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direttori Bruno Gabrielli e Marco Romano Per una strategia di intervento (66 1977)

Nel documento Le eredità di Giovanni Astengo (pagine 108-110)

Anche se le tecniche e le procedure della pianifica- zione urbanistica oggi in uso appaiono sempre meno adeguate ad organizzare il nuovo e a razionalizzare l’esistente nelle grandi aree urbane, al punto che la pubblicazione dei relativi piani urbanistici può sembra- re di scarsa utilità per nuovi approfondimenti discipli- nari, appare tuttavia necessario proporre degli spunti stimolanti. La rivista ha comunque in programma nei prossimi numeri dei rendiconti sullo stato della pianifi- cazione urbana e territoriale ma tuttavia con l’esigenza di collocarli ogni volta in un contesto problematico più ampio.

È passato il tempo in cui si poteva ritenere di risolvere i problemi dello sviluppo metropolitano con idee molto semplici (ed estremamente semplificatrici), come la “green-belt” e le “new towns” di Londra, come Paris 2, la Défence ed il “Réseau Express Régional”, di Parigi, o ancora come la “turbina” o le “città lineari” del piano intercomunale milanese. In primo luogo perché tali idee si sono dimostrate “illuministiche”, a livello generale, non tenendo conto, tra l’altro, che la disponibilità di risorse, specialmente pubbliche, da destinare a questo settore, si è radicalmente ridotta nel tempo rendendo impossibile realizzare opere imponenti, così che il Rer ha rinunciato a sotto passare il centro di Parigi, come il passante ferroviario quello di Milano. Ma, in secondo luogo, anche là dove tempi più favorevoli e consue- tudini più pragmatiche hanno consentito di portare ad avanzata realizzazione questi programmi, come a

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Londra, la loro attuazione non ha certo risolto i pro- blemi della città, ed ha anzi dimostrato che per questa via semplificatrice tali problemi si eludono soltanto, si rinviano, e ricompaiono più vistosi ed assillanti che mai. Le nuove tecniche di progettazione urbanistica, gli strumenti di gestione finanziaria e politica del territorio che stanno tuttavia emergendo sono ancora troppo rozzi per fare buona prova nelle aree metropolitane, dove le variabili in gioco sono troppo numerose e com- plesse, e spesso troppo cariche di implicazioni politiche per consentirne una attendibile sperimentazione. Invece nella quiete delle città di provincia, negli uffici comunali privi di nomi celebri, la paziente consuetudine con i problemi della gestione quotidiana e spesso una solida pratica di partecipazione democratica, su una realtà urbana complessivamente e relativamente più semplice da controllare, sta dando interessanti risultati nella prassi urbanistica, tali da risultare utili contributi ad un ripensamento disciplinare.

Per la prima volta, infatti, una operazione urbanistica alla scala di una intera città è esplicitamente diretta non tanto ad organizzare un nuovo disegno urbano at- traverso le zone di espansione, quanto a porsi l’obiet- tivo di riutilizzare il complesso delle risorse pubbliche già esistenti ottimizzandole per fini collettivi: rifare la città che già c’è, anziché inventarne una nuova. Non è cosa da poco, non solo se si tiene conto che sembrano ormai lontani i tempi delle migrazioni bibliche degli anni ’50 e ’60, non solo se si rammenta che le risorse sono sempre più scarse e che la crisi ormai drammatica degli enti locali rende sempre più difficile e lontana, se non impossibile la realizzazione di grandi interventi, ma anche e soprattutto perché intervenire sulla città

esistente significa in sostanza una maggiore consa- pevolezza della domanda sociale di quella parte di cittadini che maggiormente soffrono delle disfunzioni e delle contraddizioni urbane.

Proprio questo aspetto, socialmente e disciplinarmente più progressivo, è anche quello che apre contempora- neamente i maggiori interrogativi, che prefigura le vie di ulteriori approfondimenti.

L’esperienza dell’operazione “Vines Moyennes” in Francia presenta aspetti di un certo interesse che desi- deriamo rapportare alla situazione italiana. Proviamo infatti a porre a confronto l’esperienza italiana delle molteplici leggi speciali, e l’ipotesi di una “intelligen- te” riproposizione, a livello italiano, dell’esperienza francese.

Ben altra cosa sarebbe il pensare di importare, adot- tandolo, il modello francese che ci sembra stimolante, per i seguenti motivi:

a. in primo luogo, perché obbligherebbe ad un esercizio al quale da tempo non siamo più abituati e per il quale, anzi, si stanno a nostro parere, chiu- dendo le residuali capacità/possibilità, obbeden- do ad un’ottica burocratizzante e di ben limitati orizzonti; tale coerenza consisterebbe nell’affidare ancora un ruolo all’immaginazione tecnico-politica per tentare di migliorare il quadro di vita urbano, territoriale. Scopo forse limitato ed ambiguo e tuttavia meno riformista del riformismo che viene non solo praticato ma teorizzato;

b. in secondo luogo perché obbligherebbe a mettere a punto quelle strategie complesse ed articolate che sono venute meno nel progetto francese, ma della cui esigenza si dovrebbe necessariamente

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tener conto nel contesto italiano che sotto questo profilo dovrebbe essere più attento, dato l’equili- brio delle forze in gioco;

c. in terzo luogo perché contrasterebbe con la pra- tica delle leggi speciali proprio sotto il profilo dei risultati “sperimentali” che ci si potrebbe attendere da una operazione di quel tipo.

Altri motivi, peraltro marginali, sono ancora a noi pre- senti, e che per brevità sottacciamo.

Resta il fatto che riteniamo utile invitare a meditare l’esperienza francese, in termini meno legati alla nostra pratica quotidiana di lotte spesso inutili e forse in molti casi marginali. Al tempo stesso, col necessario distacco dalla perenne necessità, che sembrerebbe contraddi- stinguere il nostro dibattito tecnico politico, di alzare il muro ideologico.

Tale esercizio potrebbe dimostrarsi utile nella direzio- ne, che ci sembra di dover raccomandare, di rendere il nostro dibattito più articolato, più ricco di valutazioni specifiche e di contenuti non meramente ideologici, ma meglio riferiti alla nostra capacità di intendere la lezione che ci viene dalla pratica sociale.

Bruno Gabrielli, Marco Romano

1978-1984

direttore Marco Romano

Nel documento Le eredità di Giovanni Astengo (pagine 108-110)

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