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I soggetti del cambiamento, le energie virtuose capaci di innescare conflitti che evolvano in mobilitazioni ecologiche, promanano direttamente dalle contraddizioni interne al modello di sviluppo quantitativo dominante: non si dà progetto di trasformazione senza attori della trasformazione.

Per energie da contraddizione intendo i comportamenti, i conflitti, i movimenti e gli attori sociali, culturali ed economici che promanano dalle povertà prodotte dai processi di deterritorializzazione […] che ho sintetizzato in povertà da qualità ambientale e abitativa e in povertà d’identità. (Magnaghi, 2000, p. 102).

Rispetto a quest’ultimo aspetto è da rilevare che ci troviamo in un contesto socioeconomico e di domanda sociale in profonda evoluzione, e che le energie virtuose tendono ad uscire dalla marginalità.

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Si tratta oggi di un multiverso di differenti componenti sociali composto da agricoltori; associazioni femminili; sindacati; associazioni ambientaliste e culturali; aggregazioni giovanili; movimenti etnici; migranti; imprese produttive e finanziarie; associazioni per l’autocosumo, il consumo critico e l’acquisto solidale.

Questo multiverso è caratterizzato da componenti sociali ed economiche […] fra loro molto differenti per collocazione sociale, culturale, geografica, che producono, ognuna nel proprio ambito d’interesse e di azione, critica, rifiuto, conflitto, ma anche contemporaneamente riappropriazione diretta dei saperi produttivi, costruzione di nuovi simbolici e immaginari; pratiche di vita e di consumo alternative a livello locale e reti solidali a livello globale; inducono di conseguenza crescita di società e identità locale attraverso l’autoriconoscimento solidale, e sedimentano sul territorio frammenti di futuro […]. L’aspetto interessante di questa componente sociale è il fatto che essa allude, nella sua complessità, alla possibilità di far convergere e ricomporre sullo stesso territorio questi frammenti di progettualità, integrandoli in modelli socioeconomici alternativi. Questa costruzione di mondi locali di vita, produzione e consumo, rende possibile tessere fra luoghi del mondo globale reti di scambi solidali e non gerarchici (Magnaghi A., 2004, pp. 202-204).

Coerentemente con questo approccio Giancalro Paba (1998 b) definisce la città come un cantiere sociale dove i vecchi ed i nuovi abitanti si compongono in un quadro di <<differenze e diversità>> che costituiscono si una ricchezza specifica della città ma che tuttavia a causa delle problematiche sottese non si compongono meccanicamente in unità e coesione, <<la somma di molte identità non si riassume necessariamente in una specifica identità superiore. È necessario un lavoro sociale, servono costruttori di comunità e di spazi collettivi, servono progetti di città e di spazi comuni>> (Paba, 1998 a, p. 98).

Per Paba la produzione di sviluppo locale autosostenibile, e pertanto la “costruzione” sociale di un Sistema Locale Territoriale in cui la rete degli attori si pensi ed agisca come un attore collettivo (Dematteis, Governa, 2005), ha bisogno pertanto di luoghi reali e simbolici dove costruire anche attraverso il conflitto una visione di città alternativa.

La città diventa un cantiere aperto al cui interno si deve esprimere un gioco di ricerca e di costruzione di alternative nascoste ed invisibili. In tale contesto la sottolineatura del concetto di auto-sostenibilità è fondamentale perché la questione ambientale sottratta ad ogni forma di macchinismo tecnologico e di meccanicismo chimico, ridiviene compiutamente una questione sociale, comunitaria, relazionale: riferita alle relazioni tra sistema ambientale e sistema sociale antropico, tra abitanti e territorio, abitanti e abitanti, abitanti e comunità.

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In questo quadro relazionale il tema della partecipazione assume un significato centrale strategico. La partecipazione diventa costruzione sociale di progetti di città e territorio, produzione collettiva di luoghi e comunità, autogoverno delle comunità insediate nel proprio spazio di relazione e di vita.

Paba richiama, tuttavia, alla necessità che la partecipazione non si riduca ad una mera condizione tecnica dei processi di piano ma che tragga il suo fondamento da radici più profonde quali la necessità di agire contro i processi di esclusione, contro la burocratizzazione delle reti decisionali, contro le pratiche di negoziazione ristrette e non trasparenti, contro la mancanza di rispetto degli interessi ambientali e sociali, contro la disuguaglianza di informazione e di potere. Questo genere di partecipazione servono ad attivare forme di cooperazione antagonista (Friedmann, 1992) capaci di forzare dal basso il meccanismo delle decisioni.

Nel medesimo solco territorialista si inseriscono le riflessioni di Alessandro Giangrande (1998) il quale sostiene che la produzione sociale di piano, intesa come strumento tecnico per favorire la partecipazione degli abitanti ai processi di pianificazione e progettazione, deve diventare produzione sociale di territorio. In tal senso la partecipazione oltre a costituire uno strumento per migliorare la qualità del progetto locale deve diventare un momento di auto- apprendimento che restituisca agli abitanti il senso di appartenenza ad un luogo.

L’esito finale di tale processo è la nascita di comunità locali autodeterminate, le sole capaci di modificare i meccanismi di scelta sociale consolidati. In tale ipotesi Giangrande si chiede quali sono le strategie più appropriate per favorire lo sviluppo di comunità capaci di favorire l’autosostenibilità.

Per dare una risposta a questa domanda Giangrande ricorre al concetto di razionalità ecologica40 (Dryzek J., 1989) quale criterio fondamentale di

valutazione dei meccanismi di scelta sociale dominanti nella società odierna.

40 La razionalità ecologica è un concetto antropocentrico. L’accento è posto sul valore degli ecosistemi e sulla loro

capacità produttiva, protettiva, e assimilativa dei rifiuti, aspetti questi che creano i presupposti per la vita dell’uomo. << Due sono i motivi per cui si è scelta un’impostazione antropocentrica di questo tipo. La prima è che si tratta di un approccio minimale; il fatto di proporre altre ragioni che conferiscono valore positivo ai sistemi naturali può solo far valere a fortiori le argomentazioni successive. La seconda è che limitandosi ad alcuni interessi umani fondamentali si possono affrontare le forme antagoniste si razionalità funzionale (economica, sociale, giuridica, politica) sul loro stesso terreno: quello appunto degli interessi specificamente umani>> (Dryzec, 1989, p.47).

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Per rispondere a criteri di razionalità ecologica i meccanismi di scelta sociale devono:

− essere capaci di rispondere con azioni adeguate ai segnali di retroazione negativa provenienti dagli ecosistemi;

− possedere il criterio della coordinazione. La necessità della coordinazione è una diretta conseguenza della non riducibilità ecologica delle scelta sociale: ogni soluzione ad un problema che si manifesta in un punto del territorio non deve trasferire altrove il peso delle sue conseguenze;

− essere adeguatamente robusti e flessibili per rispondere alla variabilità spaziale e temporale della dimensione ecologica. Per robustezza si intende la capacità di un meccanismo di scelta sociale di “rispondere” bene nelle più svariate condizioni. La flessibilità è la capacità di un meccanismo di regolare i propri parametri strutturali in funzione delle mutate condizioni ambientali e sociali41;

− possedere una elevata capacità di resilienza42, intesa come la capacità

dei meccanismi di scelta sociale di riportare, in seguito ad una perturbazione esterna, il sistema antropico e gli ecosistemi naturali alle loro normali condizioni di funzionamento43;

Dryzek dimostra che i meccanismi di scelta sociale più diffusi come il mercato, i sistemi amministrati, la poliarchia, la persuasione morale, la legge ed il conflitto armato non sono in grado di soddisfare criteri di razionalità ecologica e formula una strategia basata su tre concetti chiave:

41 la flessibilità è una caratteristica che contraddistingue i sistemi adattativi complessi. Sono così definiti i sistemi

aperti costituiti da numerosi elementi che interagiscono fra loro in modo non lineare e che formano un’entità unica, organizzata e dinamica, capace di evolvere e di adattarsi all’ambiente. Il concetto è particolarmente interessante in quanto ogni forma di vita, ma anche ogni sistema socio-ambientale, può essere considerato un sistema adattativo complesso. Lo studio dei sistemi adattativi complessi , avviato attraverso le ricerche sulla complessità e sul caos, è fonte di fondamentali ricerche interdisciplinari, che trovano il loro più autorevole punto di riferimento nell’istituto di Santa Fe nel New Mexico (vedi www.santafe.edu).

42 La resilienza è un concetto mutuato dall’ecologia e può essere definito come la capacità dei sistemi naturali

(adattativi complessi) di assorbire gli shock mantenendo inalterate le proprie funzioni principali. La resilienza per Holling (1973) è misurata dal grado di disturbo che può essere assorbito prima che un sistema cambi la sua struttura mutando variabili e i processi che ne controllano il comportamento. Sul concetto di resilienza, ormai centrale nell’ecologia e nella scienza della sostenibilità, esiste da tempo un consorzio di istituti scientifici, la Resilience Alliance, che ha creato un vero network internazionale di studiosi di scienze ecologiche e di scienze sociali che lavorano sul tema.

43 Oggi i sistemi sociali, grazie allo sviluppo tecnologico e al dispendio di straordinari quantitativi di energia

ricavata da combustibili fossili, possono dare l’illusione di un alto grado di stabilità, come se essi fossero impermeabili alle fluttuazioni dell’ambiente in cui vivono. Mentre è sufficiente osservare i pesanti mutamenti climatici in atto per verificare la loro correlazione con i sistemi naturali.

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1. rinuncia ad una razionalità analitico-strumentale a favore di un tipo di razionalità fondata sulla ragione pratica e sulla decentralizzazione radicale;

2. transizione graduale ad un nuovo sistema attraverso un processo iterativo per tentativi ed errori;

3. identificazione di meccanismi per facilitare la loro stessa capitolazione;

Con riferimento alla ragione pratica Habermas considera razionali quelle scelte collettive orientate all’azione attraverso il ricorso a pratiche discorsive. Ogni partecipante deve poter disporre di competenza comunicativa cioè della capacità di prendere efficacemente parte alla discussione per sostenere le proprie e confutare le altrui scelte (Habermas, 1986).

Il decentramento radicale si basa sull’idea che le comunità locali sono capaci di operare in relativa autonomia (che non diventi autarchia) e di prendersi cura del territorio e degli ecosistemi da cui dipendono.

La necessità di un passaggio graduale per iterazioni successive deriva dall’impossibilità di partire da una tabula rasa, occorre invece procedere attraverso interventi correttivi e verifiche empiriche della proposta di ristrutturazione istituzionale.

Infine l’introduzione graduale di forme decentralizzate e discorsive di scelta sociale deve promuovere i presupposti per nuove istituzioni capaci di evolvere nel tempo anche in termini strutturali, essendo soggette esse stesse a valutazioni discorsive.