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Capitolo 1. Le strategie competitive di base

1.5 Le dinamiche del vantaggio competitivo

Le imprese, dopo aver definito il loro posizionamento sul mercato, attraverso una certa formula imprenditoriale, cercando di raggiungere un certo vantaggio competitivo, attraverso una determinata strategia, non hanno terminato la loro attività strategica. Il mercato è molto dinamico e in continuo mutamento, e le imprese al suo interno tentano di migliorare costantemente la propria posizione. Arriviamo quindi a parlare di dinamiche competitive51, queste possono essere definite come quella serie di mosse e contromosse, che definiscono l’insieme delle manovre concorrenziali, che vedono impegnati i diversi operatori di un certo mercato, le quali sono dipendenti in gran parte dalla configurazione delle cinque forze competitive, proprio perché queste ultime determinano il livello d’intensità competitiva e, quindi la redditività del settore, di conseguenza per esempio, un settore fortemente redditizio attirerà potenziali entranti, che potrebbero incentivare i competitor già presenti nel settore a difendersi erigendo barriere all’entrata, e così via. Quindi in estrema sintesi, in ogni sistema competitivo è possibile individuare una serie di movimenti e interazioni competitive fra le varie categorie di operatori coinvolte nelle dinamiche competitive del settore, dove i comportamenti che più di frequente danno avvio e alimentano le interazioni competitive all’interno del settore sono rispettivamente, le strategie d’ingresso, di attacco e di difesa52. Proseguiamo la nostra discussione analizzando questi tre elementi:

Le strategie d’ingresso: Spesso le imprese cercano di entrare in nuovi mercati, segmenti, settori o nuovi paesi, quando questo accade, l’azienda deve sviluppare una strategia competitiva coerente con le caratteristiche dei nuovi mercati. L’entrata in un

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Competitive dynamics refers to the dynamics in the series of initiative and responsive competitive actions among firms in a competitive situation: “the study of competitive dynamics is the study of how firm action affects competitors, competitive advantage, and performance. Lamberg J.A. (2007), “The

Evolution of Competitive Strategies in Global Forestry Industries. Comparative Perspectives”, Springer,

Vol. 4, n.30, p.20

52 There are two ways of winning a competition, by increasing one's own chances of winning or by

decreasing those of one's opponents. Soubeyran R. (2009), “Contest with attack and defense: does negative campaigning increase or decrease voter turnout?”, Springer, Vol. 32, No. 3 , p. 337-353

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nuovo mercato pone all’azienda il problema di “dove entrare”, cioè con quali prodotti, struttura, clienti e concorrenti. Quindi se un’azienda intende entrare in un nuovo mercato deve avere una strategia mirata a penetrare in esso, ed è per questo che è necessario predisporre un insieme di scelte e azioni ad hoc che hanno l’obiettivo di guidare l’azienda nella fase d’introduzione, queste strategie devono essere pensate anche per predisporre le condizioni necessarie all’azienda per sviluppare strategie competitive successive all’ingresso di più ampio respiro. Ovviamente per l’azienda non sarà facile l’entrata, questa incontrerà numerosi ostacoli che renderanno l’ingresso difficoltoso e rischioso come per esempio, superare le barriere erette dalle aziende presenti nel settore, la limitata conoscenza del settore stesso, la necessità di conquistare una quota di mercato dall’inizio, la mancanza di ricavi che possano coprire gli investimenti iniziali ecc.. Tuttavia con l’entrata in un nuovo mercato l’azienda può sfruttare numerosi vantaggi che le possono permettere di predisporre strategie innovative senza eccessivi costi e resistenze al cambiamento. Per esempio possono attuare comportamenti diversi rispetto a quelli seguiti dalla maggioranza delle imprese del settore, la possibilità di scovare qualche bisogno trascurato dai concorrenti, oppure sfruttare l’entusiasmo delle persone dato dall’affrontare una nuova sfida, senza considerare che l’azienda potrebbe sfruttare delle sinergie che provengono da altri mercati in cui l’azienda già opera. Le strategie d’ingresso sono soprattutto rivolte ad affrontare i problemi che si frappongono tra l’azienda e, il mercato, nel momento in cui quest’ultima voglia entrare in un nuovo ambiente competitivo, proprio per quest’aspetto tali strategie hanno una natura transitoria, e sono quindi destinate nel tempo a trasformarsi in strategie competitive di sviluppo, penetrazione e consolidamento. La strategia d’ingresso assume delle caratteristiche differenti secondo le mosse che l’azienda vuole sviluppare successivamente, per esempio questa cambia se l’azienda ha in mente di sviluppare una strategia orientata a conquistare un’ampia quota di mercato, oppure a dominare solo una nicchia. Nel primo caso quindi la strategia d’ingresso sarà rivolta a costruire una “testa di ponte”53

, termine militare, che in ambito strategico vuole dire cercare di costruire all’interno del nuovo mercato una posizione sufficientemente forte, che possa essere ben difesa dalle minacce del mercato stesso, che rappresenti sia un punto dove l’azienda ottiene una certa redditività, e abbia un certo vantaggio

53 Testa di ponte è un'espressione della terminologia militare che indica una posizione relativamente

sicura acquisita su un litorale (tipicamente tra le rive opposte di un fiume), in grado di garantire sufficiente copertura alle truppe durante lo sbarco o l'attraversamento e mantenere la posizione a fronte della probabile controffensiva nemica. Baldini A., ”Testa di Ponte”, in www.treccani.it, settembre 2013

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competitivo, ma anche un punto di partenza per definire ogni altra azione strategica, questo per ricollegarsi al discorso di prima, dove dicevamo che le aziende non smettono mai di svolgere la loro attività strategica. Nel secondo caso l’azienda può decidere di predisporre una strategia d’ingresso rivolta a muovere i primi passi verso una “nicchia” che intende successivamente dominare. Normalmente l’ingresso in un nuovo mercato è suddiviso in tre fasi54, che tuttavia non sono quasi mai poste in sequenza e ben distinte l’una dall’altra, ma anzi sono spesso sovrapposte e confuse. Nella prima fase detta “preliminare”, l’azienda tende a testare il terreno, ovvero cerca di raccogliere più informazioni possibili sul nuovo mercato, attraverso, per esempio indagini di mercato, test, ecc., elementi indispensabili per analizzare per esempio il grado di competitività del settore, la sua segmentazione, eventuali fattori critici di successo necessari, valutare il tipo di clientela e i loro bisogni, analizzare l’eventuale presenza di barriere all’entrata e all’uscita e così via, tutto questo al fine di definire un piano d’azione che si trasformerà in un’adeguata strategia d’ingresso, che riguarderà soprattutto la definizione del prodotto/servizio da offrire, in quale segmento del mercato entrare, quali clienti si vuole servire, contro quali aziende si andrà a competere, se vi sono delle opportunità del mercato di cui approfittare, definendo in questo modo anche un primo studio di fattibilità e convenienza nell’entrata nel settore. Nella seconda fase, detta di “entrata”, l’azienda inizia a operare nel mercato, gli investimenti che siano fatti sono rivolti all’avvio dell’attività, gli investimenti sono soprattutto rivolti ad attivare le leve del marketing mix, per definire un certo tipo di prodotto/servizio da offrire, e come posizionarlo sul mercato e quindi nella mente del cliente target. Con l’entrata effettiva dell’azienda nel settore ovviamente aumentano i rischi, sia perché questa ha effettuato i primi investimenti consistenti che permettono all’impresa di operare sul mercato, ovviamente è importante che l’azienda riesca con la propria offerta a ottenere nel minor tempo possibile dei ritorni economici che le permettano una profittabilità. Inoltre l’azienda con l’entrata si espone anche nei confronti dei competitors, che in qualche modo potrebbero reagire cercando di ridurre la profittabilità dell’impresa, e casomai costringerla a uscire dal mercato. Nell’ultima fase, quella di “sviluppo e penetrazione”, l’azienda sviluppa una vera e propria strategia competitiva, questo vuole dire che cercherà di raggiungere una posizione di vantaggio competitivo che possa essere sostenibile e duratura nel tempo. Questa punterà quindi a ottenere un certo grado di

54 Invernizzi G. (2008), “Strategia Aziendale e Vantaggio Competitivo”, McGraw-Hill, Milano, p. 254 -

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economicità, a raggiungere un determinato livello di quote di mercato, o a dominare una nicchia, in modo tale che abbia successo sul mercato, tuttavia questo è possibile solo se le fasi precedenti sono state compiute con successo, quindi se l’azienda è riuscita ad analizzare bene il mercato, e se grazie a una buona entrata iniziale sia riuscita ad ottenere quell’esperienza necessaria per poter successivamente imporsi sul mercato stesso. Riprendendo il discorso di prima, abbiamo detto che le strategie d’ingresso sono destinate a diventare strategie competitive vere e proprie, che porteranno inevitabilmente al confronto/scontro con i diretti rivali, per questo l’azienda dovrà valutare se adottare strategie volte a evitare uno scontro diretto con i competitors, oppure definire delle vere e proprie strategie di attacco rivolte ad aumentare le proprie quote di mercato, casomai imponendosi come nuovo leader del settore.

Le Strategie di attacco: Come già accennato quasi tutte le imprese, in determinati momenti, devono intraprendere azioni per migliorare la posizione di mercato e cercare di costruire o accrescere il proprio vantaggio competitivo, quindi esse inevitabilmente, a seguito dell’ingresso in un nuovo mercato, o per raggiungere i propri obiettivi di sviluppo, finiscono con attaccare altri operatori. La creazione e il mantenimento di un vantaggio competitivo sta proprio nell’apportare strategie offensive di successo, dove un’efficace strategia difensiva può aiutare l’impresa a proteggere la posizione acquisita, ma raramente definisce quelle basi per la creazione di un vantaggio competitivo durevole nel tempo. Le strategie offensive possono essere rivolte sia a conquistare quote di mercato profittevoli a discapito dei competitors, oppure per arginare il vantaggio competitivo di un rivale potente. Tuttavia l’attacco, se sferrato al leader, non è facile da attuare, perché questo gode inevitabilmente di alcuni vantaggi rispetto a tutti gli altri attori, per esempio possiede una migliore reputazione sul mercato, vantaggi di scala e di esperienza accumulata nel tempo e soprattutto risorse abbondanti che derivano proprio dalla sua posizione di leader, ovviamente, questa posizione di prestigio nel mercato fa si che non sia disposto a lasciala facilmente. Proprio a tal proposito Porter ci dice che c’è una regola fondamentale da rispettare nelle strategie offensive, mai attaccare frontalmente il leader con una strategia imitativa, indipendentemente dalle risorse, competenze, conoscenze, e dalla capacità di resistenza dello sfidante55. Quindi possiamo ben capire come le imprese che intendono effettuare un attacco, prima di tutto devono

55 Porter M. (1985), “Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance”, Free

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valutare chi sia il soggetto da attaccare e ovviamente in che modo. In questo caso i soggetti che possono entrare nel mirino di un’impresa attaccante possono essere:56

Il leader di mercato vulnerabile: se si decide di attaccare un leader è necessario individuare dei punti di debolezza. Per esempio alcuni indicatori di vulnerabilità potrebbero essere, l’insoddisfazione degli acquirenti, una linea di prodotto inferiore, un forte attaccamento a una tecnologia di cui era pioniere ma che ora è in obsolescenza, oppure una strategia competitiva debole. Una strategia di attacco in questo caso ha successo se l’impresa attaccante riesce a rafforzare la propria posizione rispetto al leader, o se diventa egli stesso leader. Ovviamente come già detto il leader ha molti vantaggi e sicuramente la sua reazione sarà aggressiva. Per condurre un buon attacco al leader è necessario aver qualche vantaggio nei suoi confronti, che sia esso di costo o differenziazione, ciò significa che l’impresa sfidante deve mostrare un vantaggio di costo rispetto al leader pur mantenendo un sistema di prodotto qualitativamente non lontano rispetto a quello del leader, o altrimenti possedere elementi di unicità rispetto al prodotto del concorrente, purché questi elementi di unicità siano stati ottenuti sostenendo “extra-cost” complessivamente inferiori al valore che lo sfidante è riuscito a creare e a trasmettere alla clientela, tali vantaggi possono derivare anche da mercati adiacenti in cui l’attaccante opera. Questo vantaggio deve almeno consentire di avere quelle risorse indispensabili per procedere all’attacco e poter resistere all’offensiva. Lo sfidante inoltre può ottenere vantaggi sia di costo che differenziazione qualora il leader non abbia un reale vantaggio competitivo, ma abbia la leadership del mercato soltanto grazie a fattori derivanti dalla conformazione del settore stesso, così l’attaccante può sfruttare il fatto che il leader sia bloccato a metà del guado. Non possiamo, infatti, attaccare, se non ne abbiamo le potenzialità e non abbiamo una strategia competitiva finalizzata ad affrontare le insidie, le difficoltà e i pericoli di questo tentativo di attacco57. È importante in oltre che il leader non riesca facilmente a imitare lo sfidante e quindi annullare nel breve termine il suo vantaggio, quindi l’attaccante deve definire una strategia di difficile imitazione, ovviamente più il

56 Thompson A. A., Strickland III A. J., Gamble J. E. (2009) “Strategia aziendale Formulazione ed esecuzione”,

The McGraw Hill Companies, Milano, p. 278 - 279

57 Porter M. (1985), “Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance”, Free

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leader sarà attento e pronto a sferrare la contromossa e più sarà difficile per lo sfidante imporsi su di esso. Un altro elemento importante che l’attaccante deve valutare prima di attaccare è la capacità di esso di resistere a una probabile controffensiva del leader, o la presenza di ragioni che in qualche modo riducano o impediscano la reazione, per esempio un costo della reazione elevato, l’esistenza di altre ASA che hanno un peso più rilevante per il leader, presenza di vincoli normativi, ecc..

Sfidanti deboli in aree in cui l’impresa è forte, in questo caso, l’attacco sarà

molto più facile da effettuare, l’azienda attaccante dovrà analizzare i punti deboli dei rivali, sfruttare i propri punti di forza e la capacità competitiva dati dalla sua forza in quel settore. Tuttavia anche qui uno sfidante debole in un’area potrebbe essere forte in un altro mercato, se l’azienda è multibusiness, quindi non è detto che questi attacchi non abbiano rischi e non provochino comunque controffensive degli attaccanti, casomai in altri mercati dove appunto questi hanno un maggiore vantaggio.

Imprese in difficoltà e prossime al fallimento, un attacco apportato a questi soggetti, mira soprattutto a prosciugare le sue risorse finanziarie, e a indebolirne ulteriormente la posizione competitiva, puntando a farlo uscire dal mercato.

Piccoli operatori locali o regionali con capacità limitata, in questo caso l’attacco è rivolto a cercare di rubare i clienti migliori di aziende di piccole medie dimensioni che possiedono abilità e risorse modeste per contrastare l’attacco. In questo caso l’attaccante approfitta del suo vantaggio per puntare non tanto a un aumento consistente delle quote di mercato, ma a far entrare nel proprio portafoglio clienti che possono risultare strategicamente interessanti. Rimanendo sull’ambito dell’attacco apportato a un leader di mercato un contributo molto interessante in proposito ci viene dato da Porter, il quale individua quattro tipi di strategie di attacco a seconda che, si agisca o no nello stesso ambito competitivo, e con una catena del valore più o meno uguale58. La prima strategia è quella fondata sulla “spesa pura”, in questo caso vi è un attacco frontale al leader con una catena del valore analoga, e lo stesso posizionamento competitivo, questo fa si che lo sfidante non abbia un concreto vantaggio competitivo dato da attività distintive che gli permettano di

58 Porter M. (1985), “Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance”, Free

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differenziarsi dal rivale, non riuscendo a creare un vero e proprio valore. Di conseguenza lo sfidante è costretto alla sfida attraverso ingenti investimenti e quindi deve possedere ingenti risorse finanziarie, tuttavia il leader facilmente disporrà di altrettante risorse da investire per rispondere all’offensiva, come abbiamo già visto questa, è una strategia molto rischiosa che spesso finisce con la sconfitta dell’attaccante. La seconda strategia è fondata sulla “riconfigurazione”, è sempre un attacco frontale, ma con una diversa configurazione della catena del valore, questo da maggiori possibilità di successo all’attacco, soprattutto se questa configurazione permette all’azienda di ottenere rilevante vantaggio competitivo. La riconfigurazione può riguardare per esempio le caratteristiche del prodotto, mutamenti nelle modalità di svolgimento di alcune attività della catena, mutamenti nella struttura della catena ecc. La terza strategia è fondata sulla “ridefinizione”, lo sfidante in questo caso opera con una catena del valore simile a quella del leader, ma con un ambito competitivo differente, per esempio concentrando gli sforzi su un segmento non coperto dal rivale, adottando un grado d’integrazione differente, attaccando aree geografiche differenti rispetto a quelle del leader ecc.. L’ultima strategia è fondata sulla “riconfigurazione e sulla ridefinizione”, lo sfidante decide di cambiare sia la catena del valore, sia l’ambito competitivo di riferimento, evitando lo scontro frontale e puntando a un vantaggio competitivo inimitabile.

Le strategie di difesa:59 Come abbiamo visto in precedenza i mercati sono fortemente dinamici al loro interno, nel momento in cui vengono sferrati degli attacchi, si presuppone che vi siano anche delle difese, ed è proprio la capacità delle imprese di realizzare strategie di difesa, un elemento fondamentale per garantire a esse un successo duraturo nel tempo, infatti, devono cercare di difendere il vantaggio competitivo, che con tanta fatica hanno raggiunto, da attacchi di concorrenti o potenziali entranti. L’obiettivo delle strategie di difesa è quello di ridurre il rischio di un attacco o l’impatto di eventuali offensive da parte dei rivali e cercare di indurre i rivali a orientare le proprie manovre verso altri concorrenti, ciò è possibile rendendo più difficile e costoso l’attacco. Questo tipo di strategie normalmente non permettono un potenziamento del vantaggio competitivo dell’impresa, tuttavia contribuiscono certamente a rafforzare la posizione competitiva e proteggere le risorse e le capacità di maggior valore, che

59 Porter M. (1985), “Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance”, Free

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consentono all’impresa di avere un’offerta unica sul mercato, dall’imitazione. La difesa in quanto tale non vuole dire comportamento passivo, ma anzi si prevedono attività dissuasive e reazioni vere e proprie volte a persuadere l’attaccante prima che questo sferri l’attacco, oppure reagire prontamente all’attacco sferrandone un’altro. Vediamo più nel dettaglio questi due elementi:

La dissuasione:60 questa segue una logica militare, dove il dissuasore minaccia una ritorsione a uno sfidante ostile considerato ben armato, all’altezza della sfida e che ha tutte le intensioni e le possibilità di sferrare un attacco. La dissuasione ha l’obiettivo di scoraggiare l’avversario dal commettere l’aggressione, minacciando appunto di rispondere all’aggressione stessa con delle azioni che porterebbero a una perdita molto ingente di risorse monetarie rispetto ai benefici potenziali dell’attacco. La dissuasione consiste nel lanciare dei segnali, che ovviamente siano credibili, ai possibili attaccanti, per esempio attraverso dichiarazioni pubbliche di un certo peso e una certa credibilità, tenendo a pronta disposizione delle risorse economiche che possono essere usate in strategie di reazioni successive, oppure sferrando contromosse occasionali a concorrenti più deboli che abbiano il solo scopo di rafforzare l’immagine dell’azienda e dare un’idea della sua dinamicità strategica nel mercato, e della sua intenzione di difendere la sua posizione in esso. In ogni caso se è presente una dissuasione, l’azienda ha il presentimento che qualcuno prima o poi possa attaccare, di conseguenza è importante che si prepari comunque a una controffensiva, per questo è importante raccogliere più informazioni possibili su gli attaccanti, sulle barriere che eventualmente possono difendere l’azienda da un attacco, e dei possibili punti deboli su cui l’azienda potrebbe essere facilmente attaccata.

La reazione: questa attività avviene quando ormai la strategia di dissuasione non ha

funzionato, oppure quando non è più conveniente adottare atteggiamenti dissuasivi perché questi sarebbero solo uno spreco di risorse. La reazione deve essere rivolta a modificare l’atteggiamento dello sfidante, cercare di fargli cambiare idea è l’obbiettivo

60 Deterrence is the logic of direct military coercion applied against a hostile, well-armed enemy.

Deterrence is pursued when the scent of war is in the air and when an adversary already possesses both the political intention and military capability to commit aggression. The main aim is to deter the adversary from committing aggression by threatening to respond in ways that will not only rebuff him but also inflict unacceptable losses on him. Kugler R. L.(2002),”Dissuasion as a Strategic Concept”, Strategic Forum, No. 196, p.1

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principale. Questo tipo di strategia è ovviamente più efficace rispetto alle strategie di persuasione, tuttavia i costi sono ingenti per implementare una buona reazione. Un