso nuove forme di democrazia che diano corpo ad azioni finalizzate alla crescita delle società locali, al <<fare società locale>>, alla capacità del territorio di pensarsi ed agire come <<soggetto collettivo>>.

È indispensabile la definizione di un patto tra gli attori locali, che richiede il superamento delle tradizionali forme di rappresentanza e la costruzione di nuovi istituti di democrazia diretta che diano voce a tutte le categorie di attori, soprattutto alle più deboli (anziani, disabili, donne, bambini, ecc.)20,

grazie ai quali i “conflitti d’interesse” legati all’“uso del territorio” trovano composizione in nome della valorizzazione e conservazione del patrimonio comune.

In questo processo di radicale cambiamento dei modi di “fare” sviluppo locale, gli Enti pubblici territoriali sono chiamati a trasformare il proprio ruolo21 in due direzioni convergenti: da una parte, dal governo dei servizi al

governo dello sviluppo, indirizzando le scelte economiche e produttive alla valorizzazione del patrimonio; dall’altra, dagli istituti della delega verso nuovi istituti di democrazia diretta in grado di attuare statuti di autogoverno dello sviluppo22.

Tutti gli attori locali (sociali, istituzionali ed economici) possono svolgere il proprio mandato indirizzando la progettazione dello sviluppo locale verso:

− la costruzione di una società altamente stratificata (di valori relazionali, territoriali, ambientali e insediativi);

− la valorizzazione dell’identità e della specificità dei luoghi;

− la crescita delle reti locali e della densità sociale e la conservazione coevolutiva del territorio.

20 Alle energie da contraddizione, per dirla alla Magnaghi, che costruiscono il microcosmo di soggettività nate dalle

nuove povertà indotte dalla globalizzazione.

21 Per un interessate approfondimento sulle modalità con cui si estrinseca l’azione pubblica in campo ambientale si

rimanda al lavoro di Bulsei (2005), Ambiente e politiche pubbliche.

22 Il ruolo delle istituzioni pubbliche, nell’ambito della costruzione di un processo di sviluppo locale collettivo

condiviso, viene descritto molto bene da Lidia Decandia attraverso la metafora della “tarantella”. Secondo la Decandia, le Amministrazioni dovrebbero ricoprire il ruolo di “maestro di ballo”: ad esse dovrebbe spettare il compito […] di dare inizio e organizzare le danze, di costruirne le cornici, dispositivi aperti capaci di favorire il coinvolgimento, di creare gli spazi ed i supporti necessari, perché la danza possa mettersi in moto. Ma anche mettere appunto un’attività di regia e di coordinamento capace di seguirne l’andamento, di favorire la partecipazione continua, di mantenere vivo e vitale il ballo incitando la creatività delle singole soggettività che vi partecipano, ma anche chiedendo il rispetto delle norme e delle regole che ne definiscono le basi del suo stesso funzionamento (Decandia, 2004).

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Tutto ciò, ricercando nelle forme di governance locale basate sulla partecipazione, gli strumenti attraverso i quali definire gli orientamenti strategici da tradurre in azioni concrete.