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4.2 Ipotesi della ricerca e descrizione dei casi di studio

4.2.1 Ipotesi e obiettivi della ricerca

La sostenibilità locale, ovvero <<la capacità di un sistema territoriale locale di produrre benessere in forme durevoli, consentendo la riproduzione valorizzata allargata delle proprie risorse patrimoniali (ambientali, territoriali, umane), senza sostegni esterni (vedi impronta ecologica) e con scambi solidali e non di sfruttamento>> (Magnaghi, 2000) è il frutto dell’integrazione di diverse componenti, riassumibili nei seguenti principi di sostenibilità:

1. equità ed integrazione sociale (accesso adeguato ed abbordabile a tutti i servizi di base quali ad es. l’educazione, l’occupazione, l’energia, la sanità, l’abitazione, la formazione, i trasporti);

2. capacità di governo locale/partecipazione/democrazia (partecipazione di tutti i settori della comunità locale alla pianificazione e ai processi decisionali);

3. relazione locale/globale (risposta locale ai bisogni locali, dalla produzione al consumo, allo smaltimento; risposta più sostenibile ai bisogni soddisfabili a livello locale);

4. economia locale (risposta ai bisogni con competenze locali, utilizzando le risorse umane disponibili e riducendo al minimo l’impatto nei confronti delle risorse naturali e dell’ambiente);

5. protezione dell’ambiente (adozione di un approccio ecosistemico; riduzione al minimo dell’uso delle risorse naturali e di terreno, la produzione di rifiuti e l’emissione di inquinanti, valorizzazione della biodiversità);

6. patrimonio culturale/qualità dell’ambiente costruito (protezione, conservazione e recupero dei valori storici, culturali, architettonici negli edifici, nei monumenti, nella realizzazione di eventi; valorizzazione e salvaguardia della bellezza e della funzionalità degli spazi e degli edifici).

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A monte della sussistenza di queste componenti, tuttavia, o c’è un movimento sociale, un conflitto, una mobilitazione significativa, sostenuti anche da processi di tipo partecipativo, oppure risulta difficile che la sostenibilità possa essere opera dell’azione di un’amministrazione a volte anche particolarmente illuminata (cosa rara).

Le ipotesi che hanno guidato il lavoro, sia da un punto di vista teorico che empirico affondano le loro radici nell’ambito della ricerca territorialista, secondo la quale la sostenibilità locale è sostanzialmente una questione, sociale, comunitaria, relazionale.

Rifacendosi agli orientamenti teorici che assumono la territorialità come un processo in divenire, l’esito di relazioni di potere: il territorio “locale” sostenibile può essere assunto come una “costruzione” sociale che deriva dalla mobilitazione dei gruppi, degli interessi e delle istituzioni territoriali, in un processo collettivo in cui le interazioni fra i soggetti assumono di volta in volta la forma di confronto, cooperazione, conflitto.

In tale contesto teorico, l’approccio territorialista alla sostenibilità e alla partecipazione, che si fonde nel concetto di <<autosostenibilità, è praticabile solo a condizione che gli attori locali cooperino attivamente e responsabilmente al processo, mobilitando all’interno del sistema le energie sociali per la sua condizione>> (Magnaghi, 2000), comportandosi di fatto come un <<soggetto collettivo>>.

In talune circostanze, infatti, in determinati territori, le reti dei soggetti locali, in funzione dei rapporti reciproci che intrattengono fra di loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un <<soggetto collettivo>> e danno vita ad un Sistema Locale Territoriale (Dematteis, Governa, 2005)57. Al centro di tale visione si

colloca dunque l’azione della comunità come soggetto attivo della manutenzione e della trasformazione ambientale: non possono darsi processi di cambiamento senza <<soggetti del cambiamento>>. Ed è proprio dalle trame del tessuto sociale che si intersecano sul territorio secondo traiettorie a

57 In tali ambiti, si ha dunque autoriproduzione sostenibile delle rispose territoriali se l’attore collettivo territoriale,

interagendo con altri sistemi locali e con altri livelli sovralocali, crea valore mobilitando il potenziale di risorse specifiche del proprio territorio, senza ridurre il capitale territoriale, ne quello locale, ne quello di altri territori esterni coinvolti nel processo (Ibidem).

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volte parallele, altre divergenti, altre ancora conflittuali, che possono venir fuori i soggetti sociali che devono spingere verso il cambiamento.

Tali soggetti sociali, generati dal processo di dissoluzione del territorio associato al modello di sviluppo <<metropolitano>>, rappresentano le <<energie da contraddizione>> associate alle nuove <<povertà da sviluppo>>58 e racchiudono al loro interno l’antidoto al processo stesso che li ha generati.

Da qui la prima ipotesi della ricerca: non possono darsi percorsi di sostenibilità ambientale in mancanza di un gruppo sociale mobilitato attorno alle problematiche attinenti la sostenibilità stessa o in assenza di conflitti.

La letteratura su questo punto è abbastanza chiara: le politiche di sostenibilità locale non sono il risultato spontaneo dell’azione politico- amministrativa di questa o quella amministrazione, o di una determinata organizzazione territoriale, quanto piuttosto il risultato di una mobilitazione primaria (Bulsei, 2005), della nascita di un <<movimento>>, che scaturisce dal territorio stesso come espressione sociale dell’incapacità del territorio stesso di continuare a sostenere modelli di sviluppo quantitativi sganciati dai contesti locali cui vengono applicati. Detta in questi termini la mobilitazione ambientale richiama al ruolo degli attori locali che, attraverso la variabile territoriale, vedono una ridefinizione del loro ambito d’azione. Un ruolo fondamentale è giocato dalla <<coscienza di territorio>> (Bulsei, 2005) o <<coscienza di luogo>> (Magnaghi, 2000) fatta di analisi obiettiva dei processi di degrado ambientale, ma anche di valutazione soggettiva degli interessi non immediatamente economici in gioco, al cui interno confluiscono elementi di identità socio-culturale: il proprio background comunitario, l’affermazione di specificità locali, precedenti esperienze di marginalità e sfruttamento del territorio, preoccupazione per il futuro delle nuove generazioni.

Mobilitazione implica anche un confronto dialettico, una interazione strategica tra l’insieme degli attori toccati dal rischio ecologico e le istituzioni politiche coinvolte nelle decisioni pubbliche in tema di risanamento ambientale,

58 Le nuove <<povertà da sviluppo>> vanno intese non soltanto in termini di carenza di reddito quanto piuttosto

come le nuove forme di povertà che incidono in maniera determinante sulla qualità della vita e sul benessere delle persone, quali ad esempio la precarietà abitativa e lavorativa, la perdita di qualità ambientale e territoriale, la perdita di paesaggio, la degradazione del territorio, la dissoluzione del tessuto urbano, ecc.

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ovvero responsabili di scelte strategiche potenzialmente insostenibili. Interazione strategica (Bulsei, 2005) che si manifesta attraverso la contrapposizione di portatori di interessi e orientamenti apparentemente inconciliabili. Da qui la necessità della costruzione di livelli intermedi di partecipazione e deliberazione, di luoghi simbolici e spazi collettivi dove comporre le <<diversità>> in una specifica <<identità superiore>> e dove pensare progetti locali condivisi ed orientati alla produzione di beni comuno. È necessaria, una transizione dalla deliberazione autoritativa a modelli decisionali fondati sulle pratiche discorsive, in cui ogni soggetto che partecipa alla deliberazione abbia la possibilità di prendere parte alla discussione nella piena libertà, di sostenere il proprio punto di vista confutando le altrui scelte (Habermas, 1986).

La costruzione di livelli intermedi di partecipazione e deliberazione implica che la questione ambientale non venga relegata ad una questione tecnica o scientifica ma che diventi una questione sociale, comunitaria, relazionale e che la partecipazione non si riduca ad una questione tecnico-formale. La partecipazione deve diventare strumento di auto-apprendimento che restituisca agli abitanti il senso di appartenenza al luogo.

Da qui la seconda ipotesi della ricerca: non possono darsi processi di sostenibilità in assenza di luoghi, reali o simbolici, all’interno dei quali comporre i conflitti, sciogliere i nodi degli interessi locali coinvolti nel processo di cambiamento verso la sostenibilità. Per fare ciò si rende necessario affiancare ai “normali” strumenti di deliberazione pubblica, strumenti decisionali basati sulla partecipazione ovvero sull’elaborazione di pratiche discorsive assimilabili a ciò che in letteratura viene denominata <<democrazia deliberativa>>.

Com’è stato già detto, sciogliere i nodi che legano la matassa delle relazioni e degli interessi locali rappresenta dunque la posta in gioco per la costruzione di una città che tenga realmente conto della complessità delle problematiche in gioco. Il ricorso alla deliberazione pubblica attraverso pratiche discorsive viene qui assunta come condizione indispensabile per l’avvio di politiche improntate alla sostenibilità.

Deliberazione che nella sua forma tipico-ideale costituisce una modalità di assunzione di decisioni di rilevanza pubblica, in cui più soggetti, portatori di sistemi di preferenze e credenze diversificati, confrontano discorsivamente idee, argomenti e posizioni. Il libero e paritario confronto tra argomentazioni

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risulta “costitutivo” della decisione collegialmente assunta. Ovvero quest’ultima non è soltanto il frutto dell’aggregazione o della mediazione tra preferenze date, come nel caso del voto o della negoziazione, bensì passa attraverso la modificazione dei sistemi i preferenza e credenza degli attori coinvolti (Miller 1992, Bobbio, 2002b). Una situazione deliberativa è tale non tanto perché consente ai partecipanti di esprimere le proprie opinioni, quanto piuttosto perché contribuisce alla formazione delle opinioni stesse (Miller, 1992). Risulta quindi necessario che si attivino, in qualche forma e grado, dinamiche di apertura cognitiva (Bifulco, 2003). In questo senso, ciò che conta è il processo generato dall’interazione tra attori, piuttosto che la forma dell’interazione stessa (regole e procedure) o i suoi risultati (le decisioni) (Blasutig, 2005, p. 115).

Partendo da tali assunti, è importante chiedersi quali siano i fattori chiave che stanno alla base di tali processi deliberativi, soprattutto in merito alle dinamiche di apertura cognitiva dei partecipanti. Da questo punto di vista assumono un grande valore le relazioni sociali reciproche che caratterizzano i soggetti che partecipano al gioco della “deliberazione”: identità, ruoli sociali degli attori, la storia dei partecipanti, quindi il “sociale” che il tavolo deliberativo eredita e il “sociale” che il tavolo ri-produce e ri-genera (Ibidem).

Obiettivo del presente lavoro di dottorato è stato dunque verificare le ipotesi sopra formulate attraverso l’analisi dei tre processi di Agenda 21 locale oggetto dell’indagine empirica.