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Ebbene, se rileggiamo Astengo sullo sfondo del nostro tempo e assumiamo questa tematizzazi one nel senso indicato, dobbiamo convenire che la “sua” è invece un’urbanistica ecumenica, che

Nel documento Le eredità di Giovanni Astengo (pagine 59-65)

ha una sola identità. Astengo ha una visione generale e continua dei problemi che si incontrano

nel fare urbanistica, con “naturalità” li accosta gli uni agli altri, li impasta, ne dà per scontate

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le relazioni; non rimarca gli scarti, i conflitti, le trad- dizioni tra i piani di lavoro che individua, ma piuttosto le reciproche necessità. La sua riflessione, che accom- pagna esperienze differenti fatte all’interno delle istituzioni e le riflette, ha un carattere inclusivo. Insomma, Astengo ha parlato del progetto, della regola, del controllo, della visione strategica e della governance, dimostrando che l’urbanista coltiva e deve coltivare assieme più dimensioni, tutte queste dimensioni. Forse, proprio in questo sta la presa del suo insegnamento, nel quale si possono trovare indica- zioni per pratiche distanti le une dalle altre, che non si escludono ma si invocano mutuamente.

Dalla governance al progetto

Alcuni scritti di Astengo mi sembrano, da questo punto di vista, assai interessanti80.

Si tratta di testi che segnano momenti importanti dell’attività di Astengo:

• l’addio alla direzione di Urbanistica nel 1976 (l’editoriale dal titolo “La svolta” che introduce il numero monografico dedicato a Napoli);

• l’avvio, nello stesso periodo, dell’esperienza am- ministrativa come Assessore alla Pianificazione e gestione urbanistica della Regione Piemonte (un documento preliminare e la presentazione della legge urbanistica “Tutela e uso del suolo”, la Circolare sui criteri da adottare in Regione per l’esame dei piani);

• il bilancio in chiusura dell’esperienza amministra- tiva all’inizio degli anni ’80 (il consuntivo della consiliatura);

• la lezione fatta in occasione del conferimento

della laurea honoris causa nell’ultima stagione professionale, nel 1990.

Quanto basta, a mio modo di vedere, per avere uno spaccato del pensiero di Astengo in momenti cruciali della sua esperienza, e ugualmente significativi per le trasformazioni territoriali nel Paese, per la riflessione disciplinare sul ruolo e gli strumenti della pianifica- zione urbanistica e dei suoi cultori.

In questi scritti Astengo tocca tutti i punti che qui interessano, parla del progetto, delle regole, del controllo, della visione strategica e di quella che da qualche tempo a questa parte amiamo chiamare “governance”, di volta in volta mettendo l’accento sull’uno e sull’altro punto, in riferimento alla posizione da lui assunta rispetto alle istituzioni, allo stato della riflessione in atto tra gli urbanisti, alle condizioni del territorio considerato.

Presentando il dossier su Napoli, che esce in con- comitanza con l’avvento di una giunta di sinistra al governo della città, l’accento è sulla governance e sul controllo; o meglio, usando le sue parole, sulla gestio- ne, sul processo politico e organizzativo che dovrebbe raccordare gli obiettivi, le scelte, le realizzazioni. «Risulta dimostrato che la vera crisi di Napoli non nasce dall’incapacità di penetranti analisi o dalla povertà di idee progettuali ché, anzi, i momenti progettuali giungono di tempo in tempo a coerenti e affascinanti proposte, anche formalmente definite, ma essa risiede in una pervicace azione disgregatrice delle scelte progettuali che anima una prassi gestio- nale in costante contraddizione con gli obiettivi pub- blici di piano ed in violenta violazione delle norme. Si tratta di un conflitto ormai centenario...» (“La svolta”,

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pag. 2) «per invertire effettivamente la rotta, come il voto esige e come le forze popolari si propon- gono, occorre anzitutto sconfiggere la deformazione amministrativa di base e l’inerzia tecnica, in una parola, la degenerazione gestionale» ...«L’uscita dalla crisi impone, dunque, di ricostruire anzitutto un corretto processo gestionale, capillarmente diffuso e democraticamente controllato, capace di raccor- dare le scelte generali assieme a quelle operative e specifiche e di estrarre, dalla realtà minuta e dalla folla dei problemi che premono, l’indicazione delle operazioni prioritarie da raccordare alle stesse scelte di fondo. Processo essenzialmente politico ed organiz- zativo» (pag. 3).

Astengo parla di Napoli, invocando una «svolta» su questo fronte, ma si accinge a prendere in mano col medesimo spirito la direzione dell’Assessorato alla Pianificazione e gestione urbanistica nella Regione Piemonte, anch’essa passata al governo delle sinistre. Si offre infatti una grande occasione «politica e organizzativa» per provare la bontà di provvedi- menti legislativi, per i quali è stata ingaggiata dagli urbanisti una vera e propria battaglia nel decennio precedente, e di strumenti sui quali ci si sente di scom- mettere per affermare un nuovo modo di esplicare la responsabilità di governo, una diversa governance appunto.

Nel testo che illustra il programma dell’Assessorato (Per una pianificazione operativa), un documento che in qualche modo ne sintetizza la visione a tutto campo, Astengo indica come operazioni coerenti con l’uso sociale del territorio un prima fase «costituente» basata su: ridimensionamento delle previsioni, tem-

poralizzazione degli interventi, selezione delle opere infrastrutturali in base alla loro essenzialità, individu- azione di aree per edilizia economica e popolare, riordino delle aree industriali esistenti; una seconda fase basata sulla pianificazione e programmazione strategica, nella quale possa ritrovarsi quel respiro delle scelte altrimenti negato, reso possibile solo dalla fase costituente. In questa prudente scansione del pro- gramma è evidente l’idea che la strategia richiede condizioni di base, che il disegno non può prescindere dall’applicazione di alcune fondamentali regole. È interessante osservare come Astengo leghi questo programma, questa metodologia, all’indirizzo politico riformatore. L’operatività dei piani, ovvero la loro «capacità di tradursi in interventi» grazie alla inclu- sione di contenuti amministrativi e temporali, attenti alla fattibilità economica e condivisi, viene indi- cata come garanzia di una politica innovativa volta verso l’uso sociale del territorio (questa definizione di operatività coincide in parte con quella oggi più diffusa di pianificazione strategica). La conoscenza dello stato di fatto e il rafforzamento delle strutture tecnico-amministrative sono poi giudicate condizioni indispensabili.

«Anziché vagheggiare un assetto ottimale del ter- ritorio a tempo indefinito con larghe maglie di urbanizzazione, idoneo ad una rendita diffusa (ma in cui in realtà possa innescarsi singolarmente e dis- crezionalmente l’intervento privato alla ricerca della massimizzazione della rendita), la metodologia da seguire, per essere coerente con l’indirizzo indicato [l’uso sociale del territorio, nda], dovrà esser tale da fornire risposta chiara e verificabile alle esigenze di

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alcuni problemi di fondo valutati per un arco tem- porale prefissato... Sostanzialmente occorre che il piano evidenzi modi, costi e tempi con cui intende rispondere alle esigenze di equilibrio fra domanda e offerta» (pagg. 11-12). «Il piano operativo ... non si pone più, come il “piano neutrale” che offriva una astratta ipotesi di sviluppo urbano “ottimale”, che, una volta tecnicamente predisposta e politicamente accolta con atto formale, veniva messa in pubblica- zione, unicamente per il confronto con gli interessi privati ...; esso si presenta, invece, come una ipotesi che è costruita “da dentro”, che è da verificare sul vivo e che esige quindi la partecipazione pubblica ... soprattutto nella fase di evidenziazione dei problemi (per la verifica della domanda) e di individuazione, in termini generali e schematici, delle scelte» (pag. 13). Sostituire un indirizzo politico basato sull’ “uso sociale del territorio” ad uno basato sull’uso prevalentemente privatistico del territorio significa sostituire agli stru- menti tecnici regolamentari i nuovi strumenti operativi. Nei Criteri per l’esame e per la formazione de- gli strumenti urbanistici comunali, l’accento è sulle regole da affermare nella predisposizione dei nuovi piani – anche graduate nel tempo per fronteggiare l’emergenza – e sul controllo da effettuare per ga- rantirne l’applicazione in tutti i comuni della regione. La Circolare assume in parte la forma di un vadem- ecum per la costruzione di piani di minima o dei ser- vizi, il dimensionamento, la quantificazione delle aree industriali, l’individuazione delle aree di espansione, l’edificabilità in zone agricole, la definizione degli standard urbanistici, i vincoli territoriali e urbani. E si spinge a definire i contenuti dei documenti urbanistici

che costituiscono il Prg – fra i quali l’inedita Delibera programmatica e l’analisi dello stato di fatto – e il Programma triennale di attuazione il quale, nella prospettiva operativa, assume un rilievo affatto parti- colare. L’individuazione precisa delle operazioni e dei procedimenti tecnici da effettuare è condizione per il controllo, il quale è in primo luogo verifica di confor- mità alle regole. Regole e controllo rappresentano gli strumenti di una politica riformatrice del territorio. Il bilancio stilato nel 1980, alla fine del mandato (Per una efficace e democratica pianificazione e gestione del territorio), dà conto di un’attività quinquen- nale che si è dispiegata nel settore amministrativo, legislativo e gestionale, investendo tutti i settori dell’istituzione pubblica, così come si era “promesso” nel programma iniziale.

Nella lezione tenuta all’Università di Reggio Calabria (Cambiare le regole per innovare), Astengo, con uno spostamento dell’accento che per molti è stato una piacevole sorpresa, individua la necessità di «prov- vedere ad innovare regole e metodi di progettazione prima ancora che di gestione» (pag. 318) in quanto: «l’origine dei molti mali dei nostri insediamenti umani [va] ricercata a monte della gestione e cioè proprio nei contenuti progettuali dei piani e dei programmi formati in questi ultimi trent’anni in ossequio ad una letterale interpretazione della legge urbanistica n. 1150 del ’42 e soprattutto della circolare ministeriale 1440 del 1968» (pag. 317). «È possibile oggi, anzi doveroso, operare nel profondo degli insediamenti, con operazioni localizzate, anche complesse, formate da interventi multipli tra loro coordinati, atti a trasfor- mare, innovare e irrobustire il tessuto insediativo,

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innervandolo su chiari e semplici telai infrastrutturali portanti» (pag. 320).

È questa un’altra «svolta» auspicata, a distanza di quindici anni, ora di tipo progettuale, anziché politico e organizzativo. Le diverse condizioni di produzione e uso del territorio (la fine della grande espansione), assieme al superamento della grande arretratezza (in termini di fabbisogni sociali, ma anche di regole e controlli), una diversa collocazione all’interno delle istituzioni (ora Astengo è consulente di amministra- zioni pubbliche per la progettazione di piani urban- istici) favoriscono lo spostamento dell’attenzione sul versante del progetto, della composizione urbanistica, della qualità.

In realtà Astengo non ha mai trascurato questa dimensione: egli stesso ricorda il suo Prg per Assisi e tra le proposte per la terza legislatura, nel 1980, aveva posto la ricomposizione del tessuto urbanizzato e del paesaggio urbano. Ma ora il discorso assume un significato e un peso diverso: per le circostanze nelle quali viene pronunciato, per la storia che il suo autore ha alle spalle, per la piega che hanno preso la riflessione e la sperimentazione urbanistica dopo la crisi radicale degli anni ’70, crisi che Astengo ha attraversato immerso nella sua attività di assessore, condotta con tenacia e consapevolezza della neces- sità di creare condizioni “di minima”. Con lo stesso vigore col quale allora difendeva le regole intro- dotte dalle leggi urbanistiche degli anni Sessanta, quando l’ammodernamento amministrativo costituiva un’emergenza, ora ne indica i limiti. Lascia però ai suoi interlocutori il compito di spiegarsi perché ora, “la svolta”, ha una natura diversa.

Con-fusione tra tecnica e politica

Entro quell’impianto ecumenico al quale ho accennato, nell’urbanistica di Astengo si trova uno schiacciamento della politica sulla tecnica, ovvero un assurgere della tecnica a politica. «La presa di coscienza della ges- tione del territorio a fini sociali comporta continui ap- profondimenti conoscitivi e continue verifiche di meto- do» (Per una efficace e democratica pianificazione e gestione del territorio, pag. 24): questa affermazione stabilisce un rapporto di necessità, una naturale convergenza che esonera dal problematizzare i rap- porti tra tecnica e politica, motivando una sostanziale disattenzione sulle ragioni e sui modi di quest’ultima, sostanzialmente diversi dalle ragioni e dai modi della prima. Astengo sopravvaluta la tecnica, nel senso che la carica di significati altri trasformandola in band- iera di una politica. A politiche diverse corrispondono tecniche diverse: è questo un assunto che non prevede distinzioni, né approfondimenti circa i caratteri dei due statuti.

Diversi elementi concorrono a spiegare questa “inge- nuità”:

• la formazione di Astengo nell’alveo del Movi- mento moderno;

• il periodo nel quale Astengo si impegna di- rettamente nelle istituzioni, quando è forte nell’urbanistica la componente ideologica, ov- vero un sistema coerente e organico di obiettivi capace di dare identità alle diverse istanze, e quando la politica non ha ancora assunto conno- tati strumentali e, soprattutto, i partiti di sinistra – anche il Psi nelle liste del quale Astengo era stato votato – non agiscono ancora in una prospettiva

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“pigliatutto”, ma cercano il consenso sui grandi temi generali;

• una inusuale “dedizione” al metodo che favorisce la costruzione di immagini nelle quali tutto si tiene e deve tenersi.

Se l’ecumenismo favorisce una continua ripresa della lezione astenghiana, entro schemi di ragionamento peraltro incommensurabili, questa con-fusione tra tec- nica e politica mi sembra invece datarla decisamente.

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