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Nuove tecniche di gestione della crisi coniugale, dal mediatore al coordinatore familiare.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

NUOVE TECNICHE DI GESTIONE DELLA CRISI

CONIUGALE, DAL MEDIATORE AL

COORDINATORE FAMILIARE

Relatore

Chiar.ma Prof.ssa Caterina Murgo

Candidato

Martina Pardini

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INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO PRIMO

SEPARAZIONE E DIVORZIO...1

1. La famiglia e l’istituto giuridico del matrimonio...1

2. La separazione personale dei coniugi: profili evolutivi...4

2.1. La separazione consensuale...6

2.2. La separazione giudiziale...8

2.2.1. L’addebito della separazione...10

2.3. La separazione di fatto...12

3. La riconciliazione...13

4. Il divorzio...14

4.1. Le cause di divorzio...18

5. Gli effetti personali della separazione e del divorzio...22

CAPITOLO SECONDO

LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA IN MATERIA DI SEPARAZIONE E DIVORZIO E LA TUTELA DEL MINORE...25

1. Negoziazione assistita in tema di separazione e divorzio...25

1.1. Contenuto dell’accordo in materia familiare...26

1.2. La trasmissione alla procura della Repubblica...29

1.3. La trasmissione all’ufficio dello stato civile...31

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2.1. L’affido dei figli nella separazione dei genitori...36

2.2. Provvedimenti processuali riguardanti i figli...41

2.3. L’assegnazione della casa familiare...42

3. Padre e madre: ruoli da ricomporre...45

4. Il consulente tecnico d’Ufficio (CTU)...46

4.1. Compiti e responsabilità del CTU...52

5. Il coordinatore genitoriale...54

5.1. La funzione endoprocessuale del coordinatore genitoriale...57

5.2. La coordinazione genitoriale come strumento di supporto nella gestione extraprocessuale dei conflitti tra i coaffidatari...58

5.3. Il destinatario della nomina e l’attività da svolgere...59

5.4. La giurisprudenza in tema di coordinatore genitoriale...64

CAPITOLO TERZO

MEDIARE I CONFLITTI...66

1. Il diritto della mediazione familiare...66

2. Presupposti per il ricorso alla mediazione...69

3. I principali modelli di mediazione familiare...71

3.1. La mediazione globale e parziale...72

3.2. La mediazione negoziale...73

3.3. La mediazione strutturata...74

3.4. La mediazione terapeutica...75

3.5. La mediazione sistematica...75

4. Il processo di mediazione familiare...76

5. IL ruolo degli avvocati nella mediazione familiare...79

6. Il ruolo del mediatore familiare...80

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8. Esperienze estere di mediazione familiare...84 8.1. L’esperienza spagnola...85 8.2. L’esperienza tedesca...87 8.3. L’esperienza inglese...90 8.4. L’esperienza francese...94 8.5. L’esperienza giapponese...96 CONCLUSIONI...99 BIBLIOGRAFIA...103 GIURISPRUDENZA...107 RINGRAZIAMENTI...110

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INTRODUZIONE

Con la presente trattazione si propone un’analisi dell’evoluzione giuridica attraversata dall’istituto matrimoniale e, in particolare, dalle recenti novità riguardo agli istituti di mediazione e coordinazione genitoriale.

Nella prima parte del lavoro di tesi, si mettono in luce i momenti che hanno determinato il passaggio da una concezione pubblicistica della famiglia ad una concezione privatistica, tesa a valorizzare sempre di più l’autonomia dei coniugi. Durante la trattazione verrà analizzata la separazione, con particolare attenzione a quella consensuale, giudiziale e di fatto, fino ad arrivare ad indicare sommariamente le cause di divorzio.

Nel secondo capitolo verrà trattata la convenzione di negoziazione assistita con la legge 10 novembre 2014, n. 162, cioè un accordo con il quale le parti risolvono una controversia relativa alla separazione personale, assistite da almeno un avvocato per parte.

Successivamente verrà data particolare attenzione alla posizione dei figli minori che vengono travolti nella crisi della famiglia. L’attenzione alla prole ha avuto un’importanza evoluzione legislativa: dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 che ha introdotto nell’ordinamento italiano alcune “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, fino al d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in attuazione dell’art. 2 della legge n.219/2012, ha disposto la revisione integrale di tutte le norme vigenti in tema di filiazione, ed ha, tra l’altro, abrogato gli art. dal 155 al 155-sexies c.c., sostituendoli con gli art. dal 337-bis al 337-octies c.c.

Dimostreremo poi, sempre nel secondo capitolo, come nei casi di separazione, sempre più frequente diventa il ricorso, da parte del Giudice, alla figura del CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), uno psicologo che offre il suo servizio per stabilire, in maniera più approfondita, un parere circa i termini di affidamento dei figli coinvolti (artt. 61 e 191 c.p.c.) e il ricorso anche alla figura del coordinatore genitoriale (CG) che riguarda il minore e la tutela del suo interesse e benessere, rivolto a genitori separati, divorziati o mai sposati, la cui portata avanti

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conflittualità costituisce un rischio di danno psicologico per i figli della coppia esposti al conflitto.

Nel terzo capitolo, invece, tratteremo della mediazione familiare, definito come percorso “alternativo”, rispetto alla giustizia ordinaria, per la risoluzione delle controversie tra familiari e, in specie, tra coniugi. La mediazione è nata negli Stati Uniti negli anni ’70 e nonostante costituisca, ormai da anni, una prassi ed una realtà presente e disciplinata in numerosi paesi europei ed extraeuropei, non conosce tuttavia, ancora oggi, alcuna regolamentazione nell’ordinamento giuridico italiano, ma soltanto sporadiche menzioni a livello normativo (art.

337-octies, art. 342-ter).

La trattazione di questo ultimo capitolo, mirerà in un primo momento, a far entrare il lettore nella realtà della mediazione familiare, attraverso lo studio delle origini, delle definizioni e della conformazione dell’istituto, nonché del suo recepimento a livello europeo, soffermandosi successivamente ad esaminare il panorama legislativo italiano. Il lavoro prosegue con un’analisi delle principali caratteristiche e dei principi che stanno alla base della mediazione familiare, da un punto di vista teorico, senza tralasciare le problematiche legate alla prassi applicativa dell’istituto. Passando attraverso lo studio delle funzioni della mediazione familiare si pone, infine, il principale obiettivo di mettere in luce quali sono i benefici rispetto al processo giudiziario e di proporre una riforma che miri all’estensione del suo ambito di applicazione.

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CAPITOLO PRIMO

SEPARAZIONE E DIVORZIO

1. La famiglia e l’istituto giuridico del matrimonio

La famiglia nel codice del 1942, prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, era costituita su un modello autoritario, organizzata gerarchicamente intorno alla figura del marito e fondata esclusivamente sul matrimonio. I tratti caratterizzanti di questo modello erano: la preminenza del marito sulla moglie, che si manifestava nella potestà maritale e, con riferimento ai rapporti patrimoniali, nell’istituto della dote e nel divieto di comunione universale dei beni, la discriminazione dei figli nati al di fuori del matrimonio, che si esprimeva nella considerazione della filiazione naturale come illegittima.

Questo modello subì un declino dal 1948 con l’introduzione di “valori espressivi dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, del riconoscimento di ogni tutela ai figli, dell’autonomia della famiglia, del dovere di mantenimento e di istruzione dei figli a carico di entrambi i coniugi, e del principio del sostegno pubblico ai compiti educativi della famiglia”1.

La società nella quale viviamo è estremamente complessa e contraddittoria. “Ciascuno di noi è portato a pensare che la famiglia coincida in grosso modo con

il tipo di famiglia di cui abbiamo fatto esperienza e che è socialmente diffusa in dato periodo. In realtà questo è uno stereotipo e varie sono le forme familiari che si sono sviluppate nel tempo”2.

La trasformazione della famiglia è stata caratterizzata da fattori di natura demografica, economica, sociale e culturale, che hanno avuto un impatto rilevante

1S. Piccini, La tutela dei soggetti deboli nella famiglia e nelle istituzioni socio-sanitarie, Atti del

convegno di Campobasso, 17 e 18 marzo 2006, Napoli, 2007.

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sul tessuto sociale, obbligando il legislatore a creare nuovi assetti nelle relazioni familiari.

Le modifiche che riguardano la famiglia hanno inciso anche sul ruolo e sullo

status dei protagonisti (marito, moglie, padre, nonno, nonna, figlio, fratello)3. Si afferma che “risalendo agli individui ed esaminando il loro ciclo di vita è

possibile avere un quadro adeguato dei modi e dei ritmi con cui la famiglia si forma e si trasforma”4.

Per il processo di affermazione dell’uguaglianza assoluta tra coniugi meritano di essere segnalate le due sentenze n. 126 del 1968 e n. 147 del 1969 che trattano dei reati di adulterio e di concubinato. Tali sentenze hanno dichiarato illegittimi l’art. 559 c.p. e l’art. 573 c.p., specificatamente nella parte in cui attribuivano la punibilità dei relativi diritti sul sesso dei coniugi, dove non si prevedeva più un trattamento giuridico diverso per il marito che disattendesse l’obbligo di fedeltà coniugale, il quale rimane sostanzialmente impunito, mentre la moglie, considerata in stato di soggezione maritale, in presenza di simile fatto, andava incontro ad una punizione. Infatti, i cambiamenti sociali avevano portato la donna ad acquisire pienezza di diritti e si affermava sempre di più la sua partecipazione alla vita sociale ed economica5. Tale sentenza, inoltre, dichiarò incostituzionale l’art. 151, comma 2, c.c., il quale prevedeva che la moglie non potesse proporre l’azione di separazione per adulterio del marito o per ingiuria grave compiuta nei suoi confronti6.

I giudici delle leggi con sentenza n. 133 del 1970 dichiararono l’illegittimità costituzionale dell’art. 145 c.c., con riguardo alla parte in cui poneva a carico del marito l’obbligo di mantenimento della moglie, indipendentemente dall’insufficienza della disponibilità economica di essa. Si evince un trattamento discriminatorio a carico del marito colpevole della separazione, perché tenuto a somministrare a carico della moglie incolpevole il necessario per i bisogni della vita, indipendentemente dalla condizioni economiche di lei7.

3 R. Picaro, Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto, Giappichelli, 2013, Torino, pag. 19.

4 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, pag. 53.

5 Corte cost. 16 dicembre 1968, n.126, in Foro it.

6 R. Picaro, Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto, cit., pag. 30 7 R. Picaro, Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto, cit., pag. 31.

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Prima del 1970 il matrimonio si ispirava al principio dell’indissolubilità. Il matrimonio poteva considerarsi sciolto solo in caso di morte di uno dei due coniugi.

Il principio dell’indissolubilità del matrimonio nel nostro ordinamento trae origine dalla dottrina cattolica introdotto gradualmente in tutta Europa tra il VII ed il XII sec. a seguito dell’incremento del potere temporale della chiesa. Il principio dell’indissolubilità del matrimonio venne sancito definitivamente dal IV Concilio lateranense del 1215, durante il quale, la Chiesa elencò le cause tassative di annullamento del matrimonio, come uniche cause per far decadere gli effetti del matrimonio, oltre che alla morte8.

Nel codice civile del 1942 si riscontra la presenza del principio dell’indissolubilità per cui il vincolo coniugale non poteva venir meno neppure quando venivano a mancare i sentimenti, affetti e interessi che stavano alla base di esso. Questo perché prevaleva l’interesse generale alla salvaguardia dell’istituto matrimoniale. Con la l. 898/1970 venne sancito il principio di indissolubilità che all’art. 3 enuncia il venir meno della “comunione materiale e spirituale”.

Il venir meno dell’indissolubilità del matrimonio è una conseguenza giuridica di una trasformazione nel tessuto familiare per effetto di interventi sia in ambito sociale che economico.

La colpa dell’indebolimento del matrimonio, come unione stabile, si può attribuire anche alle iniziative legislative che prevedono una maggiore rilevanza delle unioni di fatto mentre alla famiglia legittima gli si attribuisce un ruolo residuale, privo di una funzione attiva, propendendo per un diritto posto a protezione degli interessi individuali dei componenti del gruppo familiare9.

Nei fatti si nota che una famiglia può essere non fondata sul matrimonio o essere un contesto in cui soddisfare i propri bisogni affettivi, oppure uno strumento per usufruire dei benefici delle politiche pubbliche dello Stato. L’ordinamento sembra aver recepito una varietà di “forme” di famiglia funzionali allo specifico interesse ritenuto meritevole di tutela. In questo modo, il diritto positivo, riconoscendo la declinazione plurale dei modi di “esser famiglia”, sta adattando il grado e la

8 A. Anceschi, Separazione personale dei coniugi (I agg.), in Digesto civile, 2012 – Aggiornamento: 2017.

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qualità dell’imposizione normativa alla volontà e alle esigenze dei singoli soggetti coinvolti, senza mancare di assicurare protezione ad interessi che assumono dignità, in quanto patrimonio della persona10.

Il matrimonio rimane l’atto fondante della famiglia “con esplicita assunzione di

responsabilità pubbliche di fronte alla collettività, ed assume, aspirazione di stabilità, funzioni vitali per la comunità”11.

2. La separazione personale dei coniugi: profili evolutivi

La separazione personale dei coniugi è un istituto giuridico in base al quale i coniugi mantengono lo stato coniugale, ma vengono autorizzati a vivere separati. Il provvedimento che dispone la separazione va a sospendere alcuni obblighi che nascono dal matrimonio: obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Per quanto riguarda l’obbligo di reciproca fedeltà, si discuteva se continuasse ad avere efficacia oppure no, mentre per gli altri obblighi coniugali si riteneva che restassero sospesi, tranne quello sull’assistenza morale.

L’istituto della separazione risale all’alto medioevo, dove si riconosceva la possibilità di conciliare il principio dell’indissolubilità del matrimonio con l’esigenza sociale di far cessare convivenze matrimoniali intollerabili.

La separazione personale era disciplinata nel codice napoleonico del 1804. La disciplina del codice napoleonico ammetteva la separazione solo per alcune cause determinate e tassative: adulterio della moglie, concubinato del marito, eccessi, sevizie, ingiurie gravi e condanna dell’altro coniuge ad una pena infamante. Successivamente la struttura dell’istituto venne ripresa anche dal codice civile italiano del 1865.

La separazione era l’unico rimedio al fallimento dell’unione coniugale, anche se, in realtà, non si può parlare di scioglimento perché rimangono sempre i doveri e diritti nascenti dal matrimonio.

La separazione era consentita esclusivamente in presenza di ipotesi tassative che andavano a verificare la colpa di uno dei coniugi (adulterio, volontario abbandono, eccessi, sevizie, minacce, ingiurie gravi).

10 R. Picaro, Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto, cit., pag. 69. 11 F. D’Agostino, Una filosofia della famiglia, Milano, 2003.

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Nel codice del 1942 era presente una concezione “sanzionatoria” della separazione12.

Nel 1975 si ha l’eliminazione della separazione per colpa con l’introduzione della separazione per “intollerabilità della convivenza” che prende in considerazione la separazione come “rimedio” al fallimento del matrimonio13.

Con la riforma del 1975 vengono modificati anche gli effetti della separazione, poiché viene meno la presunzione di paternità del marito. Per quanto riguarda gli effetti patrimoniali, nel codice civile del 1942 si prevedeva un obbligo di mantenimento, mentre con la riforma del 1975 si prevede un obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia. Questo significa che la separazione, in passato, lasciava intatto il contenuto degli obblighi a contenuto economico, corrispondenti all’obbligo di mantenimento, mentre oggi determina il venir meno dell’obbligo di contribuzione e la nascita dell’obbligo di mantenimento14.

La separazione nel codice civile viene disciplinata dagli artt. 150-158 e dall’art. 711 del codice di rito.

Il diritto alla separazione è un diritto a carattere personale poiché può essere esercitato solo dai coniugi, la cui manifestazione di volontà non può essere sostituita neppure in casi di rappresentanza legale previsti dalla legge15.

In base all’art. 23, legge n. 898/1970, le norme che regolano il procedimento di divorzio sono applicabili anche al procedimento di separazione, in quanto adattabili. Per avere la separazione è necessario un provvedimento del giudice e non il semplice consenso dei coniugi, così come previsto all’art. 150, comma 2 e 3, c.c.: “La separazione può essere giudiziale o consensuale. Il diritto di chiedere

la separazione giudiziale o l’omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi”. L’art 158 c.c. aggiunge: “la separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice”16.

2.1. La separazione consensuale

12 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 3. 13G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 4. 14 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 5. 15 A. Anceschi, Separazione personale dei coniugi (I agg.), cit., pag. 236.

16 Zatti, I diritti e doveri che nascono dal matrimonio è la separazione legale dei coniugi, in

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La separazione consensuale è lo strumento che la legge mette a disposizione dei coniugi che intendono separarsi di comune accordo e diventa efficace con l’omologazione del tribunale.

L’accordo di separazione ha un contenuto necessario, che riguarda la decisione di condurre la vita separata, e quello eventuale, dove sono contenute le altre pattuizioni relative ai coniugi e ai figli17.

È una forma di separazione che, rispetto a quella contenziosa, abbatte i tempi ed i costi del procedimento e costituisce una forma più “morbida” di composizione del conflitto. I coniugi riescono a trovare un accordo.

Alla base del ricorso della separazione consensuale ci deve essere una situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza o di grave pregiudizio per l’educazione della prole.

Una volta raggiunto l’accordo, i coniugi chiedono l’omologazione del tribunale. I giudici ritengono che il motivo di successo del tentativo di riconciliazione non sia la riconciliazione, ma il fatto di convincere i coniugi a modificare in via consensuale la separazione originariamente proposta in sede giudiziale.

Tra gli strumenti previsti dall’ordinamento per consentire ai coniugi di pervenire a un accordo, il legislatore ha introdotto la mediazione familiare nel 1987. Si nota come molto spesso si fa ricorso alla mediazione familiare per attenuare il conflitto e per aiutare i coniugi a trovare un accordo sulle questioni relative ai figli o all’assegno18.

Fino al momento di emanazione del decreto di omologazione ciascun coniuge può revocare il proprio consenso alla separazione.

Merita di essere segnalata una sentenza della Corte di Appello di Venezia, 11 giugno 198319, dove si ritiene ammissibile la revoca unilaterale del consenso intervenuta dopo l’udienza presidenziale e prima del provvedimento di omologazione da parte del Tribunale, poiché: a) l’accordo dei coniugi non ha natura contrattuale, ma ha ad oggetto la disciplina personale dei coniugi; b) non può essere ritenuto vincolante tra le parti, ex art. 1372, non trovando applicazione in materia di accordi familiari; c) l’omologazione e non il consenso dei coniugi

17 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 6. 18 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 14. 19 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 16.

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completa l’elemento fondamentale della separazione consensuale, perché è espressione di un potere di intervento in materia familiare, in quanto, la rilevanza sociale della famiglia supera gli interessi dei coniugi; d) l’art. 298 c.c. ammette la revoca del consenso all’adozione prima della pronuncia del Tribunale.

Questa tesi non trova consenso nella dottrina, la quale non condivide la concezione pubblicistica della famiglia in cui prevalgono gli interessi pubblici su quelli privati dei coniugi. Al contrario, nel diritto riformato, sono gli interessi privati dei coniugi a prevalere e ci sono più ampi spazi riconosciuti alla loro autonomia20.

Il rapporto che c’è tra omologazione e consenso va differenziato: l’omologazione non rappresenta il momento costitutivo della fattispecie, ma una condizione di efficacia dell’accordo, già perfezionato al momento della sottoscrizione dello stesso21. L’omologazione costituisce una funzione di controllo giustificato dall’esigenza di certezza di “status” e di tutela preminente dell’interesse dei figli. L’art. 298 c.c. ammette la revoca del consenso all’adozione, ma viene discussa da altri orientamenti, traendosi da questa disposizione argomenti a contrario per negare che la revocabilità degli accordi familiari costituiscono un principio di ordine generale. Per quanto riguarda le vicende processuali, si nota che la legge non ha previsto la possibilità per le parti di intervenire nel procedimento tra la fase dell’udienza presidenziale e l’omologazione del tribunale22.

In base all’art. 711, comma 3 c.p.c., si stabilisce che una volta avvenuta la separazione, si dissolve il potere delle parti di concedere o rifiutare la separazione, ma sorge a carico loro un “diritto potestativo” di ottenere l’omologa della separazione23.

In una concezione di stampo pubblicistico, che vede nella separazione consensuale prevalente la tutela degli interessi sovraindividuali24, si tende a negare all’accordo dei coniugi la natura di atto negoziale e si tende, invece, all’inapplicabilità dei principi generali che riguardano gli atti di autonomia

20 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 19 21 Jemolo, Il matrimonio, in Trattato Vassalli, Torino, 1969, pag. 442; Falzea, La separazione

personale, cit., pag. 79

22 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 19 23 Mandrioli, Il procedimento di separazione consensuale, Torino, 1962, pag. 93

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privata. Il consenso è prestato alla presenza del Presidente del Tribunale; quindi, ciò esclude che possa essere affetto da vizi non rilevati dal giudice in udienza25.

2.2. La separazione giudiziale

La separazione giudiziale viene regolata all’art 151 c.c., il quale afferma che può essere richiesta solo quando si verificano “anche indipendentemente dalla volontà

di uno e di entrambi i coniugi, fatti da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da arrecare grave pregiudizio all’educazione della prole”26.

Per la separazione giudiziale è necessario il riscontro di circostanze oggettive che incidono in maniera negativa sulla prosecuzione della convivenza e non è fondamentale l’accertamento del comportamento volontario e colpevole di un coniuge nei confronti dell’altro.

Ai fini dell'addebitabilità, è necessario che la violazione sia antecedente alla proposizione della domanda di separazione.

La pronuncia di addebito mantiene quella funzione sanzionatoria che in passato si assegnava alla separazione per colpa27.

La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha previsto la libertà dei coniugi di arrivare alla separazione personale per qualsiasi fatto che rendesse intollerabile la prosecuzione della convivenza matrimoniale28.

La separazione giudiziale è pronunciata dal Tribunale su richiesta di uno dei coniugi, qualora si siano verificati dei fatti intollerabili tali da non consentire la prosecuzione della vita comune o che costituiscono un grave pregiudizio per l’eduzione dei figli (art. 151, comma 1, c.c.).

Il giudice, nel dichiarare la separazione, può attribuirla a uno dei coniugi, qualora questi abbia tenuto comportamenti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio (art. 151, comma 2, c.c.)29.

Il giudice deve fare una valutazione globale della crisi, dando rilevanza anche a comportamenti che, presi isolatamente, non avrebbero alcuno specifico rilievo30.

25 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 20 26 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 7. 27G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 8. 28 A. Anceschi, Separazione personale dei coniugi (I agg.), cit., pag. 306.

29 G. Ferrando, L. Lenti, La separazione personale dei coniugi, ed. CEDAM, 2011, pag. 67 30 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 52

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La giurisprudenza afferma che l’intollerabilità della convivenza “non può basarsi

sull’esame di singoli episodi di frattura o di contrasto, ma deve derivare dalla valutazione globale dei reciprochi comportamenti”31.

Sul presupposto “dell’intollerabilità della convivenza” vi sono due concezioni: una soggettiva, diffusa in dottrina, e una oggettiva, prevalente in giurisprudenza. Quanto alla concezione soggettiva, si dà rilievo al rifiuto di proseguire la convivenza, anche se deriva da uno solo dei due coniugi, perché la convivenza si sostiene nella comune intesa e si regge sul consenso32. Mentre nella concezione oggettiva c’è l’esigenza di un “controllo giudiziale sull’obiettiva intollerabilità” e, quindi, fatti che rendono impossibile continuare la vita comune33. L’intollerabilità può dipendere anche da una malattia fisica o psichica di uno dei coniugi. In questo caso la questione è delicata, perché potrebbe manifestarsi l’intollerabilità anche in una violazione dei doveri di assistenza nel momento del maggior bisogno. Sulla questione, la giurisprudenza di merito ha escluso che sia ravvisabile un motivo di addebito34.

Un motivo di conflitto, che può portare alla separazione, ma non all’addebito, si radica nel cambiamento della fede religiosa da parte di uno dei due coniugi e dai contrasti sull’educazione religiosa da dare ai figli. Infatti, si ritiene che la pronuncia di addebito non possa essere legata a comportamenti che costituiscono espressione di una libertà fondamentale, ma possa essere collegata alle modalità con cui si viene a realizzare: l’espressione della fede religiosa non può essere esercitata con delle modalità che costringano il coniuge e i figli ad uno stile di vita insostenibile e che sottragga loro quel minimo di intimità domestica a causa di estranei appartenenti allo stesso credo del marito e padre35.

2.2.1. L’addebito della separazione

L’istituto dell’addebito della separazione è stato introdotto a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, sostituendosi alla separazione per colpa36.

31 Cass., 30 gennaio 1992, n. 961, in Giust. civ., 1993, I, 3075. 32 Trib. Lecce, 14 ottobre 1994, in Dir. fam. pers., 1995, pag. 1047. 33 Cass., 8 novembre 1979, n. 5752, in Giur. It., 1979.

34 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag.54 35 Trib. Bologna, 5 febbraio 1997, in Dir. fam. Pers., 1998, pag. 136

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Quando l’autorità giudiziaria verifica che la rottura dell’unione coniugale è dipesa dalla violazione, da parte di una sola delle parti, dei doveri disciplinati all’art. 143 c.c. (di fedeltà reciproca, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia e di coabitazione), potrà pronunciare sentenza di separazione con addebito. L’addebito rappresenta una sanzione con effetti sui rapporti patrimoniali e successori.37

Nell’individuazione dei comportamenti che possono motivare la pronuncia di addebito la questione centrale è quella del rapporto che esiste tra violazione dei doveri ed intollerabilità della convivenza. La colpa non costituisce più il presupposto “necessario”, ma al tempo stesso “sufficiente”, della pronuncia in quanto la violazione dei doveri, ora, rileva solo come circostanza che abbia sviluppato un’efficacia causale nel determinare l’impossibilità della convivenza. L’impossibilità di proseguire la convivenza costituisce il presupposto della separazione, ma non la “colpa” che ha un valore solo eventuale38.

In molte pronunce della Corte di Cassazione successive al 1975 si segue il principio secondo il quale è sufficiente l’accertamento positivo di un comportamento colpevole alla stregua di una delle cause previste dalla precedente normativa per integrare il giudizio di addebitabilità previsto dalla nuova normativa39. Il giudice riteneva che la violazione dei doveri coniugali, in particolare l’adulterio, era tale da determinare una frattura irreversibile, senza bisogno di una indagine sulla dinamica effettiva dei rapporti di coppia40.

Parte della giurisprudenza di merito aveva compreso il diverso rapporto tra intollerabilità e addebito, andando a individuare che, ai fini della pronuncia di addebito, rileva la violazione dei doveri che hanno determinato l’intollerabilità della convivenza41. Tra la fine degli anni ‘80 ed i primi anni ’90 anche la Corte di Cassazione accoglie l’orientamento della giurisprudenza di merito, affermandolo nella sentenza 20 dicembre 1995, n. 1302142: “l’intollerabilità della convivenza

37 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 64. 38 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 65 39 Cass., 6 febbraio 1976, n. 414, in Foro.it, 1976, I, 272; Cass., 15 novembre 1977, n. 4976, in

Rep. Foro. It 1977, voce Separazione di coniugi, n. 22.

40 Cass., 29 novembre 1985, n. 5948, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 242.

41 Trib. Genova, 10 marzo 1981, in Dir. giur., 1977, I, 367; Trib., Genova, 10 marzo 1981, in Giur.

merito, 1982, I, 33.

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costituisce oggetto di un giudizio autonomo e precedente rispetto alla pronuncia di addebito che può pronunciarsi solo quando la violazione dei comportamenti nascenti dal matrimonio abbiano avuto un’efficacia causale nello stabilire l’intollerabilità”43.

Questo orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza, di cui costituisce un esempio la sentenza riportata (Cass., 18 settembre 1997, n. 9287).44 Il caso in analisi riguardava una coppia che viveva in stato di separazione di fatto. Il marito, dopo il tentativo fallito di giungere alla separazione consensuale, chiedeva la separazione con addebito alla moglie, la quale intratteneva una relazione con un altro uomo. La domanda fu respinta in primo grado e accolta in appello. La Corte di Cassazione censura la sentenza di appello perché, in quella sede, è stato omesso l’accertamento relativo all’efficacia dell’adulterio in relazione a una rottura che si era realizzata da tempo. La violazione del dovere di fedeltà può essere causa anche esclusiva dell’addebito della separazione quando si accerti che la crisi dell’unione risale a quella violazione. Il dovere di fedeltà può perdurare anche dopo l’insorgere dello stato di separazione quando però si accerti la conservazione tra i coniugi di un minimo di solidarietà tale da giustificare la permanenza di un simile dovere che invece non ha motivo di esserci quando tra i coniugi sia irreversibilmente venuta meno ogni intesa45.

L’orientamento che si è venuto ad affermare individua nell’intollerabilità della convivenza il fondamento della separazione. La pronuncia di addebito, quindi, presuppone dei comportamenti che siano contrari ai doveri coniugali e che siano all’origine della rottura. I comportamenti contrari devono essere “imputabili”, cioè che siano stati tenuti con coscienza e volontà46. Il requisito dei comportamenti si spiega anche in considerazione della funzione sanzionatoria dell’addebito: la sanzione si motiva solo se il coniuge era cosciente ed ha volontariamente tenuto il comportamento lesivo47.

43 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 65 44 Cass., 18 settembre, 1997, in Foro.it, n. 9287.

45 Cass., 18 settembre, 1997, in Foro.it, n. 9287.

46 Cass., 6 settembre 1985, n. 4639, in Foro. It, 1986, I, 119.

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2.3. La separazione di fatto

Un fenomeno molto diffuso è il ricorso alla separazione di fatto che consiste nell’interruzione effettiva, da parte di uno o di entrambi i coniugi, della vita matrimoniale senza che sia intervenuto un provvedimento giudiziale che autorizzi la coppia a vivere separatamente, purché ci siano degli indici esteriori che attestano il venir meno della comunione di vita e il distacco definitivo dei coniugi48.

La separazione di fatto può derivare dal consenso dei coniugi che intendono legittimare le condizioni di vita separata e a disciplinare le condizioni relative ai coniugi e ai figli. La legalità di questi accordi è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale n.404/198849, quando ha affermato che l’accordo relativo all’assegnazione della casa coniugale determina la successione del coniuge separato di fatto nel contratto di locazione dell’appartamento destinato a residenza familiare, e dalla Corte di Cassazione n. 7470/199250 che ha ritenuto validi gli accordi destinati a regolare i rapporti economici successivi alla separazione di fatto. Anche in riferimento ai patti traslativi, con cui un coniuge si impegna a trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, sono validi ed hanno una causa onerosa perché costituiscono un adempimento dell’obbligo di mantenimento del coniuge e/o dei figli.

La sentenza n.7470/1992 riconosce la piena validità dei patti traslativi conclusi in occasione della separazione e immessi nel verbale, sia che si limitino a prevedere un obbligo di trasferimento da realizzare in un successivo negozio traslativo, sia che dispongano il trasferimento attuale del diritto dominicale51.

La separazione di fatto può risultare non solo da una comune decisione, ma anche dal “comportamento di uno solo dei coniugi, inequivocabilmente idoneo a

dimostrare all’altro coniuge l’intento di dissolvere il vincolo coniugale”52.

La sentenza n.5324/1983 ha ribadito che “in ogni caso non è sufficiente la

semplice cessazione della coabitazione sotto lo stesso tetto, ma occorre il venir meno di quella più ampia intesa in cui si riassume la comunione materiale e

48 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 7. 49 Cass., 1988, n. 404, in Giur. It.,

50 Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, in Nuova giur. Civ. comm., 1993, I, 808.

51 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 99 52 Cass., 7 novembre 1981, n. 5874, in Giust. Civ., 1981, I, 2837.

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spirituale”53. La semplice coabitazione sotto lo stesso tetto non è espressione di comunione di vita se non sia rafforzata dall’elemento spirituale: ci può essere una convivenza senza coabitazione, intesa come permanenza sotto lo stesso tetto, così come ci possono essere anche delle coabitazioni non rientranti nel concetto di convivenza perché non ravvivate da sentimenti intesi a considerare l’altro coniuge come parte insostituibile del consorzio familiare54. Può accadere che venga meno la coabitazione pur mantenendo tra i coniugi l’affectio coniugalis, ma si può avere separazione personale quando, in presenza di coabitazione, venga meno l’affectio, la comune organizzazione di vita e la disponibilità alla reciproca collaborazione55.

3. La riconciliazione

La riconciliazione può avvenire per dichiarazione espressa o con un comportamento concludente incompatibile con lo stato di separazione.

L’art. 154 c.c. stabilisce che la riconciliazione conduce all’abbandono della domanda di separazione e non prevede “l’estinzione del diritto” di chiedere la separazione56.

Bisogna chiedersi se la riconciliazione interviene prima della proposizione della domanda di separazione, ovvero se i fatti anteriori alla riconciliazione possano o no essere posti a fondamento della domanda di separazione. Dottrina e giurisprudenza prevalente ritengono che la riconciliazione intervenuta prima della separazione produce effetti sia di natura processale che di natura sostanziale e i comportamenti tenuti prima della riconciliazione non possono essere posti a fondamento di una successiva domanda di separazione e della richiesta di addebito. La giurisprudenza anteriore riteneva che la riconciliazione comporta il “perdono delle colpe precedenti”57. I fatti anteriori alla separazione possono servire ad “illuminare la condotta successiva cui si ricollegano e ad integrare la

prova dell’ulteriore violazione dei doveri coniugali”58. Anche la Corte costituzionale ritiene che i fatti precedenti la riconciliazione da soli non possono

53 Cass., 9 agosto, 1983, n. 5324, in Giur. It., 1984, I, 1, 948.

54 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 99. 55 Trib. Roma, 10 giugno 1983, in Temi rom., 1983, 839.

56 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 111. 57 Cass., 24 marzo 1983, n. 2058, in Rep. Giur. it, 1983.

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costituire fondamento della domanda di separazione e valgono solo per chiarire i comportamenti dei coniugi successivi alla riconciliazione59.

La riconciliazione fa cessare gli effetti della sentenza di separazione e provoca il ripristino dei doveri coniugali di natura personale (fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia) e patrimoniale (obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia)60.

La Corte di Cassazione, per quanto riguarda il regime patrimoniale secondario, ritiene che il regime di comunione legale viene ripristinato in seguito alla riconciliazione. Gli acquisti compiuti nel periodo di separazione restano personali mentre tornano ad essere comuni quelli successivi alla riconciliazione61.

4. Il divorzio

Il divorzio è stato introdotto con la legge n. 898/1970, permettendo lo scioglimento nel caso in cui il matrimonio sia stato contratto con rito civile o la cessazione degli effetti civili nel caso in cui sia stato celebrato un matrimonio concordatario del vincolo matrimoniale.

Il divorzio costituisce uno dei momenti salienti dell’evoluzione del diritto di famiglia e avrà i suoi esiti significativi con la riforma del 1975.

Con la legge sul divorzio si attua il passaggio dalla famiglia intesa come istituzione alla famiglia intesa come formazione sociale. La famiglia passa così dall’essere “il fondamento dell’ordine sociale” all’essere “il luogo dove le

persone realizzano insieme un insostituibile esperienza della vita”62.

È proprio con la legge del 1970 che prende avvio il procedimento di “privatizzazione” del diritto di famiglia destinato a toccare il suo apice nella riforma del 1975.

L’Italia arriva relativamente tardi alla scelta divorzista.

Le leggi della rivoluzione francese, che introducono in Francia il divorzio, hanno una vita più effimera in quella parte di Italia che per breve tempo vi è soggetta63.

59 Corte Cost., 21 aprile 1983, n. 104, in Giust.civ., 1983, 471.

60 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit, pag. 112. 61 Cass., 12 novembre 1998, n. 11418, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 637.

62G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 127. 63 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 128.

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Il codice civile del 1865, seppur ispirandosi ad una concezione laica dello Stato e del matrimonio, fa proprio il principio di indissolubilità per l’interesse della società civile che sarebbe stato pregiudicato dalla sua introduzione, nella convinzione che “quando una legge collocasse sulla soglia del matrimonio e nel

suo seno l’idea del divorzio, essa avvelenerebbe la sanità delle nozze, ne deturperebbe l’onestà, perché quell’idea si muterebbe nella mura domestiche in un perenne e amaro sospetto”64.

Tale modello non viene intaccato dalla stipula del Concordato lateranense del 1929 e dalla redazione del nuovo codice del 1942 che, al contrario, danno ancora più respiro alla concezione pubblicistica della famiglia65.

In assemblea costituente, solo grazie a pochissimi voti, il principio di indissolubilità non entra a far parte della Costituzione.

Le iniziative parlamentari per introdurre il divorzio in Italia, già presenti nell’80066, riprendono con fervore nel secondo dopoguerra e, dopo un dibattito molto acceso in Parlamento e nella società civile, si arriva, nel dicembre del 1970, all’approvazione della legge Fortuna-Baslini (dai nomi dei suoi proponenti). A seguito di questa legge, il diritto fa un passo indietro e si limita a verificare l’irrimediabilità della frattura all’unità della famiglia e a disciplinarne le conseguenze.

La legge n. 898/1970 riconosce la facoltà di liberarsi da un vincolo non più alimentato dalla comunione materiale e spirituale, dimostra un cambiamento nella famiglia, tutelata in quanto formazione sociale (art. 2 Cost.), se e fino a quando le personalità individuali trovano ragioni di crescita.

Il modello di divorzio introdotto dalla legge del 1970 è quello del c.d. “divorzio-rimedio”, comune a gran parte delle legislazioni europee e ha come fondamento il venir meno della comunione materiale e spirituale tra i coniugi che non può essere ricostituita a causa del verificarsi di alcune ipotesi tassative previste dal legislatore all’art. 3 della legge n.898/197067. La causa che accomuna tutte le cause di

64 Bessone e Roppo, Il diritto di famiglia, evoluzione storica, principi costituzionali prospettive di

riforma, Genova, 1975, 118.

65 Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, cit., pag.156.

66 Galoppini, Profilo storico del divorzio in Italia, Commentario sul divorzio, Milano, 1980. 67 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 129

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divorzio elencate all’art. 3 della suddetta è il definitivo venir meno della comunione di vita.

Il divorzio congiunto, introdotto dalla legge del 1987, non può essere inteso come una forma di divorzio consensuale. La presentazione della domanda congiunta semplifica la procedura e ne riduce i tempi, ma non dispensa il giudice dal compiere la verifica della irreversibilità della rottura scaturente da una separazione continua per tre anni.

Il rilievo che viene attribuito al consenso è quello di elemento che giustifica che il diritto abbassi la guardia nella tutela della stabilità di un vincolo dal quale entrambi i coniugi intendono liberarsi.

Le cause tassative indicate all’art. 3 della legge n. 898/1970 sono molto eterogenee tra di loro e difficilmente si riesce a trovare un criterio ordinatore. La tassatività è però più apparente che reale: dall’esperienza applicativa emerge infatti come la causa preponderante di divorzio sia costituita per il 90% dalla protrazione per tre anni della separazione che porta a considerare irrimediabile il fallimento dell’unione.

La questione della c.d. automaticità della pronuncia di divorzio appare ormai datata. Ci si chiedeva se, una volta accertata una delle cause di divorzio dell’art.3 della legge, il giudice dovesse verificare il fatto che la comunione spirituale e materiale fosse venuta meno e fosse impossibile ricostruirla. La dottrina si era chiesta che poteri avesse il giudice per compiere un accertamento del genere, mentre la giurisprudenza ha sempre confermato l’autonomia di un tale accertamento. In realtà, il venir meno della comunione legale e spirituale costituisce il fondamento che nel disegno legislativo giustifica il divorzio e individua la concezione del matrimonio presente nel nostro ordinamento68.

La scelta del legislatore italiano del divorzio come rimedio al fallimento dell’unione, e del conseguente rifiuto di un divorzio meramente consensuale, si spiega nell’esigenza di dover stabilire un punto di equilibrio tra libertà delle persone, che deve essere valorizzata, e stabilità del vincolo, che non deve essere sminuita.

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La legge n. 898/1970 è stata modificata dalle leggi n. 436/1978 e n. 74/1987, attraverso le quali vanno a valorizzare i profili di autonomia e di libertà dei coniugi e, allo stesso tempo, ad accentuare quelli di responsabilità nei confronti del coniuge debole e dei figli.

Si va ad eliminare da prima la facoltà del coniuge, contro il quale la domanda di divorzio è rivolta, di proporre opposizione verso la stessa e, con la novella del 1987, si diminuisce il tempo di separazione utile per richiedere il divorzio da 5 anni a 3 anni.

Si introduce la possibilità della previsione del divorzio a domanda congiunta. All’ampliarsi dell’autonomia delle parti fa però da contrappunto una disciplina delle conseguenze del divorzio che va consolidando la solidarietà post coniugale con garanzie più forti per il coniuge che sul matrimonio ha costruito il proprio progetto di vita, rinunciando ad autonome prospettive di affermazione personale. I punti prominenti a tutela del coniuge debole sono rappresentati dall’assegno a carico dell’eredità, la pensione di reversibilità e il diritto all’indennità di una quota di fine rapporto.

Con le modifiche della legge del 1987 emergono la natura spiccatamente assistenziale dell’assegno, l’adeguamento automatico dell’assegno per il coniuge e la prole, più incisivi poteri di indagine sui redditi delle parti riconosciuti al giudice e una maggiore snellezza e agilità per la corresponsione diretta dell’assegno da parte del datore di lavoro. In più si riconoscono i profili di disponibilità dei diritti riconosciuti al coniuge come attesta da una parte il rilievo che ha l’accordo in sede di divorzio congiunto e dall’altro la possibilità di regolare in un’unica soluzione, mediante corresponsione una tantum, le reciproche pendenze, evitando che si prolunghi sul piano patrimoniale un rapporto esaurito sul piano personale e dando un assetto definitivo ai reciproci interessi, insensibile rispetto al provenire di circostanze nuove69.

Nei confronti dei figli, l’affidamento congiunto ad entrambi i genitori sta a significare che la crisi di coppia non va a sminuire il senso della responsabilità che entrambi i genitori hanno nei confronti dei figli. Si tratta di una responsabilità che

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deve rimanere piena per entrambi, sia per i profili personali che per quelli patrimoniali.

4.1. Le cause di divorzio

La legge n. 898/1970 all’art. 3 va a elencare in maniera tassativa le cause di divorzio e cioè:

 la separazione personale dei coniugi (art. 3, n. 2 lett. b);

 il fatto che l’altro coniuge cittadino straniero abbia ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o abbia contratto all’estero nuovo matrimonio (art. 3, n. 2, lett. e);

 l’inconsumazione del matrimonio (art. 3, n. 2 lett. f);  il mutamento di sesso (art. 3 n. 2, lett. g);

 le cause c.d. penali di divorzio.

La separazione personale deve essere protratta per un periodo di tempo non inferiore a tre anni dalla data di comparizione dei coniugi di fronte al Presidente del Tribunale. Si deve trattare di separazione legale, poiché la separazione di fatto non ha rilievo tranne che nel caso in cui sia stata iniziata due anni prima del 18 dicembre del 1970 (data di entrata in vigore della legge). Inoltre la sentenza di separazione giudiziale deve essere passata in giudicato, cioè deve essere trascorso il tempo utile per poter essere impugnata.

Non costituiscono presupposti del divorzio le separazioni provvisorie disposte dal Presidente del Tribunale nel corso dell’udienza presidenziale del procedimento di separazione (che mantengano la loro efficacia anche dopo l’estinzione del procedimento) e la separazione temporanea, disposta in sede di annullamento del matrimonio ex art. 126 c.c.

La legge prevede poi altre cause “civili” di divorzio immediato, cioè la domanda può essere proposta quando si verificano le cause di divorzio e non dopo l’attesa di un certo periodo di tempo70.

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Prima della legge n. 878/1970 il cittadino/a che avesse sposato una straniera/o non solo non poteva ottenere il divorzio, ma non poteva nemmeno chiedere la delibazione della sentenza straniera di divorzio, restando legato/a a un matrimonio privo di effetti per l’altro coniuge. Per risanare questa situazione di disparità tra lo straniero, libero di crearsi una nuova famiglia, e l’italiano, privato ormai della regolare convivenza familiare ma ancora giuridicamente coniugato rispetto all’ordinamento interno, si introdusse con la legge n. 878/1970 una specifica causa di divorzio che trovava attuazione tutte le volte in cui il coniuge, cittadino straniero, avesse ottenuto l’annullamento all’estero, lo scioglimento del matrimonio o avesse contratto nuovo matrimonio fuori dall’Italia. In questi casi il coniuge italiano può direttamente chiedere il divorzio senza aspettare il trascorrere del periodo previsto per la separazione personale per riottenere la libertà di stato. Con l’entrata in vigore della legge n. 218/1995 (contente la riforma del diritto internazionale) si è semplificato il procedimento per far acquisire efficacia interna alle sentenze straniere di divorzio. Oggi non è regola necessaria la delibazione, in quanto le sentenze straniere sono immediatamente efficaci senza bisogno di delibazione da parte della Corte di appello quando hanno a soddisfare i requisiti richiesti dalla legge. Tali requisiti sono: la non produzione di effetti contrari all’ordine pubblico o ad altra sentenza passata in giudicato pronunciata dal giudice italiano, la non pendenza di un procedimento di fronte al giudice italiano o la non pendenza di un processo di fronte al giudice italiano per lo stesso oggetto e tra le stesse parti che sia iniziato prima del processo straniero. L’accertamento dei requisiti è necessario solo in caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento o quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata ex art. 67 legge n. 218/1995. Le sentenze straniere che soddisfano questi requisiti possono essere annotate direttamente o iscritte dall’Ufficiale di stato civile nei relativi registri. L’Ufficiale si deve astenere dal provvedere e trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica solo in caso di contestazione71.

L’art. 3, n. 2 lett. e) della suddetta legge prevede una ipotesi di “divorzio italiano” sulla base di divorzio straniero72 che voleva rimediare alle condizioni di disparità

71 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 132 72 Nascimbene, Divorzio e diritto internazionale privato, in Bonili-Tommaseo, Lo scioglimento

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tra coniuge italiano e coniuge straniero, il quale poteva ottenere all’estero lo scioglimento del vincolo. L’art. 3, n. 2 lett. e) vede la sentenza straniera come una circostanza di fatto in base alla quale il coniuge straniero consegue lo stato libero mentre quello italiano continuare a rimanere soggetto al precedente vincolo ed intende porre rimedio a questa disparità. Di conseguenza esso “prescinde dalle

valutazioni di ordine pubblico in relazione alla legge straniera applicata ed alla riconoscibilità della sentenza straniera che abbia pronunciato lo scioglimento del matrimonio, ovvero in relazione al nuovo matrimonio dello straniero, la legge del quale consenta la poligamia”73. La moglie ripudiata o che continua ad essere

legata al marito, nonostante esso si sia risposato, è legittimata a chiedere il divorzio a prescindere dal riconoscimento del sistema internazionalprivatisco di riconoscimento delle sentenze straniere74.

La causa dell’inconsumazione del matrimonio trova origine nel diritto canonico dove il matrimonio era considerato volto prevalentemente alla generazione di figli (bonum prolis).

In quell’ordinamento il matrimonio rato e non consumato poteva essere oggetto di dispensa ecclesiastica che ha natura di provvedimento amministrativo. La dispensa poteva essere resa efficace nell’ordinamento statuale a seguito della delibazione della Corte di appello. Tutto ciò si verificava fino alla sentenza della Corte Costituzionale dell’aprile del 1982, n.88 che ha dichiarato illegittima la norma sull’esecutività della dispensa super rato75.

La previsione di questa causa di divorzio voleva sopperire alle disparità di trattamento tra cittadini sposati con rito concordatario e civile.

Si discute se la nozione di inconsumazione debba riprodurre quella elaborata del diritto canonico, cioè che la consumazione richiede la c.d. copula perfecta, la congiunzione carnale diretta alla procreazione. In ogni caso risulta difficile sciogliere il concetto di consumazione dalla dimensione sessuale che si va a richiamare, ma risulta difficile anche provare che la donna non abbia avuto

73 Nascimbene, Divorzio e diritto internazionale privato, Lo scioglimento del matrimonio, cit., pag. 213.

74 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 132. 75 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 132

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rapporti carnali o si possa escludere per tabulas che i coniugi abbiano avuto modo di incontrarsi (matrimonio per procura cui non sia mai eseguito un incontro, coniuge in stato di reclusione) 76.

Una ulteriore causa di divorzio è rappresentata dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge n. 164/1982. All’art. 4 della legge n. 164/1982 si prevedeva che la sentenza di rettificazione del sesso provocasse lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, andando ad applicarsi le norme del codice civile e della legge n. 898.

La legge del 1987 riteneva che si potesse ottenere lo scioglimento del matrimonio solo con apposito procedimento destinato a definire i rapporti tra gli ex coniugi e tra i genitori e figli. Ecco che così fu introdotta una nuova causa di divorzio. Lo scioglimento del matrimonio deve essere pronunciato con sentenza. La domanda può essere presentata dall’uno o l’altro coniuge o insieme da entrambi77.

La disciplina delle c.d. cause penali di divorzio è molto disorganica e si distribuisce tra il n. 1 dell’art. 3, che prevede solo le clausole penali, ed il numero 2, che prevede anche altre cause.

Si tratta di una minuziosa casistica di delitti o comunque di fatti astrattamente considerati dalla legge come reato che “non pare sempre sorretta dalla necessaria

razionalità”78.

All’art. 3, n. 1 sono previste cause di divorzio riconducibili a fondamenti diversi: tra queste, per esempio, rientra la condanna del coniuge all’ergastolo o ad una pena superiore a quindici anni oppure la condanna per un reato che suscita un particolare allarme sociale o appare incompatibile con la comunione (incesto, induzione, induzione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione, violenza sessuale).

Altre cause sono collegate invece a reati che rilevano solo se compiuti in danno del coniuge o dei figli (omicidio volontario consumato o tentato di un figlio, alle

76 Dogliotti, Le cause di divorzio, in Ferrando, Separazione e divorzio, in Giur. sist. civ. comm.

Bigiavi, Torino, 2003, pag. 437.

77 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 133. 78 Dogliotti, Le cause di divorzio, cit. pag. 455.

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lesioni personali aggravate, alla violazione degli obblighi di assistenza familiare, ai maltrattamenti in famiglia o alla circonvenzione di incapace in danno del coniuge o del figlio). Altre cause ancora sono collegate all’assoluzione per vizio totale di mente79.

5. Gli effetti personali della separazione e del divorzio

Gli effetti della separazione e del divorzio si producono dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.

Il decreto del Tribunale, nel caso di separazione consensuale, e le sentenze di separazione e divorzio passate in giudicato devono essere iscritte nei registri di stato civile.

Gli effetti della separazione e del divorzio decorrono dalla pronuncia giudiziale mentre l’annotazione rileva nei rapporti con i terzi e costituisce un requisito per poter contrarre un nuovo matrimonio.

La moglie perde il cognome del marito, ma il tribunale può autorizzare la donna a mantenerlo, purché ne faccia richiesta, aggiunto al proprio quando esiste un interesse suo o dei figli meritevole di tutela (art. 5, n. 3. Legge div.).

È illegittimo l’uso del cognome maritale in assenza di autorizzazione. Infatti, il marito può avanzare domanda diretta ad ottenere la cessazione del fatto lesivo ex art. 7 c.c. La domanda di risarcimento dei danni presuppone la dimostrazione della loro esistenza e si riferisce ai danni patrimoniali.

La pronuncia di divorzio, che interviene prima dei termini richiesti dalla legge per l’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge (art. 5, legge n. 91/1992), impedisce l’acquisto della cittadinanza; se interviene dopo, non ne pregiudica l’acquisto.

Per quanto riguarda gli effetti del divorzio sul vincolo di affinità ha molte ricadute80. L’affinità non cessa per la morte del coniuge, ma viene meno a seguito della pronuncia di nullità del matrimonio ex art. 78 c.c.

Se si guarda il problema dal punto di vista sostanziale si può notare che nel caso di morte il vincolo di coniugio viene meno per cause indipendenti dalla volontà delle parti, mentre per il caso di annullamento e di divorzio si è verificata una

79 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 134. 80 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 185.

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rottura della vita comune. Se consideriamo che i vincoli di affinità trovano il significato come proiezione dell’originario vincolo matrimoniale, non ha senso mantenere l’affinità quando tra i coniugi si è verificata una irrimediabile rottura81. Un argomento a favore dell’estinzione dell’affinità si ritrova nell’art. 87, n. 4 c.c., il quale equipara il divorzio e nullità e lascia implicitamente intendere che con il divorzio l’affinità è venuta meno82.

La disciplina degli effetti della separazione e del divorzio nei confronti dei figli è contenuta nelle negli artt. 155 e 317 c.c. a art. 6 della legge sul divorzio (n. 898/1970). Il legislatore non è mai giunto a formulare una disciplina comune, ma dottrina e giurisprudenza hanno cercato di armonizzare tali disposizioni con la conclusione che, nel diritto applicato, le conseguenze della crisi coniugale nei riguardi dei figli sono rette da regole ispirate all’interesse del figlio, evitando che venga strumentalizzato al perseguimento di quelli degli adulti.

L’obbligo di istruzione, educazione e mantenimento cui i genitori sono tenuti nei confronti dei figli non viene a mancare ex 30 Cost. e 147 c.c., ma richiede diverse modalità di attuazione.

In sede di separazione consensuale sono i genitori che concordano le modalità nell’accordo che viene poi sottoposto al giudice per l’omologazione. Il giudice non può modificare l’accordo perché sono i genitori che, congiuntamente, spettano i poteri di decisione dei figli, ma può rifiutarsi di omologarlo, qualora, ritenga che non soddisfi pienamente l’interesse dei figli.

Mentre in sede di divorzio congiunto devono essere indicate le condizioni inerenti alla prole e i rapporti economici, ex art. 4 comma 13, legge div83.

La mediazione familiare ha l’obiettivo di aiutare i coniugi di attenuare il conflitto tra essi e a trovare un accordo sul presupposto che, in nessun caso, i coniugi possano essere riguardati come ex genitori e che la responsabilità verso i figli rimane piena per entrambi anche se non stanno più insieme.

Anche nel nostro ordinamento si è affermato il ricorso ad un professionista terzo e neutrale, il quale, deve aiutare i genitori a trovare la via del consenso84.

81 Dossetti, Gli effetti del divorzio, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo,

I. Famiglia e matrimonio, Torino, 1997, pag. 625.

82 Vincenzi Amato, Gli alimenti, in Trattato di diritto privato, Rescigno, 4, 2° ed., Torino, 1997, pag. 970.

83 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 205 84 G. Ferrando, Separazione e divorzio. Guida alla lettura della giurisprudenza, cit., pag. 206

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CAPITOLO SECONDO

LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA IN MATERIA DI

SEPARAZIONE E DIVORZIO E LA TUTELA DEL

MINORE

1. Negoziazione assistita in tema di separazione e divorzio

Nel nostro ordinamento, come abbiamo visto nel capitolo precedente, due erano gli strumenti previsti per far fronte alla crisi coniugale: la separazione e divorzio. Negli ultimi anni è venuta ad emergere sempre più fortemente l’esigenza di degiurisdizionalizzare la giustizia civile con il fine di diminuire il carico di lavoro per i Tribunali e, conseguentemente, la lunghezza dei processi in termini temporali.

Proprio per far fronte a questa necessità il legislatore ha introdotto all’art. 6 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, la convenzione di negoziazione assistita, un accordo con il quale le parti risolvono una controversia relativa alla separazione personale, assistite da

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almeno un avvocato per parte85; tale strumento è finalizzato alla soluzione concordata fra coniugi nelle controversie relative alla separazione personale, cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’art. 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge l. 1 dicembre 1970, n.898, e alla modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Il comma 3 dell’art. 6 del d.l. n. 132/2014 prevede che l’accordo produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Con l’introduzione della legge sul divorzio breve (l. 11 maggio 2015, n. 55), la negoziazione assistita per il divorzio è possibile solo a seguito di precedente separazione prolungata ininterrottamente da:

1. almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi di fronte al presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale;

2. sei mesi nel caso di separazione consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso di fronte all’ufficiale di stato civile86. L’art. 6, comma 3, l. 162/2014 prevede che nell’accordo si dia atto che gli avvocati hanno:

 tentato di conciliare le parti;

 informato le parti sulla possibilità di esperire la mediazione familiare;  informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi

adeguati con ciascuno dei genitori.

Il tentativo di conciliazione conferisce agli avvocati l’attuazione di quella attività che, in sede giurisdizionale, è rimessa al presidente del Tribunale (art. 708 c.p.c, e art. 4, comma 7, della l. 898/1970) e che il legislatore vuole realizzata anche nel

85 La rubrica dell’art. 6 in esame (“Convenzione di negoziazione assistita da almeno un o più avvocati… “) e la possibilità che un solo avvocato proponga ricorso giurisdizionale per separazione consensuale o per divorzio congiunto potrebbero far ritenere legittima l’ipotesi della presenza di un solo avvocato. Il tenore letterale della norma ci porta a escludere tale soluzione.

86 Diozzi F., Mediazione e negoziazione assistita: tecniche di gestione delle controversie, Giuffrè,

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procedimento di negoziazione, rivolto a produrre gli effetti e tener conto del provvedimento giudiziario correlato.

Con il termine mediazione familiare si intende una misura che consentirebbe di giungere a soluzioni condivise relative alle questioni che si pongono nella fase patologica, in cui le coppie o le famiglie in crisi sono affiancate da un soggetto terzo imparziale, il mediatore, per comunicare l’una con l’altra e trovare una risoluzione accettabile per entrambi87.

1.1. Contenuto dell’accordo in materia familiare

L’accordo di negoziazione assistita deve contenere l’indicazione che i coniugi intendono separarsi, divorziare o modificare le condizioni di separazione o di divorzio, regolando i loro rapporti personali e patrimoniali e quelli degli eventuali figli, secondo gli schemi già utilizzati dagli avvocati nei ricorsi per separazione consensuale, per divorzio congiunto o per le modificazioni delle relative condizioni.

L’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita deve necessariamente contenere, come ricaviamo dall’art. 6 della l. n. 162/2014, un tentativo da parte degli avvocati di conciliare le parti oltreché un’informativa in merito alla possibilità di esperire la mediazione familiare e delle necessità che il minore trascorra tempi adeguati con ciascuno dei genitori88.

L’accordo a seguito di negoziazione assistita può avere ad oggetto anche patti di trasferimento patrimoniale con l’unica precisazione, ex art. 5, comma 3, che se vengono conclusi contratti o compiuti atti soggetti a trascrizione le sottoscrizioni del processo verbale devono essere comunicate da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Il tribunale di Pordenone, con decreto 17/03/201789, stabilisce che il conservatore dei registri immobiliari può e deve procedere alla trascrizione dei trasferimenti immobiliari decisi da due coniugi, privi di figli, in fase di separazione personale, in seno ed in seguito ad procedimento di negoziazione assistita, dopo che il Procuratore della Repubblica del locale tribunale ha concesso

87 Diozzi F., Mediazione e negoziazione assistita: tecniche di gestione delle controversie, cit., pag. 346.

88 Mascia, La mediazione familiare nei procedimenti di separazione e divorzio, Padova, 2012, pag. 171.

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