• Non ci sono risultati.

Disegno di legge regionale n 117/76 su Tutela ed Uso del Suolo, poi Lr Piemonte n 56/

Nel documento Le eredità di Giovanni Astengo (pagine 74-78)

Il disegno di legge regionale sulla “tutela ed uso del suolo”, si propone non solo, e non tanto, come “legge di principi”, ma, par- tendo dall’attenta ricognizione della realtà territoriale regionale e messi a fuoco i problemi e le istanze emergenti nelle condizioni del paese e della regione, vuole offrire agli operatori pubblici e privati strumenti di intervento sul territorio, che, coordinati in una attenta precisazione di ruoli, siano prioritariamente orientati al conseguimento di quegli obiettivi, che le forze più vive del paese ritengono indispensabili per uscire dall’attuale situazione di ma- rasma urbanistico e che si compendiano nel controllo pubblico ed a fini sociali delle risorse naturali, insediative ed infrastrutturali, in una parola, nell’uso sociale del territorio.

L’acuta crisi strutturale, istituzionale ed economica che il paese sta attraversando richiede infatti, e in modo peculiare alle re- gioni, di caratterizzare la attività legislativa con provvedimenti storicamente puntuali, che propongano obiettivi, modi e tempi di superamento del modello di sviluppo che ha finora permeato l’as- setto sociale, economico del paese e l’uso del territorio. Le recenti gravissime calamità, prodotte da usi scellerati del suo- lo e dell’ambiente naturale o umanizzato avvertono, una volta ancora, che il territorio è risorsa scociale preziosa il cui impiego va severamente disciplinato.

Nella nostra regione la prassi, consolidata nel passato, di accu- mulazione capitalistica delle risorse che, a fianco alla generale povertà pubblica, assegnava al territorio ruoli del tutto subalterni alle strategie aziendali e privatistiche, consegna oggi alle forze

di governo un territorio devastato, non solo e non tanto nei suoi aspetti fisici e ambientali, quanto negli aspetti sociali e produt- tivi.

Nell’ambito del “Piano di sviluppo regionale 1976-80”, proposto dalla Giunta, sono descritte le “condizioni di campo”: il territorio regionale è complessivamente sprovvisto di una efficace stru- mentazione urbansitica ed ampie fasce di esso non hanno nem- meno le più elementari protezioni predisposte dalla legislazione nazionale; nella totale assenza di azione programmatoria, prima nazionale e poi regionale l’assetto sociale della regione è stato sconvolto da ingenti migrazioni interne, di abbandono di ampie aree regionali e, insieme alle immigrazioni dalle aree più povere del paese, di concentrazione in specifici luoghi del territorio. Al drammatico spreco di risorse territoriali, prodotto dall’esodo e identificabile nel patrimonio abitativo e infrastrutturale sottouti- lizzato ed in via di progressivo deperimento, nell’indebolimento del tessuto produttivo disperso e nell’abbandono dell’attività agricola, si aggiungono gli sprechi avvenuti con l’uso del suolo non sufficientemente pianificato nelle aree di concentrazione e la conseguente crisi di armature urbane, una volta efficienti, il cui recupero, ancorchè possibile, richiede oggi, ed assorbe, urgentis- sime risorse.

Allo spreco, massiccio e dalle caratteristiche strutturali, prodot- to dal modello perseguito di sviluppo economico, si aggiunge la dequalificazione dell’ambiente e del paesaggio, compromessi, in modo non meno massiccio, da una parte dalla generale incuria nei confronti di tali risorse che ha animato l’azione degli operatori pubblici e privati, dall’altra dal modello, favorito come ogni in- centivo, di consumo del tempo libero che ha promosso l’erosione irrimediabile di alcune delle plaghe più fortunate della Regione.

Il processo di rapido degrado avvenuto trova ragione, oltre che nei modelli di sviluppo perseguiti, nelle generali condizioni strut- turali degli Enti Locali piemontesi; alla perenne esiguità delle risorse pubbliche ed alla carenza di strumenti amministrativi di intervento efficaci si somma la frammentarietà in piccole e picco- lissime compagini del tessuto amministrativo regionale, esaspe- rato negli ultimi quindici anni dai fenomeni di esodo verificatisi; ne discende, a fianco di una generale “viscosità” amministartiva, la inesistenza pressochè totale di apparati pubblici di pianifica- zione e gestione del territorio, o l’inadeguatezza di quelli esi- stenti anche nelle aree di intensa urbanizzazione, quale aspetto tra i più evidenti della caratteristica ricchezza privata e povertà pubblica che ha accompagnato, e talvolta promosso, lo sviluppo urbano nella regione e nel paese.

Si aggiunge la pressochè totale assenza, ereditata dal passato, di puntuali elementi conoscitivi della realtà territoriale, nei suoi aspetti geofisici e infrastrutturali, che non fornisce supporto alcu- no a meditate operazioni di pianificazione locale e regionale e ad una programmazione degli interventi che voglia essere aderente ai bisogni e di essi risolutoria.

Nel quadro delineato il disegno di legge si propone di ricondur- re la pianificazione degli usi del suolo ad una chiara ed organica cornice normativa che, nel presupposto fondamentale della tutela complessiva dele territorio come bene naturale, ambientale ed economico, operi verso l’uso parsimonioso e l’attento recupero delle risorse, ancorati alle azioni programmatiche della Regione. 1 - Tutela ed uso del suolo

Accanto a norme generali tese alla salvaguardia del patrimonio storico, ambientale, naturale ed infrastrutturale, che instaurano

un nuovo, più dignitoso e caratterizzante rapporto tra la pianifi- cazione urbanistica e l’ambiente umanizzato e non, il disegno di legge propone norme, anche di carattere illustrativo, sull’uso del territorio a fini produttivi agricoli, industriali e artigianali. La pianificazione urbanistica, non più prevalentemente, se non esclusivamente, diretta a disciplinare “l’assetto e l’incremen- to edilizio dei centri urbani” (vedi art. 1 L. 17-8-1942 n. 1150), diviene, quale complesso atto tecnico-amministrativo sostenuto da una adeguata interpretazione giuridica dello “jus edificandi” (doppio regime della licenza e dell’autorizzazione; condizioni ap- ponibili alla licenza etc.) il riferimento coordinato ed organico per ogni trasformazione del suolo, comunque motivata; ciò nel chiaro intento di infrangere, almeno negli strumenti, l’antinomia tra città e campagna, ed attribuire uguale attenzione d’indagine, studio e proposta alle diverse funzioni che sul territorio si svolgono, poste fin’ora in ferrea gerarchia dalla prassi dettata dalla rendita urba- na e dagli effetti della polarizzazione.

In coerenza, il disegno di legge previlegia il fine sociale delle trasformazioni d’uso del territorio urbanizzato o in via di ur- banizzazione. Esso pone in essere meccanismi di regolazione e controllo della rendita urbana, in relazione al riutilizzato del capitale sociale fisso esistente nei centri storici e nei tessuti mi- nori, e ai nuovi interventi edificatori; anticipando cioè, all’interno dello spazio giuridico esistente, l’azione legislativa nazionale, il disegno di legge propone, oltre alla certezza dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione tecnica e sociale, il controllo delle caratteristiche tipologiche degli interventi ed eque condizioni di cessione e locazione dei beni prodotti o recuperati.

Si aggiunge l’adeguamento, all’interno di chiare norme definenti la capacità insediativa, delle quote di aree per abitante riservate

A

politico

ad attività pubbliche e collettive alle esigenze maturate, e già riconosciute in provvedimenti di settore dal legislatore naziona- le, della vita collettiva e formativa, di impiego del tempo libero, dell’assistenza.

Nell’intento di ricondurre la pianificazione ad una più attenta ope- razione di ricucitura dei tessuti urbani periferici e della generale riqualificazione dell’ambiente urbano, si propone il superamento della zonizzazione del territorio (introdotta dal Dm. 2/4/1968 n. 1444) in un disegno di dettaglio, in cui gli interventi sono definiti per classi fondamentali, atte a costituire un preciso vocabolario normativo; ciò al fine, non ultimo, di omogeneizzare il linguaggio urbanistico dei piani, conferendogli chiarezza tecnica, giuridica ed operativa.

In tale quadro propositivo, ricco di virtualità operative nel dare risposte, attraverso la pianificazione, aderenti al massimo alle effettive necessità soggettive e collettive, il disegno di legge as- sicura la reale partecipazione dei singoli, della collettività e delle organizzazioni economiche e sociali ad ogni fase del processo di pianificazione e gestione del territorio, creando i necessari “spazi giuridici” per la discussione e il riconoscimento degli interessi pubblici e collettivi.

2 - Il processo di pianificazione

Il disegno di legge si propone di ricondurre la pianificazione degli usi del territorio alla più ampia programmazione di impiego delle risorse economiche ed umane della regione, avviando un proces- so iterativo, i cui operatori sono da un lato l’autonomia locale, con i piani regolatori ed i loro programmi di attuazione, e l’Istituto regionale e gli Organi Comprensoriali dall’altro, con i piani ter- ritoriali e gli atti specifici di programmazione cui competono le

scelte strategiche.

In tale processo la programmazione regionale degli interventi ha come principale riferimento gli atti di programmazione locale (il programma poliennale di attuazione); la pianificazione locale, ancorata ai tempi e agli obiettivi della programmazione e pia- nificazione regionale, ha un campo operativo, nella definizione degli usi del suolo, delimitato non tanto da un sistema di vincoli, quanto dalla fondatezza di motivazione, che nasce dalla puntuale ricognizione dello stato di fatto e dei bisogni.

Al dirigismo pianificatorio, dal piano nazionale al piano comunale in un processo concatenato e discendente, che oggi riemerge in talune intenzioni a 10 anni di distanza dal clamoroso fallimento dei Crpe, il processo proposto contrappone la precisazione dei ruoli istituzionali dei diversi operatori, esaltandone le funzioni e, con ciò, consolidando il processo di democratizzazione delle istituzioni.

L’autonomia locale (e in essa le Comunità Montane), dotata di efficienti strutture e strumenti operativi, aggregata nei sub- comprensori, quali momenti unitari di pianificazione operativa generale e settoriale, ma anche di gestione dei servizi e delle attrezzature, diventa il reale interlocutore, nel comprensorio, del- le grandi scelte di pianificazione territoriale, competenza della Regione nell’indirizzo e nei criteri, e dei suoi organi decentrati, i comprensori, nella precisazione.

La continuità del processo di pianificazione richiede il superamen- to della “individualità” dei singoli piani; da una parte ponendo in essere meccanismi di continuo aggregamento a scadenze certe, decennali; dall’altra attribuendo ad essi virtualità propositive e contenuti diversi in relazione allo stato di pianificazione territo- riale (in presenza, o in assenza di piani territoriali).

La revisione degli atti di pianificazione a tutti i livelli a scadenza decennale è infatti la premessa affinchè la pianificazione urba- nistica, finalmente spogliata dei suoi risvolti garantisti, acquisti concretezza, aderenza ai problemi e operatività nel risolverli, permei l’attività amministrativa e divenga effettivo supporto alla programmazione.

La gradualità nei contenuti consente, invece, nella drammatica attuale condizione della pianificazione locale, di superare inerzie e attendismi; la compagine amministrativa regionale è fin d’ora chiamata ad un intenso impegno operativo nel restituire il terri- torio regionale ad un ordinato assetto urbanistico.

All’impegno vengono dati tempi e fasi che non possono essere disattesi: in prima fase a breve e brevissimo termine, ed in una ipotesi prospettica quinquennale, alle amministrazioni locali con criteri di coerenza interna e alla soddisfazione della domanda so- ciale; all’amministrazione regionale e agli organi comprensoriali, di provvedere, con i piani territoriali, a porre le premesse per il funzionamento a regime del processo di pianificazione.

In tale quadro propositivo, agli Enti Locali, superando i contenuti prevalentemente vincolistici proposti dalla legislazione naziona- le, vengono affidati strumenti di previsione e di gestione snelli nelle procedure ed efficaci nell’operatività.

Eliminato il programma di fabbricazione dal panorama degli stru- menti urbanistici, di cui sono noti gli aspetti prevalentemente garantisti e affatto operativi, il piano regolatore, a validità de- cennale o quinquennale, precisato nei contenuti, è ricondotto al controllo partecipativo della collettività e liberato dalla onerosa e dafatigante procedura amministrativa del ricorso privatistico. Il programma di attuazione dei piani regolatori, ancorato alle ri- sorse disponibili, consente una efficace e rapida programmazione

degli interventi pubblici e privati, proponendosi come momento di coerenza e di convergenza, in atto pubblico, tra azione impren- ditoriale e azione pubblica, tra interesse soggettivo e interesse collettivo.

La strumentazione attuativa, cui è dato esclusivo significato di pianificazione esecutiva, sottoposta al dibattito ed al giudizio della collettività, conclude la propria istruttoria nell’ambito co- munale.

Le funzioni regionali in materia di espropriazione per pubblica utilità sono ampiamente delegate agli Enti Locali. A tali provve- dimenti, di carattere strumentale, si affiancano provvedimenti di carattere strutturale in grado di promuovere l’effettivo rinnova- mento dell’apparato amministrativo regionale.

Il disegno di legge prevede, in applicazione del disposto finora disatteso dell’art. 43 della Legge Urbanistica, che i Comuni si do- tino con il sostegno finanziario della Regione, di idonei apparati tecnici di pianificazione e gestione del territorio. Vengono istituiti il Servizio Urbanistico Regionale, formato da uffici e servizi cen- trali e da uffici articolati nel comprensorio, e gli Organi Consuntivi Regionali in materia urbanistica, avviando così l’adeguamento dell’apparato regionale ai compiti che il successo di una nuova politica sull’uso del territorio ad esso impone.

Con i provvedimenti accennati, di carattere strumentale e strut- turale, si è inteso rimuovere le principali cause di inefficienza delle amministrazioni pubbliche nel dare puntuale risposta alla domanda sociale più articolata, facendo così ragione del tentati- vo, da più parti condotto, di espropriare gi Enti Locali, e le Regioni, della loro competenza primaria in tema di pianificazione e gestio- ne del territorio.

leggere astengo

• «Il Codice dell’urbanistica»

[testo di disegno di legge

redatto da G. Samonà e G.

Astengo, in collaborazione con la

Commissione nazionale di studio

dell’Inu], Roma 1960

• “Le nostre tigri di carta: la

battaglia urbanistica, un

clamoroso fallimento”, in «Il

Ponte», dicembre 1968

• “Per un sistema informativo a

servizio della politica territoriale

Nel documento Le eredità di Giovanni Astengo (pagine 74-78)

Outline

Documenti correlati