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direttore Dino Borr

Nel documento Le eredità di Giovanni Astengo (pagine 115-117)

Nuova Urbanistica, ambiente, comunità (112 1999) Gli “Urbanisti italiani e Urbanistica” (è il titolo delle note con cui il presidente dell’Inu, Stefano Stanghellini, apre Urbanistica 112) fronteggiano grandi sfide. Concorrono con molte altre posizioni e figure professio- nali all’analisi e allestimento di piani, ormai sempre più vere e proprie teorie-in-azione, per realtà in profondo cambiamento; l’integrazione europea, l’attuale ruolo dell’Italia di ponte mediterraneo tra sud e nord e tra povertà e ricchezze, l’emergere della città diffusa e della sua originale economia e qualità di vita, le riaffermazioni di identità locali in tanti globalismi, le drammatiche trasformazioni ambientali e paesaggisti- che, gli impatti delle nuove tecnologie dell’informazio- ne, i ritardi delle città di grande e media dimensione nel rispondere efficacemente a queste sfide sono

grandi temi del confronto.

Si occupano di città e campagne di straordinario spes- sore storico sempre più confuse in paesaggi e funzioni, ambienti densamente antropizzati in cui resistono con difficoltà, fino nelle città, pezzi di preziosa naturalità. Hanno forse concorso a far sì che queste città di archi- tetture e piazze rivenienti da antiche maestrie e comu- nità fossero accerchiate da amorfe e vaste periferie, abbandonassero i loro cuori a politiche conservative povere di progettualità e perciò a rischio, si privas- sero di infrastrutturazioni benefiche per la comunità e l’ambiente (vedi l’“anomalia genetica” dell’assenza del trasporto pubblico urbano anche nelle metropoli, denunciata da Giuseppe Campos Venuti in queste pagine).

Hanno forse insufficientemente preso le distanze da una politica nazionale e locale invasiva dei cicli natura- li, per l’ammontare assoluto dell’edificazione; e questo non è avvenuto solo in Italia, se Anna Prat e Adrian Gurney tracciano gli scenari contraddittori aperti nel Regno Unito fa un nuovo ciclo di suburbanizzazione, con il recente programma governativo per milioni di nuovi alloggi.

Ma questa è anche storia passata, sia pure di un pas- sato recente. La coscienza ambientalista delle comunità avanza da nord a sud dell’Italia, è fatta di tante note e ignote resistenze ad abusi privati e pubblici.

Le comunità d’altra parte si riappropriano di importan- ti spazi nei piani, con approcci partecipativi e comuni- cativi sempre più diffusi, integrano preziose conoscenze comuni alle conoscenze esperte in più efficaci politiche ambientali: tecnologie anche potenti non sono risolutive e più promettenti appaiono sviluppi e saperi locali;

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nelle attività cognitive e di ascolto emergono nuove abilità e professionalità di pianificatrici e pianificatori, com’è nel profilo che John Forester e Erika Lund trac- ciano di Susan Carpenter impegnata in un esercizio di pianificazione transattiva per lo sfruttamento economi- co e nel contempo la tutela di una foresta.

Si tratta di un cammino ancora lungo. La messa a punto di Agende 21 locali è difficile in tutto il piane- ta, senza riguardo per i livelli di sviluppo dei paesi e delle località che vi si adoperano; sono anzi spesso le elevate concentrazioni di ricchezze e tecnologie, con i loro elevati prelievi di risorse e stili di vita e produttivi a prevenire efficaci implementazioni, e d’altra parte comunità meno fortunate fissano comprensibili priori- tà sociali ed economiche importando modelli esogeni di sviluppo spesso contrastanti con corrette politiche ambientali.

Si è ancora quasi all’anno zero, in Italia e in Europa, e uno sguardo al resto del pianeta non consentirebbe visioni più ottimistiche: le contraddizioni delle politiche ambientali locali sono ben evidenziate da Francesca Di Piero e Corinne Larme per la Francia, Ian Coo- per e Jason Palmer, Steve Curwell, Simin Davoudi, Gordon Mitchell, Anna Prat e Adrian Gurney per il Regno Unito, Anna Campeol, Lucina Caravaggi, Paolo Galuzzi, Carlo Gasparrini, Patrizia Lombardi, Silvia Macchi, Federico Oliva, Piergiorgio Vitillo, per l’Italia; per l’ambiente, misure semplicistiche e non integrate, conflitti tra differenti livelli e poteri politici ed econo- mici, disinteresse di piani e progetti anche finanziari e non solo urbanistici, prevalenze banali normazioni sono quanto emerge, anche, dai casi presentati.

Si tratta di avviarsi rapidamente alla tutela e al

risanamento ambientale delle città diffuse, integrando saperi e sviluppi locali e auto centrati ad accorti usi di disponibili tecnologie ed expertises; si tratta di pro- muovere approcci ancor più multidisciplinari di quelli già oggi praticati, di allestire quadri e strumenti cogni- tivi, veri e propri progetti ambientali di conoscenza dei piani (Maciocco), più coerenti alle urgenti domande. L’importanza a questi fini di analisi di scenario capaci di integrare conoscenze e metodologie quantitative e qualitative, esperte e comuni, per spingerci più avanti della quotidianità e adeguare alle sfide correnti le tradizionali previsioni degli urbanisti, è chiara nei contributi di Abdul Khakee e Marika Puglisi; anche il rinnovato interesse per i modelli e una più larga diffu- sione dei Gis è indicato nel contributo di Peter Nijkamp e Henk Scholten.

Abbiamo, ormai, metodologie e tecnologie abbastan- za efficaci, spesso costruite all’incrocio di differenti tecniche e saperi: tecniche e saperi cui chi fa piani ha via via attinto in forme peculiari e dalla peculiare an- golatura del mestiere: una dialettica tra comprensività e specificità, un coordinamento di “politiche” e misure di rilevanza spaziale per le comunità insediate e i loro ambienti, in una visione sempre più pluralistica. Le pra- tiche professionali si avvalgono diffusamente, ormai, di queste innovazioni, arricchendo con l’esperienza le teorie, costruendo vere e proprie teorie-in-azione. Lo spessore storico della trasformazione cui partecipia- mo, il passaggio dalle grandi narrazioni ai frammenti e lo sviluppo di originali percorsi formativi dei plan- ners (Secchi), i drammatici mutamenti nei piani delle razionalità della “scienza normale” sotto le sfide della complessità e dell’incertezza e di nuove etiche e morali

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(Scandurra) sono, in questo numero di Urbanistica, importanti viatici del rinnovato impegno ambientalista degli urbanisti italiani.

Teorie e pratiche delle conservazioni e trasformazioni delle città e dei loro ambienti cambiano velocemente nel pianeta, spinte dalle sfide tecniche e morali delle questioni ambientali e delle nuove cittadinanze e go- vernabilità. Gli approcci si fanno sempre più comuni- cativi e flessibili e si arricchiscono di inedite dimensioni scientifiche ed etiche, si volgono a nuove tecnologie e a nuove progettualità con minori illusioni ma con maggio- ri efficienze ed efficacie in un’evoluzione parallela e pragmatica; grandi e piccole storie e narrazioni li gui- dano in ambienti plurali e intrigati da differenti livelli di conoscenza e governo; al tempo stesso le forze di questi planners restano fragili, si espongono a ibrida- zioni e nomadismi, escono spesso sconfitte dal confronto con poteri economici e tecnologici forti; le persistenti fragilità delle implementazioni di coerenti politiche ambientaIi locali sono un monito e un incitamento per il loro lavoro.

Dino Borri

2005 – 2012

Nel documento Le eredità di Giovanni Astengo (pagine 115-117)

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