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Il diritto ad una famiglia per il minore non accompagnato e

3 La convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

3.4 I diritti che scaturiscono dai principi della Convenzione

3.4.1 Il diritto ad una famiglia per il minore non accompagnato e

Parlando di minori separati è inevitabile concentrarsi sul rapporto che questi hanno o dovrebbero avere con la loro famiglia. Come già detto 128 il nucleo

familiare ha un ruolo fondamentale nella programmazione del viaggio e nelle motivazioni che spingono i bambini a muoversi da soli: talvolta questi fuggono dalla famiglia, talvolta sono spinti dalla famiglia a muoversi nel tentativo di incrementare gli introiti.

Per quanto riguarda la Convenzione, si può dire che il diritto ad una famiglia tragga il suo fondamento dall’ art. 3: è logico che la realizzazione del miglior interesse del bambino sia quello di crescere e sviluppare la sua personalità all’interno di una famiglia, con dei genitori in grado di tutelarlo e di assicurargli una casa, un livello di vita accettabile e un’istruzione. La traduzione di questo pensiero sotto forma di norma si ritrova all’art. 9.1, secondo cui “1. Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse

127 La Convenzione di New York prevede una vastissima gamma di garanzie ulteriori

a quelle che tratteremo, in questa sede l’intento è quello di focalizzarsi sui minori non accompagnati e vedere come la Carta li tutela.

70 preminente del fanciullo”. Come si vede dal testo, è sempre nell’ottica di massima tutela del fanciullo che si deve agire, quindi qualora sia la famiglia stessa il primo pericolo per il ragazzo, gli Stati dovranno provvedere ed allontanarlo. Al comma 3 dello stesso articolo si cerca di tutelare gli affetti del minore, gli estensori, in questo caso, hanno cercato di tutelare gli affetti del bambino impegnandosi per garantire i contatti tra genitori e figli separati.129

Altro articolo interessante in tema di unità familiare è l’art .10, qui si prescrive un comportamento preciso agli Stati, i quali hanno l’obbligo di valutare le domande di ricongiungimento con “con uno spirito positivo, con umanità e diligenza”. In questo caso, a carico delle autorità statali preposte alla valutazione delle domande di ricongiungimento non si è previsto un obbligo di accettare sic et simpliciter la richiesta; sarebbe stato troppo, in effetti, prevedere un vincolo così stringente che avrebbe necessariamente limitato oltre il dovuto la sovranità dei firmatari. Di conseguenza la norma prescrive i parametri con cui la valutazione deve essere effettuata, ma non obbliga ad accettare ogni richiesta di ricongiungimento: si cerca di dare una direzione alla valutazione, ma non si vincola nel responso (in questo caso il best interest del fanciullo si scontra con la sovranità statale, in diritto internazionale questa non viene, e non deve, essere mai “scalfita”). Con questa formulazione lo Stato avrà la possibilità di anteporre i suoi interessi a quelli del minore, sempre provando la fondatezza dell’interesse contrario al ricongiungimento, l’unico vincolo di cui sarà gravato è l’aver compiuto il bilanciamento di diritti con umanità e diligenza. L’ottica è quella di trovare un compromesso tra gli interessi statali e il diritto del minore ad intrattenere rapporti con i genitori (sempre che ciò sia nel suo interesse)130.

All’art. 18 della Convenzione si vede come lo Stato si renda conto di quella che è la condizione dei minori stranieri non accompagnati. I ragazzi, qualora non sia possibile rintracciare la famiglia di origine o un genitore che ne assuma

129 Art. 9: “3. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i

genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo.”

130 Art. 9, 2: “Un fanciullo i cui genitori risiedono in Stati diversi ha diritto a

intrattenere rapporti personali e contatti diretti regolari con entrambi i suoi genitori, salve circostanze eccezionali.”

71 la tutela, vengono affidati a tutori legali (che possono anche essere i parenti), è proprio in questo articolo che compaiono. All’interno di questa previsione gli Stati si obbligano, in prima battuta, ad assicurare che i genitori si prendano la responsabilità di allevare e crescere il ragazzo, quando ciò non sia possibile è il tutore che subentra ed è questi che verrà supportato nella sua opera dalle autorità del Paese firmatario131. Quanto a quest’ultima figura, si tratta di un

ruolo fondamentale poiché il tutore deve essere consultato e informato su tutte le azioni che riguardano il bambino. Inoltre il tutore dovrebbe avere l’autorità di essere presente in tutti i processi decisionali e di pianificazione, quando il bambino viene ascoltato per questioni legate alla sua situazione migratoria e alle richieste giudiziali, nei casi di adozione di soluzioni di cura e custodia del minore e in tutti i tentativi di ricerca di una soluzione durevole. Il tutore, o il consulente, dovrebbe avere le competenze necessarie in merito alla cura del bambino, per garantire che il suo interesse superiore sia salvaguardato e che i bisogni di carattere legale, sociale, sanitario, psicologico, materiale ed educativo siano adeguatamente soddisfatti tramite, tra gli altri, lo stesso tutore, che agirebbe come anello di congiunzione tra il bambino e le agenzie o gli individui specializzati che assicurano costantemente al bambino le cure necessarie. Per i minori richiedenti asilo, oltre al tutore, lo Stato deve nominare un rappresentante legale.132

Abbiamo già detto che il diritto all’unità familiare si intreccia con uno dei principi base della Convenzione, che è il best interest previsto dall’art. 3. Ciò si vede spesso nella pratica e molte delle sentenze delle Corti nazionali che richiamano le norme convenzionali sono proprio relative all’ambito familiare. Uno dei primi casi nel Regno Unito in materia di immigrazione è LD v Secretary of State for the Home Department (che abbiamo già visto quando abbiamo parlato dell’art. 3). Si tratta di un’espulsione ai danni di cittadino dello Zimbawe con tre figli regolarmente residenti in Gran Bretagna. In tale contesto la corte affermò che: “[v]ery weighty reasons are needed to justify

131 Art. 18, 2: “Al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente

Convenzione, gli Stati parti accordano gli aiuti appropriati ai genitori e ai tutori legali nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo.”

72 separating a parent from a minor child or a child from a community in which he or she had grown up and lived for most of her life”133, accogliendo quindi

l’appello contro la decisone di espulsione e facendo prevalere il best interest, che qui si identificava con l’unità familiare sull’interesse dello Stato all’espulsione. Ancora, in un altro caso della Corte Suprema inglese che ha accolto l’appello di una donna della Tanzania, contro la quale era stato emanato un decreto di espulsione. La donna aveva due figli minorenni nati nel Regno Unito e sulla base dell’interesse dei bambini a crescere con la madre, la donna non è stata espulsa134.

Altre Corti di grado elevato hanno rilevato che in ogni decisone che riguardi l’espulsione di un genitore sia necessario prendere in considerazione l’interesse del minore a crescere con i genitori. Un interessante decisione riguarda la High Court australiana e riguarda il caso di un cittadino malaysiano, sposato con una cittadina Australiana, con tre figli naturali e quattro figli adottati residenti in Australia. L’uomo si è visto rifiutata la richiesta di residenza e la motivazione era il suo passato coinvolgimento in casi di droga. La High Court in questo caso ha affermato che in primo grado si era commesso un errore, perché nel rifiutare la domanda dell’uomo non si era tenuto conto degli effetti, in particolare i primi soggetti danneggiati sarebbero stati proprio i figli. La corte dice che dal momento che l’Australia aveva ratificato la Convenzione di New York ci si sarebbe aspettati un comportamento che tenesse conto degli interessi dei minori di fatto coinvolti, invece si era data maggior rilevanza alle politiche migratorie del governo, mettendo in secondo piano i diritti del singolo135.

Il caso più rilevante in Canada, invece, riguarda l’espulsione di una cittadina jamaicana136 che era stata ordinata dopo che si era scoperto che la donna aveva

lavorato illegalmente e non aveva rispettato la scadenza di visto. La donna aveva richiesto la protezione umanitaria in ragione del best interest del figlio,

133 POBJOV J.M., “The best interest of the child as an indipendent source of

international protection” International and Comparative Law Quarterly, 64, (2015). pp 327-363 doi:10.1017/S0020589315000044, pag 337.

134ZH (Tanzania) v Secretary of State for the Home Department, 1 febbraio 2011.

135 Minister for Immigration and Ethnic Affairs v Teoh, 7 aprile 1995. 136 Baker v Canada (Minister of Immigration and Citizenship), del 1999.

73 da cui sarebbe stata obbligata a separarsi. Sorse un problema poiché nonostante il Canada fosse uno Stato firmatario della Convenzione, nella normativa relativa all’immigrazione non era fatta menzione dell’art. 3 e quindi del diritto del minore a non essere separato dal genitore che da esso scaturisce; di conseguenza ci si chiedeva se l’interesse del bambino fosse da tenere in preminente considerazione come afferma la Convenzione, oppure no. La risposta della Corte Suprema al quesito fu positiva: “the decision-maker should consider children’s best interests as an important factor, give them substantial weight, and be alert, alive and sensitive to them”137. In seguito il Canada ha inserito il richiamo al best interest nell’ art. 25 dell’Immigration and Refugee Protection Act.

Ultimo caso che si intende riportare qui riguarda la Nuova Zelanda. In questo caso l’Immigration Act del 2009138 autorizza un genitore a richiedere

protezione umanitaria quando contro di lui sia stata ordinata l’espulsione. Nel caso Ye v Minister of Immigration la Corte afferma che la normativa deve essere interpretata in linea con quelli che sono i principi della Convenzione ONU. Il caso riguardava una famiglia cinese con figli nati in Nuova Zelanda con genitori cinesi a rischio di espulsione. La corte disse che quando si considerano le domande di protezione umanitaria di genitori che chiedono di non essere espulsi per non abbandonare i figli, è necessario chiedersi quali saranno gli effetti a lungo termine di una decisione piuttosto che di un’altra e in base a ciò decidere, tenendo sempre in considerazione l’interesse del bambino, che lo Stato si è vincolato a proteggere139.

137 POBJOV J.M., “The best interest of the child as an indipendent source of

international protection” International and Comparative Law Quarterly, 64, (2015). pp 327-363 doi:10.1017/S0020589315000044, pag 341.

138 L’art. 207 dice: “[t]here are exceptional circumstances of a humanitarian nature

that would make it unjust or unduly harsh for the appellant to be deported from New Zealand’ and ‘[i]t would not in all the circumstances be contrary to the public interest to allow the appellant to remain in New Zealand”.

139POBJOV J.M., “The best interest of the child as an indipendent source of

international protection” International and Comparative Law Quarterly, 64, (2015). pp 327-363 doi:10.1017/S0020589315000044, pag 338.

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3.4.2 Il diritto ad essere tutelati da violenze e abusi in quanto facili