• Non ci sono risultati.

La mediazione familiare è oggetto di una scienza trasversale, dove confluiscono elementi di svariate discipline, quali il diritto, la sociologia, l’economia, la biologia, l’antropologia, la storia, la filosofia, la religione, la psicologia, ma anche l’arte175. Essa non può considerarsi un rimedio in senso stretto, cioè un dispositivo tecnico-giuridico, giudiziale o stragiudiziale, posto immediatamente a ridosso di un bisogno di tutela ed in grado di soddisfare questo bisogno su iniziativa dell’avente diritto o ex officio del giudice. Può piuttosto essere considerata come un procedimento di composizione di una controversia, volto a facilitare l’accordo tra le parti, e preliminare al processo.

La mediazione familiare nasce negli U.S.A. all’inizio degli anni 70 del secolo scorso ad iniziativa di James Coogler, un avvocato e psicologo americano, il quale, dopo l’esperienza del suo divorzio, aveva ideato un metodo per la risoluzione pacifica dei contrasti familiari176. Tale metodo si ispirava, in particolar modo, alla salvaguardia del bene dei figli delle coppie in crisi, i quali rappresentano l’anello più debole della famiglia, subendo comportamenti scorretti da parte dei genitori separati o in via di separazione.

Secondo Coogler il mediatore ha il compito di facilitare l’autodeterminazione delle parti nell’individuare le soluzioni opportune e soddisfacenti per le stesse, partendo dal presupposto che esse sono comunque capaci di prendere accordi e assumere decisioni relazionali177. Si tratta di una c.d. “mediazione globale”, cioè

175 L. Parkinson La mediazione familiare. Modelli e strategie operative, Trento, 2009, pag. 85. 176 O.J. Coogler, Changing the lawyer’s role in matrimonial practice, in Conciliation Courts

Review, 1997, pag. 1.

177 Coogler, peraltro, considera la separazione e il divorzio una “evoluzione naturale della vita di coppia”. Tale affermazione, tuttavia, prima facie desta perplessità, in quanto la frequenza delle separazioni e dei divorzi in una data società – ad es. negli Stati Uniti d’America – è spesso il

destinata ad essere applicata ai complessi aspetti di una crisi familiare, da quello emozionale e relazionale a quello gestionale e patrimoniale.

In Italia, invece, la mediazione familiare è stata adottata a fine anni ’80 a Milano dall’Associazione GeA (Genitori Ancora) fondata da Fulvio Scaparro e Irene Bernardini, in un contesto giuridico, quello del nostro diritto sostanziale, che conosceva la mediazione come istituto di risoluzione delle controversie fino all’introduzione della legge sul c.d. “affidamento condiviso” (n. 54/2006), che ha previsto la facoltà per il giudice di consigliare alle parti di servirsi di esperti mediatori familiari.

La mediazione è uno strumento alternativo rispetto alla giustizia ordinaria di risoluzione delle controversie, tanto patrimoniali che non, attraverso l’ausilio del mediatore, cioè una figura esperta, terza, neutrale e imparziale che tenta di facilitare il dialogo tra le parti al fine del raggiungimento di un accordo condiviso e accettabile per entrambe le parti178.

Nel corso degli anni ’90 si assiste al primo riferimento del diritto positivo alla mediazione familiare: l’art. 4, legge 28 agosto del 1997, n. 285, in materia di “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, sull’impulso della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo stipulata a Strasburgo nel 1996, ma ratificata in Italia solo nel 2003, n. 77, ha esposto “i servizi di mediazione familiare e di consulenza per le famiglie e i minori al fine del superamento delle difficoltà razionali”179. Previsione, questa, che è stata utile per la giurisprudenza per introdurre nel tessuto processuale esperienze pratiche di mediazione.

Un altro riferimento alla mediazione familiare è contenuto nella legge 5 aprile del 2001, n. 154, che ha introdotto “le misure contro la violenza nelle relazioni familiari”180, prevendendo all’art. 342-ter, comma 3, c.c., che il giudice, chiamato per l’emanazione di un ordine di protezione, può disporre anche l’intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare.

sintomo e la conseguenza di una crisi culturale e morale che attraversa quella società, la quale non fonda più il matrimonio e la famiglia su solide basi valoriali.

178 P. Mazzamuto, La mediazione familiare nella tutela della famiglia, G. Giappichelli, Torino, pag. 14.

179 P. Mazzamuto, La mediazione familiare nella tutela della famiglia, cit., pag. 15.

180 S. Patti, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Diritto della famiglia, Milano, 2011, pag. 1041.

Un riconoscimento più ampio è stato concesso alla mediazione familiare nel contesto normativo italiano con la legge 8 febbraio del 2006, n.54, sull’affidamento condiviso che, nell’introdurre la bigenitorialità, ha previsto all’art. 155-sexies, c.c., successivamente sostituito con l’art. 337-octies, c.c., il ricorso al mediatore familiare su invito del giudice: “Qualora ne ravvisi

l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di ci all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli” 181. È da sottolineare che il giudice “può”, senza nessun obbligo e solo dopo aver sentito le parti, inviarle in mediazione familiare.

Nel codice civile l’art. 337-octies, c.c., rubricato “Poteri del giudice e ascolto del minore”, introdotto con la legge di riforma della filiazione, prevede nel secondo comma che il giudice possa indirizzare i coniugi verso la mediazione per trovare un accordo. Si tratta dell’introduzione di un nuovo potere discrezionale del giudice, che piò, alla luce delle nuove disposizioni di legge, il giudice può suggerire alle parti di avviarsi verso un percorso che contempli il ricorso alla mediazione, con il presupposto che possano nascere accordi tra le parti al fine di regolamentare il nuovo assetto familiare che succede alla crisi coniugale. Quindi, tale istituto si configura come del tutto eccezionale: è molto difficile che una coppia in conflitto sia disposta in maniera del tutto volontaria a sottoporsi allo strumento della mediazione. I coniugi che si separano lo fanno, nella maggior parte dei casi, per pervenire alla fase patologica in presenza di un alto tasso di conflittualità e per evitare di gestire cose in comune, anche se queste “cose” sono i loro figli.

Lo strumento della mediazione familiare, se correttamente utilizzato, può dunque dar luogo ad un importante momento di riflessione che faccia capire che “si divorzia dal coniuge e non dai figli”, rappresentando in tal modo la base di partenza per la giusta applicazione di quello che è un principio sancito dalla nostra costituzione, la quale stabilisce all’art. 30, che “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli”.