• Non ci sono risultati.

Il ruolo delle organizzazioni nei processi di mobilitazione ambientale

Questo paragrafo intende approfondire il ruolo delle organizzazioni ambientaliste e delle mobilitazioni ambientali rispetto alla loro capacità d’incidere sulle politiche ambientali, sia nazionali che locali, nonché la modalità d’interazione delle stesse con il policy making ambientale. Tale ruolo può essere inquadrato nell’ambito della ricerca sui gruppi di interesse (Della Porta, 2004).

L’approccio classico ai gruppi d’interesse sottolinea come la competizione tra interessi organizzati possa essere considerata sufficiente a mobilitare anche i gruppi latenti e pertanto come il pluralismo degli stessi gruppi (Bentley, 1908) sia sufficiente per garantire un equilibrio tra interessi antagonisti.

Molti autori sottolineano i limiti di tale approccio, rilevando come molti gruppi d’interesse abbiamo maggiori capacità organizzative di altri e come, pertanto, solo pochi di questi riescono ad organizzarsi (Schattschneider, 1960). Secondo tale approccio gli interessi meglio organizzati possono influenzare il governo a loro vantaggio e a svantaggio degli interessi contrapposti.

Un importante contributo sulle condizioni che facilitano l’organizzazione di alcuni gruppi d’interesse a svantaggio di altri viene da Marcur Olson. Con il suo The logic of the Collectice Action (1963) Olson osserva come l’esistenza di un interesse comune non è affatto sufficiente a produrre azione collettiva. Dal momento infatti che un bene pubblico ha la caratteristica di essere fruibile da tutti, anche da chi non ha investito nessuna risorsa per ottenerlo, la razionalità individuale spingerebbe ad agire da free-rider, non pagando i costi dell’azione collettiva e aspettando invece che siano altri a farlo per loro. Perché vi sia azione collettiva è necessario che vi siano attori organizzati capaci di offrire incentivi selettivi (premi o punizioni individuali). I gruppi d’interesse capaci di mobilitarsi grazie a maggiori risorse materiali e/o simboliche saranno quelli che possono maggiormente mobilitare i rispettivi membri. La conseguenza logica ti tutto ciò è che non solo sarebbe più facile

67

organizzarsi per i ricchi rispetto ai poveri, ma anche gruppi d’interessi speciali sarebbero più capaci di attivarsi rispetto a gruppi d’interesse pubblico (cioè d’interessi comuni ad ampie comunità). I gruppi d’interessi speciali sono infatti più piccoli, con interessi maggiormente sentiti ed i loro membri sono spesso dotati di maggiori risorse materiali. Viceversa i gruppi d’interesse pubblico riguardano una fascia più ampia di potenziali beneficiari, con interessi diffusi e risorse scarse. La sottorappresentazione degli interessi pubblici fa si che i governi tendono ad essere sopraffatti dalle domande dei gruppi d’interesse speciali, e pertanto perdono la loro capacità di perseguire gli interessi pubblici (Olson 1982, Lowi 1969)48.

Risultati più recenti della ricerca sembrano indicare qualche cambiamento rispetto al passato con un’aumentata capacità dei rappresentanti degli interessi più deboli di organizzarsi e di accedere al policy making (Baumgartner e Leech 1998). Questa tendenza verso una maggiore capacità organizzazione è stata particolarmente visibile per quanto riguarda il movimento ambientalista (Dalton, 1994).

La presa di parola da parte degli interessi più deboli risulta facilitata anche dall’avvento e dalla diffusione delle nuove tecnologie che riducono i costi della mobilitazione collettiva e facilitano la diffusione dell’istruzione (Della Porta e Diani, 1997).

Da un punto di vista normativo molti autori sottolineano la necessità di bilanciare la capacità organizzativa dei gruppi di interesse specifico facilitando l’accesso istituzionale ai gruppi d’interesse pubblico con policy networks il più possibile inclusivi e pluralistici.

3.6 Il profilo del movimento ambientalista in Italia

Il profilo operativo ed organizzativo delle organizzazioni ambientaliste operanti in Italia (Della Porta, Diani 2004) evidenzia come l’immagine delle associazioni italiane sia ben lontana da quella di un’organizzazione ortodossa di movimento sociale, mentre al contrario sia vicina a quella dei gruppi d’interesse pubblico. I segni di tale vicinanza sono rinvenibili: nella

48 La continua negoziazione tra i differenti interessi non solo impedisce la ricerca del bene comune, ma tende a

ridurre la fiducia nelle regole generali. La situazione tende a deteriorasi con il declino dei partiti politici un tempo capaci di equilibrare e regolare l’aggressività degli interessi particolaristici (Lowi, 1999).

68

crescente tendenza all’istituzionalizzazione; nei tentativi di saltare i canali d’influenza sul decision making attraverso un’ideologia pragmatica; in strutture organizzative snelle ma formalizzate ed infine in repertori d’azione moderati.

Andando più nel dettaglio le associazioni ambientaliste nazionali da una parte sono caratterizzate da minore dipendenza rispetto al passato da modelli ideologici che tendono ad ostacolare la collaborazione tra organizzazioni di diverso orientamento49; dall’altra non mostrano un alto

livello di specializzazione, tipici invece dei gruppi d’interesse, anzi in esse sembra esserci la crescente ricerca di un discorso generale che colleghi l’ecologia con la giustizia sociale e la pace50.

Rispetto al profilo organizzativo le associazioni ambientaliste italiane mostrano una tendenza ad una crescente burocratizzazione, con rinuncia progressiva alla partecipazione dal basso e perdita del carattere unico di movimento. Il tentativo di superare l’assemblearismo e il burocratismo ha portato alla proliferazione di gruppi locali legati alla “casa madre” da una debole struttura di collegamento. In modo simile ad altri movimenti il movimento ambientalista italiano si è andato così strutturando attraverso una modalità organizzativa di tipo duale: da un lato i piccoli nuclei locali, dall’altro le organizzazioni strutturate.

Se la diffusione territoriale ed il numero dei membri tendono ad accompagnarsi ad un alto livello di strutturazione interna, il ridotto numero di impiegati pagati indica un livello di professionalizzazione abbastanza basso.

Rispetto alle modalità d’azione, sempre più le associazioni italiane sembrano privilegiare i contatti diretti con la stampa, attraverso dossier e comunicati, evitando invece le proteste, soprattutto nelle forme che potrebbero comportare la perdita dell’appoggio dei chequebook members (Rootes 1999). La disponibilità al compromesso viene accentuata dalla crescita delle burocrazie pubbliche specializzate in politiche ambientali (Ministero dell’ambiente,

49 Differenti contributi mettono in evidenza come negli anni sessanta vi fosse una frattura ideologica tra approcci di

tipo conservazionista, in cui la relazione tra uomo e ambiente è letta in termini puramente etici ed estetici con una scarsa attenzione alle sue implicazioni sociali, e approcci di <<ecologia politica>> in cui l’obiettivo si sposta dalla difesa alla trasformazione degli elementi strutturali che sono responsabili del degrado ambientale.

50 Facendo un raffronto con le situazioni europee le associazioni italiane mostrano una maggiore propensione ad

69

assessorati all’ambiente, ecc.) con le quali le associazioni stabiliscono rapporti privilegiati di consulenza, ricevendo spesso fondi e sostegno (Brand, 1999)51.

Per Dowie, privilegiando i rapporti con le istituzioni le associazioni avrebbero rinunciato ad una critica al modello di sviluppo esistente (Dowie, 1995).

Guardando all’evoluzione dei repertori d’azione si nota un declino nelle forme dimostrative di protesta a vantaggio di campagne di educazione/formazione.

La pressione sui membri del parlamento su specifiche decisioni legislative è una modalità d’intervento utilizzata sempre più frequentemente da molte organizzazioni. È interessante notare tuttavia come le forze di pressione privilegino i rapporti con le istituzioni rispetto ai partiti politici (Diani, 1990). L’atteggiamento complessivo delle organizzazioni ecologiste verso il sistema politico è nettamente orientato a favore di una collaborazione con le istituzioni piuttosto che con i partiti, mentre gli enti locali e le assemblee elettive tendono ad essere assunti come interlocutori piuttosto che come avversari. Il raggio d’azione delle associazioni non è limitato alle amministrazioni specializzate in politiche ambientali ma si estende a differenti arene e istituzioni pubbliche.

Tutti i gruppi hanno buoni rapporti con i media ed i giornalisti sono considerati fondamentali per trasmettere informazioni e sensibilizzare il pubblico.

Se le organizzazioni a livello nazionale si sono in un certo senso “istituzionalizzate” le forme di protesta a livello locale non sono certo diminuite (Della Porta, 2004). A differenza degli anni ‘70-‘80 un ruolo importante viene svolto dai comitati di cittadini attivi in difesa di aree molto limitate sui temi che vanno dalla difesa dell’ambiente, alla sicurezza, dall’urbanistica ai servizi sociali.

Non essendo elaborate all’interno di un discorso ideologico capace di offrire forti identità collettive, le tematiche che entrano nel sistema politico sono spesso formulate in modo particolaristico e localistico. In questa situazione

51 Se l’offerta di contro-expertise e la partecipazione delle associazioni ambientaliste ad organi consultivi serve in

parte a bilanciare la prepotenza dei gruppi anti-ambietnalisti, in una governance sempre più opaca, pero, gli ambienti associativi cedono talvolta alle sirene del partenariato permanente, divenendo cogestori a tutti i livelli politici (Lascoumes, 1994).

70

cresce il rischio che le differenti capacità di organizzarsi e fare pressione da parte delle diverse aree territoriali aumenti le differenze nella qualità della vita dei diversi quartieri, essendo in genere proprio i quartieri più poveri quelli dove le risorse mobilizzabili per l’azione collettiva scarseggiano maggiormente (ibidem). Mentre infatti i membri dei ceti medi hanno risorse materiali e simboliche da investire nella protesta, nei quartieri ghetto, abitati dai gruppi più marginali e incapaci di difendere i propri interessi si accumulerebbero gli insediamenti fonti di problemi sociali ed ambientali. Se l’intervento di interessi organizzati nel processo politico è sempre stato visto come fonte di potenziali ineguaglianze, il dibattito sulla governace democratica insiste sulla necessità di una partecipazione dal basso (Bobbio, 1996). Per quanto particolaristici gli interessi organizzati tenderebbero comunque ad essere più aggregati delle domande atomizzate dei singoli individui.

In questo quadro generale i comitati di cittadini vengono spesso associati ad un comportamento conservatore, egoistico e di resistenza al mutamento sociale, spesso stigmatizzati come Nimy (Not In My Back Yard – non nel mio giardino). Altre volte sono visti come forme di esperienze partecipative di base (Jobert, 1998). Nell’una e nell’altra forma i comitati sembrano influenzare sempre di più, come minaccia o come risorsa, le scelte dei governi locali.

Se da una parte preoccupa il radicamento particolaristico dei comitati, dall’altra è stato già messo in evidenza il rischio delle associazioni di evolvere in una direzione parallela a quella dei partiti politici con perdita di radicamento sociale e spostamento verso le istituzioni pubbliche. Se le associazioni assumono compiti di gestione della cosa pubblica un effetto di questo sembra essere la diminuita capacità di mobilitare i cittadini in forme di azione collettiva.

Anche a livello locale la dipendenza dai finanziamenti pubblici, l’attitudine a sedere a tavoli di negoziato, il desiderio di non scoraggiare potenziali finanziatori con atteggiamenti di richiesta più radicali sposterebbero l’enfasi dall’azione di protesta a quella di lobbyng, dalla logica dell’organizzazione di movimento sociale a quella di gruppo di pressione.

71

Un’indagine sull’ambientalismo urbano condotta da Donatella Della Porta nell’area urbana di Firenze fornisce un repertorio interessante sulle forme organizzative, sulle strategie d’azione e sulle interazioni tra comitati cittadini, associazioni ambientaliste e istituzioni locali.

Un elemento comune che caratterizza i diversi comitati è che generalmente cominciano a mobilitarsi sulla base di preoccupazioni di tipo localistico. Tuttavia generalmente subiscono un’evoluzione che li porta ad affermare ad una critica più complessiva del modello di sviluppo.

Sia i comitati che le associazioni esprimono conflitti sull’utilizzazione della città, declinati come problemi territoriali e ambientali.

L’origine dei comitati e delle associazioni prendono spunto da network formali ed informali che traggono le loro origini in precedenti esperienze politiche (partiti, associazioni, sindacati, ecc.) che forniscono il know how necessario all’organizzazione collettiva.

Da un punto di vista organizzativo i comitati si confermano molto meno strutturati delle associazioni (minori budget, minor numero di membri iscritti, minore formazione specifica): hanno pochi militanti stabili capaci però di mobilitare gruppi numerosi (Jobert, 1998). Il livello della mobilitazione è generalmente estremamente localizzato (strade, rione, quartiere, a volte provincia).

Le associazioni a differenza dei comitati hanno una minore capacità di mobilitazione per azioni di protesta. È da segnalare l’esistenza di una tendenza al coordinamento e di interazioni tra comitati che cercano di generalizzare il livello di mobilitazione e quindi i temi della protesta.

Il rapporto tra associazioni e comitati non è facile a causa delle diffidenza delle prime verso forme di protesta più “radicali” e su questioni di rilevanza espressamente “localistica”.

Con riferimento ai repertori d’azione: a differenza delle associazioni, la protesta rimane una risorsa fondamentale per i comitati, anche se in una forma moderata e orientata ai cambiamenti dei processi decisionali piuttosto che alla formazione di identità collettive.

Se le relazioni con i poteri pubblici, i partiti, le istituzioni politiche sono considerate importanti, l’evoluzione dei comitati mette in evidenza una

72

progressiva perdita di fiducia nell’amministrazione pubblica. L’atteggiamento antico nei confronti delle forme di rappresentanza politica esistente non impedisce ai comitati di partecipare molto spesso (seppure in misura minore delle associazioni) ad attività di pressione dei pubblici poteri e, cosa importante, di prendere parte in regolari commissioni di consulenza per le mediazioni politiche.

Non sembra dunque che la crisi della capacità di mediazione dei partiti abbia portato ad un rifllusso nel privato o ad un’esplosione atomica dei conflitti. Al contrario l’indebolimento dei partiti sembra avere liberato energia e capacità accumulate in precedenti mobilitazioni, indirizzata non più verso la “politica assoluta” (Pizzorno, 1997) ma verso situazioni circoscritte.

L’azione dei comitati sembra indicare un progressivo indebolimento della capacità dei partiti di agire sui due fronti della rappresentanza identificante52

e di quella efficiente53 . L’azione identificante diventa appannaggio dei nuovi

soggetti mentre i partiti mantengono il controllo delle istituzioni rappresentative e quindi dell’attività efficiente. Attività identificanti che vengono invece svolte dai gruppi, associazioni, comitati che rivolgono le richieste alle istituzioni saltando la mediazione dei partiti.

52 I politici svolgono il compito di costruire preservare, rafforzare, le identità politiche […] tale attività consiste nel

produrre simboli che servono ai membri di una collettività data per riconoscersi come tali, comunicarsi la loro solidarietà, concordare l’azione collettiva. Così si producono, in maniera più o meno esplicita, le ideologie e le interpretazioni varie di essa, da cui derivano le definizioni degli orientamenti di lungo andare da assegnare all’azione collettiva (Pizzorno, 1993, p. 175).

53 I politici prendono decisioni direttamente intese a migliorare, o a non lasciar peggiorare, la posizione relativa

dell’entità collettiva che essi rappresentano nel sistema entro cui questa agisce. Ciò può effettuarsi sia usando i comandi dell’autorità politica, per chi se ne sia impadronito, sia svolgendo quell’attività di negoziato, alleanza, coalizione, confronto, che permette a un soggetto politico di misurarsi direttamente con gli altri in un sistema (ibidem).

73

Capitolo quarto: Metodologia, strumenti di rilevazione e ipotesi della ricerca